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Focus Sumai-Ca’ Foscari: "Nei prossimi 5 anni rischiano di mancare all’appello circa 4 mila specialisti ambulatoriali"


09 OTT - La stima, illustrata a Perugia, nel corso del 47 Congresso nazionale del Sumi, emerge dall’ampia ricerca svolta dall’Università Ca’ Foscari per conto del Sumai-Assoprof sullo stato e le prospettive della specialistica ambulatoriale interna. Blocco del turnover in metà delle Regioni e precariato galoppante tra i più giovani, combinate al fatto che il 36% dei professionisti over 60 andrà in pensione nei prossimi 5 anni sono le ragioni principali di questo possibile scenario se non s’invertirà la rotta, ma soprattutto la fotografia di una professione che sta vivendo sulla propria pelle il serio problema del mancato ricambio generazionale con il rischio che a pagarne le conseguenze siano prima di tutto i cittadini. Ma veniamo ai numeri.
 
Specialisti ambulatoriali: il 54% ha più di 55 anni.
All’indagine hanno preso parte circa 2.000 specialisti sui 17.000 totali (di cui 12mila iscritti al Sumai). La distribuzione per età degli SAI è così risultata: il 7,6% dei rispondenti ha 40 anni o meno, il 38,4% ha un’età compresa fra i 41 e i 55 anni, mentre il restante 54% ha più di 55 anni (vedi Tab.1). Riguardo al genere, si nota nei rispondenti una leggera prevalenza maschile (54% vs. 46%): considerando, però, l’effetto delle classi di età si nota che fra i più giovani (soggetti con meno di 40 anni) a prevalere sono le donne (60%); nella fascia di età 41-55 anni vi è un sostanziale equilibrio (le donne sono il 49%), mentre negli ultra55enni il dato sulla rappresentanza femminile cala al 38% in linea con i dati sulla presenza femminile nell’ambito delle professioni mediche che è andata via via crescendo in questi ultimi anni.
 
I rapporti di lavoro.
La quasi totalità degli intervistati (92,7%) lavora esclusivamente per una (o più) Azienda Sanitaria/Ospedaliera (94,4% secondo i dati ENPAM), il 2% è impiegato presso l’INAIL (4,2% secondo i dati ENPAM), mentre il restante 4,8% dichiara lavora in entrambe le tipologie di Enti (Azienda Sanitaria/Ospedaliera e INAIL/Altro Ente Pubblico).
Inoltre il 65% dei SAI, in linea con l’età media dei rispondenti, lavora come Specialista Ambulatoriale Interno da più di 10 anni, il 21% da 5 a 10 anni e il 14% da meno di 5 anni.
 
I contratti.
Tra gli under 40 uno su due è precario.
Per quanto riguarda l’aspetto contrattuale, troviamo una netta maggioranza di SAI che dichiara di avere un contratto a tempo indeterminato (l’89,5% dei rispondenti) mentre il restante 10,5% ha un contratto che potremmo definire “precario”, con soluzioni a tempo determinato o di altro tipo. Questi dati, chiaramente indicativi di una tendenza generale, nascondono, però, al loro interno alcune differenze piuttosto marcate rispetto alla dimensione anagrafica: mentre la percentuale degli SAI con più di 40 anni che hanno un contratto a tempo indeterminato raggiunge il 90%, la stessa percentuale (con meno di 40 anni) si abbassa notevolmente negli SAI più giovani fino ad arrivare al 57%. Vediamo quindi che il fattore età influenza in maniera importante la forma contrattuale degli SAI. La questione delle diverse forme contrattuali sembra essere quindi un problema prettamente generazionale: coloro che hanno fatto ingresso nel mondo del lavoro nell’ultimo decennio vedono, rispetto ai loro colleghi più anziani, la formulazione di contratti che offrono una minore stabilità nel tempo. Si tratta di una prima evidenza di quanto il fattore anagrafico giochi un ruolo fondamentale nel differenziare gli Specialisti ambulatoriali.
 
Le motivazioni.
Analizzando le motivazioni (grafico 1) che hanno inizialmente orientato i medici alla scelta professionale di diventare Specialista Ambulatoriale Interno si evidenzia che i due aspetti che hanno influito maggiormente sulle scelte lavorative: il 53,9% dei rispondenti ha, infatti, affermato di aver scelto di diventare SAI “Perché voleva lavorare nelle strutture pubbliche”, mentre il 47,1% (89% anziani oltre i 55 anni, prossimi alla pensione) “Per una maggiore libertà nell’esercizio dell’attività”. Non mancano le scelte più o meno residuali, come “E’ il primo lavoro che ho trovato” (15,9%), “Per via del buon rapporto tra lavoro e guadagno (10,4%), “Per un miglior rapporto con le altre figure professionali” (9,3%), “E’ stato il primo concorso che ho fatto” (8,9%) e “Perché non ho trovato un altro tipo di lavoro” (7,2%), con percentuali di risposta più alte nelle fasce di età più giovani soprattutto per gli ultimi due item citati (rispettivamente 13,6% vs. 8,9% e 22,8% vs. 7,2% nella fascia di età degli SAI con meno di 40 anni). 
 
Soddisfazione professionale.
Il 56% dei rispondenti dichiara che la figura professionale del SAI è decisamente o abbastanza valorizzata nel proprio contesto professionale, mentre il restate 44% pensa che non sia particolarmente o assolutamente valorizzata: una percentuale, quest’ultima, non certamente trascurabile che sale addirittura (e coerentemente) al 61% per gli SAI che lavorano all’interno delle strutture ospedaliere (in reparto, pronto soccorso etc).
 
Il fattore identitario.
In sede di indagine è stato chiesto agli SAI di indicare, su una scala da 1 a 5, rispettivamente, quanto ritenessero importante (1= per nulla importante 5= molto importante) e fattibile nel proprio contesto lavorativo (1= per nulla fattibile 5= molto fattibile) ogni singolo fattore di identità dello SAI, allo scopo di comprendere quanto il profilo di identità idealmente definito sia condiviso dagli Specialisti e quanto possa essere realisticamente implementato nella pratica lavorativa.
Il fattore di identità che ha avuto il punteggio più alto per l’importanza è “Costruire un rapporto fiduciario e continuativo con il paziente” che ha una media dei giudizi corrispondente a 4,7 (dev. std.=0,8), seguito da “Assicurare il raccordo con la struttura ospedaliera per i casi complessi che necessitano di un ricovero o di accesso al P.S” e “Formazione Continua”, che hanno ottenuto un valore medio di 4,6 (dev std=0,9). I fattori che invece hanno avuto punteggi più bassi sono quelli relativi alla “Flessibilità della sede di lavoro” (media= 3; dev. std.=1,5), “Svolgere prestazioni specialistiche presso altre strutture” e al “Partecipare alle ammissioni e dimissioni protette” che hanno ottenuto una media di 3,2 (dev.std.=1,5).
 
Il fattore anagrafico.
Il 36% degli over 60 andrà in pensione nei prossimi 5 anni.
Il fattore anagrafico è quello che maggiormente concorre a determinare le differenze riscontrate nell’indagine, come ben sintetizzato attraverso la cluster analysis: gli Specialisti Ambulatoriali Interni più giovani, infatti, presentano una situazione di maggiore precarietà lavorativa (contratti a tempo determinato), spesso con occupazioni “improprie” rispetto alla figura (in reparti ospedalieri), con un maggiore utilizzo anche nei giorni festivi e nelle ore notturne.
Questa constatazione è strettamente connessa con altre due che riguardano sempre la variabile età, con particolare riguardo alle classi di età più avanzate. La prima è relativa alla forte asimmetria della distribuzione per età degli Specialisti Ambulatoriali Interni: le età più avanzate sono numericamente più consistenti di quelle  giovani. A questa si unisce una seconda considerazione relativa al fatto che la maggior parte di ultra 65-enni (76%) e una buona parte degli ultra 60-enni (36%) intende andare in pensione nei prossimi cinque anni (in totale 4 mila medici). Il combinato disposto di questi elementi apre un interrogativo sul futuro della continuità di una qualificata assistenza specialistica sul territorio mettendo in evidenza che nonostante i dispositivi legislativi Balduzzi 189/2012 e Patto della Salute 2014/2016 che professano un potenziamento del territorio e dei medici convenzionati in AFT e UCCP molte regioni by-passano il blocco del turn-over ospedaliero con l’utilizzo di specialisti convenzionati distraendo risorse economiche, già destinate al territorio, verso l’ospedale e quindi in piena contraddizione sui principi e le leggi sopra ricordate.
 

09 ottobre 2014
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