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Sta per compiersi una controriforma istituzionale e la sanità sta a guardare

di Ivan Cavicchi

Sto parlando del cammino, apparentemente inarrestabile, verso la maggiore autonomia regionale, sanità compresa, di cui sono state capofila Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna alle quali ora si stanno accodando quasi tutte le Regioni a statuto ordinario. Strano sovranismo quello che riduce i diritti alla salute di un popolo a livello locale…

19 SET - Sulla “Verità” del 17 settembre, sotto il titolo di spalla “riforme istituzionali”, è stata pubblicata una intervista di Mario Giordano, a tutta pagina, al ministro degli affari regionali e delle autonomie Erika Stefani. Essa ci informa che, entro il 22 ottobre, cioè fra poco, il consiglio dei ministri dovrà approvare un testo di legge con il quale si trasferiranno al Veneto 23 materie di competenza dello Stato centrale, tra le quali la sanità.
 
Il provvedimento, precisa il ministro, per ora, riguarda solo il Veneto, ma a seguire, sarà esteso alla Lombardia, all’Emilia Romagna, quindi, probabilmente, alla Liguria, al Piemonte, alla Toscana, all’Umbria, alle Marche, perfino alla Puglia, che si stanno organizzando per decidere le materie da trasferire.
 
Il Veneto ha chiesto il massimo delle materie previste dalla Costituzione ancora non si sa le altre. Ma di sicuro, tutte, possiamo giurarci, chiederanno di trasferire le competenze in materia di sanità.
 
Siamo difronte probabilmente ad una controriforma istituzionale e la sanità da quel che sembra non ne sa niente.
 
Cara sanità…
Ti informo, che questa contro riforma che riguarda questioni delicate come la governance, i rapporti tra istituzioni e tra istituzioni e società, le norme sulle professioni, avviene, da quel che capisco, senza  consultarti, nonostante:
- sia un milione circa il numero complessivo degli operatori che lavorano per te,
- esistano, al tuo interno, soggetti titolati sia a rappresentare i diritti che gli interessi, quindi sindacati, ordini, società scientifiche, associazioni di cittadini e di malati, altri livelli istituzionali,
- siano più che certi i rischi, sulla ricaduta di tale contro-riforma, sulla natura nazionale dei contratti di lavoro, convenzioni comprese, sulle regole nazionali che definiscono le professioni e i loro ruoli e rapporti, sulle organizzazioni dei servizi, persino sulla formazione professionale, ecc.,   
- milioni di cittadini rischino di restare, più di prima, vittime delle grandi diseguaglianze e delle grandi ingiustizie che hanno diviso l’Italia in due fino a mettere a repentaglio il valore dell’universalismo e della solidarietà che sono alla base della nostra idea di tutela pubblica,
- siano anni che tutti, nessuno escluso, si sono lamentati dell’esistenza di 21 sanitari diversi quando il sistema avrebbe dovuto essere, come dice la legge, unico unitario nazionale e su base territoriale,
- siano anni che, tutti, nessuno escluso hanno parlato della riforma del titolo V come di un grave errore politico,
- il ministero della salute ne risulti ancor più espropriato di competenze candidandosi ad essere presto sostituito da un possibile dipartimento presso il consiglio dei ministri, tanto che ci sta a fare se le competenze nazionali si riducono al minimo?
 
Cara sanità mi sa tanto che dovresti darti una regolata. Già facesti “pippa” quando il governo Renzi (ministro della salute la Lorenzin) ti tagliò completamente fuori, nel momento di aprire la strada al welfare on demand, giocando, ma senza invitarti, l’intera partita sul tavolo fiscale. Ora pare che si voglia ridefinire il tuo assetto istituzionale, e a decidere sono due sole istituzioni le regioni e il governo come se non ci fosse altro. Invece c’è molto ma molto altro. Non credi?
 
Cara Ministro della salute…
Stia bene attenta a dove mette i piedi, senza delle precise “norme di salvaguardia” a rischiare è un intero sistema pubblico il cui valore universalistico è stato di recente esaltato dal presidente Conte (QS 17 settembre 2018) ma sul quale e contro il quale, con troppa disinvoltura, si gioca, per calcoli elettorali, alla ridiscussione della sua unità e della sua nazionalità. Strano sovranismo quello che riduce i diritti alla salute di un popolo a livello locale.
 
Non mi stupisce che il ministro degli affari regionali, veneta, rappresentante autorevole della Lega, faccia una legge per il Veneto nell’anniversario del referendum sull’autonomia dello scorso anno. Il Veneto per altro, sulla sanità, è una regione, a detta dei suoi operatori e di molti veneti, molto regredita nel tempo, dal momento che la bella sanità di una volta ormai si dice non ci sia più. Ogni giorno qualche primario abbandona l’incarico pubblico perché non è messo in condizioni di fare il proprio dovere.
 
E’ una regione che quindi ha un bel po’ di problemi, Ma mi creda cara ministro, alle sue esigenze si possono dare altre risposte intelligenti, cioè esistono, volendo, altre soluzioni molto diverse da quelle prospettate dal ministro Stefani. Le ricordo, ad esempio, l’idea di “universalismo discreto”. Personalmente non sono per lasciare le cose come stanno perché le cose come stanno, e su questo il Veneto e le altre regioni non hanno torto, non vanno bene.
 
Oggi l’universalismo non si può più concepire come qualcosa di indifferenziato dato indistintamente a tutti considerando tutte le regioni uguali, ma come qualcosa di differenziato dato in modo discreto ed equo (nel senso aristotelico) a ciascuna regione. Già questa idea basterebbe da sola a voltare pagina senza scassare niente.
 
Il regionalismo differenziato non è una buona idea
Ministro, Grillo, lo ribadisco, avendo già scritto come la penso, il regionalismo differenziato che, di fatto, la ministra Stefani punta a trasformare in legge, è per la sanità una pessima idea (QS 23 luglio 2018). L’idea di autonomia è contrabbandata con quella di arbitrarietà.
 
La voglio avvertire, tale   provvedimento non è altro che una versione più radicale della vecchia idea di devolution sulla base della quale si decise, a suo tempo, la modifica del titolo V. Modifica che, alla prova dei fatti. Ha minato la governance del nostro sistema sanitario, lo ha reso molto meno sostenibile, molto meno equanime, molto meno efficiente di quello che avrebbe potuto e dovuto essere.
 
Rammento che per “devolution” si intende un provvedimento legislativo attraverso cui lo Stato centrale amplia le competenze legislative ed amministrative delle autonomie territoriali, conferendo loro nuove funzioni. In questo caso le nuove funzioni date per ora al Veneto sono tutte a scapito di quelle centrali. Quindi si tratta di una modifica strutturale dell’impianto istituzionale della nostra sanità. Sarà pure costituzionalmente consentito ma alla fine resta una contro riforma.
 
Questione di soldi
La ragione di fondo che sta dietro alla “neo devolution” o al regionalismo differenziato, è, tanto per cambiare, finanziaria. Il ragionamento, se non sbaglio, è stato fatto, per prima dall’Emilia Romagna, ma, attenzione, al tempo del de-finanziamento programmato e quindi rivolto al governo prima Renzi e poi Gentiloni. Il ragionamento   è il seguente: siccome per la sanità mi dai sempre meno soldi e siccome per finanziare la sanità che ho, i soldi che mi dai, non mi bastano, riconoscimi almeno la possibilità di avere, rispetto ad essa, le mani libere per fare quello che mi conviene di più.
 
Questo ragionamento personalmente lo reputo sbagliato e pericoloso, perché:
- accetta passivamente la possibilità di essere sempre sotto-finanziato
- resta succube di una fraintesa idea di sostenibilità,
- in più, le regioni, oltre le ampie facoltà che già hanno con il titolo V, possono solo usare l’arbitrio per contro-riformare il sistema,
- è la negazione di un vero e sano riformismo,
- la sanità secondo me deve restare pubblica.
 
Ma questo ragionamento, con il governo Conte, perde politicamente di senso, perché nel suo programma, c’è scritto chiaro, che la sanità va rifinanziata. Se rifinanzio la sanità che bisogno c’è di dare più autarchia alle regioni con il rischio di compromettere le basi e l’unità del sistema?
 
Mani libere ma senza pensieri liberi
Quando l’Emilia Romagna chiede “mani libere”, non pensa con la logica della “quarta riforma”, quindi  a riformare ciò che non è mai stato riformato ma che avremmo dovuto riformare,  ma con quelle dello skill mix quindi con la logica della massima flessibilità del lavoro, come dimostra la dura opposizione, fatta giustamente dall’ordine dei medici di Bologna, sul 118, con la logica delle mutue regionali, come da anni, questa regione sta cercando sottobanco di mettere in piedi, con quella surrettizia di privatizzare quote del sistema.
 
Le “mani libere” non servono a riformare perché per riformare ci vogliono i “pensieri liberi”, quelli, lo dico con cognizione di causa, che l’Emilia Romagna, ma non solo lei, non ha da parecchi anni. Le mani libere servono a mettere in discussione tutto quanto per questa regione rappresenta un ingessamento, un limite, una regola che la obbliga al rispetto delle regole. Le mani libere equivalgono ad una devolution deregolata.
 
E il Pd che dice?
Davanti ad una controriforma di questo tipo, a quanto pare, senza nessuna opposizione, è inevitabile che, mentre il Pd continua a perdere di sapore come il baccalà quando sta troppo a mollo, ci si chieda: ma su questa faccenda che si dice a sinistra? Oggi, se ci si mette anche la Puglia, tutte le regioni sono indistinguibili tutte, di destra e di sinistra, tutte vogliono tornare sostanzialmente ad un servizio “sanitario regionale”.
 
Oggi chi è che difende davvero i valori della sanità pubblica? Perché la responsabile della sanità del Pd, l’onorevole Marina Sereni,  non dichiara subito l’opposizione politica del proprio partito, dal momento che la linea contro riformatrice di Bonaccini non solo fa perdere voti, ma alla fine porta acqua al mulino dei propri avversari politici.
 
Perché il Pd invece di fare “la guerra delle cene”, non tira fuori una idea rivolta alla sanità che la rassicuri almeno sui valori in gioco, mandando prima di ogni cosa al diavolo il welfare on demand di Renzi? Ma vi siete scordati la “mozione Renzi” sul welfare votata al Lingotto il 10-12 marzo 2017,e poi presentata in pompa magna alle primarie?
 
Volete o no capire che chi non vi ha votato in sanità è perché non solo non condivide ma teme le conseguenze del vostro pensiero contro riformatore che è in tutto e per tutto regressivo e sovrapponibile a quello dei vostri avversari politici. Mettetevi alla testa di una nuova idea di universalismo, battetevi contro la super devolution che tante discriminazioni crea, chiedete che i diritti siano davvero rispettati, e i voti forse li recupererete. Che parlate a fare di eguaglianza tradita e di ingiustizie dilaganti, quando in sanità a partire, dall’Emilia Romagna, non fate altro che affossare il sud? Non c’è ombra di dubbio che il sud non avrà alcun vantaggio dal regionalismo differenziato.
 
Non c’è sinistra senza solidarietà. E di solidarietà nel regionalismo differenziato di Bonaccini e di Zaia e del ministro Stefani, ne vedo davvero poca.
 
Un gioco a somma zero
A proposito di solidarietà nella sua intervista Mario Giordano a un certo punto fa notare, al ministro Stefani, che la sua proposta di legge altro non è che una “secessione dei ricchi”. Il ministro replica che non esiste nessun rischio di “scardinare l’unità nazionale”, ammette tuttavia che, le regioni più ricche, si terranno i loro soldi anche se, precisa, esse avranno “maggiori responsabilità”.
 
Questo è il meccanismo finanziario spiegato dal ministro alla base del regionalismo differenziato:
- “il saldo totale resterà invariato: quando passa la competenza di una materia passano anche le risorse necessarie per farla funzionare”,
- “le risorse saranno calcolate sulla base del costo storico per quel determinato servizio”…
 
… a questo punto Giordano replica: “Quindi non è vero che avranno più quattrini a disposizione? Icittadini cosa ci guadagnano?”
 
La ministra risponde: “ci guadagnano perché siamo convinti che i servizi possono funzionare meglio se sono affidati ai governatori delle regioni” dal momento che “conoscono meglio i loro cittadini e la loro terra”.
 
Ministro Stefani, noi, in sanità con il riordino del 92/93 abbiamo tolto ai comuni le competenze a loro assegnate dalla legge di riforma del 78 e da quel momento in poi le regioni hanno preso il loro posto. Quindi da circa 26 anni le regioni in sanità hanno fatto il bello e il cattivo tempo.
 
Ho già detto al ministro Grillo che secondo me prima di definire delle politiche sanitarie e quindi di mettere mano a delle riforme delicate come quelle sugli assetti istituzionali, ci si dovrebbe preoccupare prima di ogni cosa di fare un bilancio delle esperienze di governo, fatte in questi 26 anni.
 
Le assicuro, dati alla mano, che le regioni, in questo quarto di secolo, quali soggetti istituzionali di governo della sanità non ne escono bene, la loro credibilità è quanto meno controversa, e per non apparirle strumentale trascuro di riferirle i loro rapporti indecorosi con il problema della malasanità e del malaffare con il clientelismo, che da anni riempiono le pagine dei giornali.
 
Apriamo prima di fare danni una discussione
Resto tuttavia convinto caro Ministro Stefani e cara ministro Grillo che:
- le regioni sono in sanità un soggetto di governo indispensabile,
- probabilmente abbiamo sbagliato a liquidare così radicalmente il ruolo dei comuni (senza comuni ad esempio non possono esserci vere politiche per la salute sul territorio e nella comunità),
- non si può tornare al decentramento amministrativo della riforma del 78 ma nello stesso tempo è un grave errore dare poteri su poteri a chi, come dice la celebre storiella, appena si trova un fucile in mano la prima cosa che fa è di spararti addosso.
 
Il regionalismo differenziato per me, insisto, non è la strada da seguire quella giusta è un’altra:
- riequilibrare tra di loro i poteri pubblici centrali e periferici,
- allargare il governo della sanità al controllo sociale quindi ai cittadini,
- considerare gli operatori non costi da governare ma soggetti a loro volta di governo.
 
Non potete continuare a concepire il governo come se la sanità fosse senza soggetti. E non potete pensare che a voi tocca l’onere di governare perché un milione di persone è un branco di imbecilli.
 
Mi auguro che la mia cara sanità si mobiliti per chiedere questa discussione e che  il ministro della salute si adoperi per favorirla e che per questo faccia sentire la sua voce, anche se mi rendo conto, io per primo, che negli equilibri di governo dati, non sia facile.
 
Ivan Cavicchi

19 settembre 2018
© Riproduzione riservata

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