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Mezzadri (Cgil): “La crescita delle professioni sanitarie fa risparmiare, ma a noi non arriva niente”


09 DIC - Gianluca Mezzadri è il coordinatore delle professioni sanitarie nella FP Cgil nazionale. Non è un sindacalista a tempo pieno, ma un tecnico della prevenzione, uno che fa ispezioni e controlli per la salute, soprattutto negli ambienti di lavoro.

Mezzadri, cosa è cambiato sotto il profilo della retribuzione, quando la formazione delle professioni sanitarie è entrata all’Università?
L’unica cosa che si è fatta quando queste professioni sono “diventate” laureate, nel 2001, è stato portarle nella categoria di ingresso delle altre professioni con la laurea, cioè portarli dalla categoria C alla categoria D, che ha significato circa 2.800 euro in più sulla busta paga di un anno. Da lì in avanti ci sono stati solo adeguamenti, con circa 100 euro in più ad ogni rinnovo contrattuale. E l’ultimo rinnovo, firmato sulla base dei parametri dell’accordo separato firmato da Cisl e Uil, porta solo 70 euro di aumento.
Noi lavoriamo con medici che portano a casa circa due volte e mezzo lo stipendio di un infermiere o di un professionista sanitario, partendo da 3.300 euro per arrivare a oltre 5mila. È ovvio che un infermiere quando questi confronti li fa: si trova a lavorare nello stesso reparto, vede le attività che svolge…
Per questo si arrabbiano?
C’è da capirli!
 
Quale può essere la via d’uscita?
Quando parliamo di professioni sanitarie arriviamo a parlare di 550/600mila operatori. Sono numeri grandi e per questo la mancanza di soldi ci ha sempre impedito di trovare soluzioni. E ci sono i problemi anche rispetto a tutte le attività che attengono al personale laureato: il riconoscimento della docenza, i master professionalizzanti che non sono riconosciuti. È chiaro che sono riconoscimenti che non sollevano tutta la platea ma solo di qualcuno, però anche queste sono cose sentite. Adesso il ministero della Salute sta tirando la volata sul discorso delle docenze, che il ministro Fazio ha inserito nel Piano sanitario nazionale. Ma anche per fare questa cosa ci vogliono soldi, e invece si parla sempre di riforme “a costo zero”.
 
Dunque, non c’è soluzione?
La verità è che si dovrebbe fare una riflessione più ampia: la crescita professionale dal basso efficientizza l’assistenza e quindi fa risparmiare il sistema; questi risparmi dovrebbero essere reinvestiti nelle professioni sanitarie, invece servono a fare cassa.
 
Anche le esternalizzazioni dei servizi servono a fare cassa. Colpiscono anche gli infermieri?
È un fenomeno in crescita, anche nel Ssn, per effetto del blocco delle assunzioni e dei Piani di rientro. Così può succedere che vengano assunti infermieri con borse di studio o altri “trucchi”: non tutelati, non garantiti e con il rischio di provocare il cosiddetto dumping contrattuale.
Per questo, stiamo ragionando su un’idea di contratto che riconosca la tipologia di lavoro, per evitare che lo stesso lavoro, nello stesso posto abbia retribuzioni diverse: i dipendenti, la cooperativa, ecc. Vedremo come sviluppare questa idea.
 
Eva Antoniotti

09 dicembre 2010
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