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Infermieri. Parla la presidente Mangiacavalli: “Stipendi bassi e vecchi modelli organizzativi allontanano i giovani dalla professione. E in Italia ci saranno sempre meno infermieri”

di Giulio Nisi

La presidente della Fnopi lancia un forte allarme per il futuro della professione in occasione dell'evento finale del 2° Congresso nazionale della Federazione. “Senza prospettive di carriera, senza un corrispettivo che consideri l’impegno e la formazione di alto livello, la professione infermieristica perde quell’attrattività di cui invece il sistema ha oggi bisogno per fare fronte alle gravi carenze quali-quantitative di personale”

16 DIC - “Il futuro della sanità dipenderà dalla capacità di lavorare insieme delle professioni sanitarie. Sono questi i due pilastri del nuovo modello. Se viene a mancare solo uno di questi, non saremo in grado di vincere le sfide che abbiamo di fronte. Il domani per la sanità è nel futuro che sapremo dare ai più fragili, come è già stato ampiamente indicato a livello nazionale ed europeo anche grazie al PNRR e a tutto il lavoro che il governo con i suoi ministri e tutte le istituzioni stanno facendo e a quello che ogni Regione sta implementando”.
 
La pensa così la presidente della Fnopi, Barbara Mangiacavalli che in quest’intervista a margine dell’evento finale del secondo Congresso Nazionale della Federazione traccia la rotta per il futuro della professione ma mette in guardia sui rischi che si corrono se non si avrà il coraggio di investire risorse e riformare i modelli organizzativi che regolano il lavoro degli infermieri.
 
Presidente, il secondo Congresso nazionale della Federazione degli ordini degli infermieri ha “inventato” una modalità nuova di svolgersi negli anni di Covid
E’ stato pensato ‘itinerante’  per svolgerlo senza assembramenti, ma con i componenti del Comitato centrale in viaggio con varie tappe a Nord Est, Nord Ovest, Centro-Sud adriatico, Centro-Sud tirrenico e Isole, limitando al massimo e secondo le normative Covid gli assembramenti, verificando l’assenza di contagi e presentando in ogni occasione le buone pratiche e le eccellenze della professione infermieristica – ne abbiamo premiate 50 finora - che, soprattutto sul territorio, hanno consentito di affrontare l’assistenza, anche durante la pandemia, rimanendo sempre vicini ai cittadini, non lasciando solo nessuno e  con l’unico obiettivo di soddisfare tutti i diversi bisogni di salute anche durante l’emergenza Covid.
Buone pratiche che hanno dimostrato come la professionalità e la prossimità degli infermieri sia in grado di programmare la migliore assistenza rispetto ai reali bisogni dei cittadini e, spesso, anche di dare un nuovo supporto rispetto all’assistenza tradizionale. Abbiamo visto infermieri al lavoro e con nuove iniziative nelle case dei cittadini, in centri dedicati all’accoglienza e all’assistenza, nelle scuole, in strutture dedicate ad anziani e fragili, nelle farmacie.
Tutto questo con un unico investimento: quello della professionalità, della volontà e della vicinanza alle persone dei nostri professionisti.
 
Ora si svolge la tappa conclusiva del 2021 a Roma, alla presenza delle massime autorità sanitarie e dei Parlamentari che in questo momento sono alle prese con la legge di Bilancio probabilmente più “ricca” degli ultimi 20 anni per la sanità. Con quali obiettivi?
L'obiettivo è illustrare e dibattere sulle proposte per il futuro della sanità, dell’assistenza e della salute dei cittadini e anche delle novità e dell’impegno che aspettano da domani le professioni. Io parlo per gli oltre 456mila infermieri presenti in Italia, il 60% del personale sanitario del Ssn.
Il futuro della sanità è nella salute e qualità della vita che sapremo dare ai più fragili e nella prevenzione che saremo in grado di insegnare ai sani di ogni età.
Il futuro della sanità dipenderà dalla capacità di lavorare insieme delle professioni sanitarie.
Sono questi i due pilastri del nuovo modello.
Se viene a mancare solo uno di questi, non saremo in grado di vincere le sfide che abbiamo di fronte.
Il domani per la sanità è nel futuro che sapremo dare ai più fragili, come è già stato ampiamente indicato a livello nazionale ed europeo anche grazie al PNRR e a tutto il lavoro che il governo con i suoi ministri e tutte le istituzioni stanno facendo e a quello che ogni Regione sta implementando.
 
La casa primo luogo di cura e di assistenza è lo slogan del nuovo modello che si sta disegnando. Ma ci sono anche le Case della Comunità, la revisione della rete ospedaliera, la prevenzione che finora è davvero carente.
Per fare tutto questo è necessaria una rete sanitaria territoriale capillare, con un approccio proattivo che assicuri anche minor rischio di sviluppo, riacutizzazione e progressione delle condizioni croniche, una riduzione dei ricoveri ad alto rischio di inappropriatezza.
Maggiore appropriatezza quindi e integrazione sociosanitaria con la possibilità di rispondere in modo personalizzato alle necessità della persona e della famiglia. Per questo sarà necessario, tra l’altro, personale sanitario specializzato e formato, con compensi e possibilità di carriera adeguati e dedicato soprattutto ai fragili per una migliore presa in carico della comunità di riferimento. E soprattutto in numero sufficiente alle esigenze del nuovo modello.
In questo disegno l’infermiere è il naturale ‘collettore’ sia delle professioni tra loro che tra le professioni e i cittadini.
 
Ci vuole un “nuovo infermiere” quindi per tutto questo?
L’infermiere che nasce con il PNRR – e che tuttavia è già quello che opera oggi nei servizi sanitari e al quale le evidenze della pandemia hanno dato massima visibilità – è un infermiere formato ad hoc, specialista per aree di competenza, che si occupa del coordinamento dei servizi, ma anche della gestione e del monitoraggio dell’assistenza alla persona.
Un infermiere che non ha maggiori responsabilità rispetto a quelle che gli sono già proprie oggi, ma che assume un ruolo di case manager per garantire che l’assistenza scorra liscia sul territorio e che gli ospedali restino davvero luogo di elezione dell’acuzie e dei casi gravi, mentre l’assistenza e la prossimità siano patrimonio del territorio.
Compiti questi che miglioreranno la compliance dei cittadini, ridurranno le liste di attesa e taglieranno i ricoveri, anche quelli impropri, con un vantaggio per i professionisti che potranno lavorare al meglio secondo la loro formazione, per i cittadini che ovviamente troveranno un percorso efficiente e senza duplicazioni, per il sistema che eviterà colli di bottiglia nell’assistenza e spese inutili perché improduttive rispetto a una gestione organizzata dei servizi.
 
La FNOPI ha le idee chiare a quanto pare. Ma non crede che su questa strada ci siano un po’ di ostacoli?
La prima criticità è la necessità di cambiare il paradigma di riferimento: dobbiamo essere in grado di lavorare davvero tutti insieme: non va messa al centro nessuna professione o setting assistenziale, ospedale o territorio che sia.
Bisogna mettere al centro il cittadino assistito con i propri bisogni di salute di assistenza.
 
La seconda criticità è che non abbiamo bisogno solo di rilanciare il nostro Paese, ma anche di recuperare tutto quello che abbiamo perso durante la pandemia e per farlo si deve parlare una lingua multiprofessionale perché dall'intervento chirurgico alla visita specialistica e a tutte le attività di prevenzione e promozione della salute sono in gioco le competenze le professionalità di tutto il sistema sanitario nazionale.
 
La terza criticità riguarda il fabbisogno di personale. Non è solo una questione di numeri da formare, su cui peraltro l'Università ci fa presente i suoi problemi strutturali. È il problema di formare, ma con qualità e appropriatezza.
È evidente che non possiamo pretendere dall'università la messa in campo immediata dei numeri di nostri professionisti che occorrerebbero per mettere a terra il PNRR. Ma se non mettiamo in sicurezza la formazione universitaria e aumentiamo i nostri ‘ professori’ che oggi sono davvero pochi, ma rappresentano la garanzia di una formazione di qualità, il problema si complica.
 
Altro aspetto è che rischiamo di definire fabbisogni legandoli agli attuali modelli organizzativi che però, come ho detto, devono essere cambiati: non si possono mettere professionisti nuovi con competenze nuove dentro modelli vecchi. È un argomento che chiediamo sia messo davvero nell'agenda politica e istituzionale, perché sia affrontato in maniera strutturata e si possa lavorare sulla definizione dei fabbisogni di personale mettendoli in rete, in una logica trasversale con un paradigma diverso, rispetto al quale sono chiamati in causa l'università, il nostro ministro vigilante, quello della Salute, le Regioni e i principali stakeholder, dalle aziende sanitarie pubbliche alle organizzazioni datoriali private.

In che modo si affronta il problema secondo lei?
Quella della qualificazione del corpo docente è una sfida imprescindibile che ho condiviso con il ministro Speranza e con il ministro Messa e su cui intendiamo continuare a riflettere e lavorare per una definizione quali-quantitativa dei professionisti. In assoluto poi vanno innovati i percorsi formativi delle professioni sanitarie e, per quanto riguarda le professioni che rappresento, il tema ormai imprescindibile è anche quello delle specializzazioni, orientando le lauree magistrali verso una formazione specialistica anche di tipo clinico: oltre il tema manageriale è necessaria una riflessione sullo sviluppo delle competenze cliniche specialistiche. È arrivato veramente il momento di provare a ripensare alle declinazioni dei diversi profili delle diverse professioni, agli sviluppi specialistici delle professioni in coerenza con i bisogni di salute della popolazione da un lato, ma anche con le finalità del servizio sanitario nazionale dall’altro.
 
Un aspetto non meno rilevante poi, è, in questo momento particolarmente critico dove tutto il paese ha toccato con mano – purtroppo - la carenza infermieristica, che le assunzioni fatte con i decreti d'emergenza – e non solo degli infermieri - hanno comportato la creazione di un vuoto pneumatico in tutto quello che è fuori dal Ssn, sguarnendo servizi e strutture che sono quelle che si occupano per tradizione e in gran parte proprio dei più fragili, del territorio.
 
Ma formare nuovi infermieri non significa averli a disposizione già domani, come invece i nuovi modelli sembrano indicare.
Ferma restando l’importanza essenziale della formazione, la carenza richiede ora interventi a breve e medio termine, in attesa che il numero di professionisti indispensabile sia formato.
Noi abbiamo formulato alcune ipotesi di intervento: la carenza è adesso e non possiamo aspettare 4-5 anni necessari alla formazione.
Per questo stiamo auspicando il superamento definitivo del vincolo di esclusività, perché permetterebbe di utilizzare la risorsa professionale oggi esistente anche in maniera più flessibile più elastica, ovviamente dentro norme e una governance definita così come è accaduto per chi ha già superato il vincolo, come la dirigenza sanitaria e medica.
 
E il nodo dolente delle retribuzioni?
Anche quello della valorizzazione economica, è un tema scottante, di cui la Federazione ha dibattuto e analizzato con i sindacati. Rientra nella necessità di modifiche normative e contrattuali perché è evidente che le partite del contratto si giocano su altri tavoli e sono anche tavoli molto peculiari. Nessuno di noi, in quanto ordini, è titolato a partecipare a questi tavoli però indubbiamente è un tema rilevante: la professione infermieristica, ad esempio, rispetto ai costi standard di vita degli altri paesi europei è decisamente quella meno pagata, ma credo che gli infermieri siano in buona compagnia in questo senso con tutte le altre professioni sanitarie. Senza prospettive di carriera, senza un corrispettivo che consideri l’impegno e la formazione di alto livello, la professione infermieristica – e molte altre professioni – perde quell’attrattività di cui in vece il sistema ha oggi bisogno per fare fronte alle gravi carenze quali-quantitative di personale.
 
Giulio Nisi
 

16 dicembre 2021
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