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Neonato morto al San Giovanni. Per neonatologi e infermieri è “una tragedia che si poteva evitare”


La Società italiana di Neonatologia e la Società italiana di Scienze infermieristiche pediatriche puntano il dito contro il mancato ammodernamento della strumentazione negli ospedali. “Dispositivi per evitare queste tragedie esistono da anni, ma in Italia ce ne sono pochissimi".

26 LUG - L’evento accaduto presso l’ospedale San Giovanni di Roma ha riacceso i riflettori sul problema della sicurezza in ospedale conosciuto con il termine inglese di “risk management” o di “gestione del rischio clinico”. Perché il decesso del neonato nell’ospedale capitolino a causa di uno scambio a causa di uno scambio tra il catetere enterale per il latte materno e quello parenterale per la soluzione fisiologica è una tragedia che poteva essere evitata. Ne sono convinte sia la Società italiana di Neonatologia (Sin) che la Società italiana di Scienze infermieristiche pediatriche (Sisip).

“Nelle Tin (Terapie Intensive Neonatali), in particolare, le prescrizioni e gli interventi terapeutici sul neonato critico sono numerosissimi, talora nell’ordine delle centinaia al giorno. La possibilità di scambiare la linea infusionale endovenosa con quella enterale è una evenienza assai pericolosa, resa possibile dal fatto che la soluzione parenterale (la soluzione endovenosa che nutre i neonati non in grado di assumere cibo per bocca) ha un colore assolutamente indistinguibile dal latte; da qui sorge il rischio bene conosciuto dai neonatologi (alcuni lo hanno sperimentato in passato con esiti fortunatamente meno drammatici del caso di Roma) di scambiare le due linee e inserire in vena ciò che deve andare nell’intestino e viceversa”, spiega la Società italiana di neonatologia (Sin).

Ma da qualche anno, sottolinea la Società italiana di Neonatologia, “in seguito alla normativa della Comunità Europea del 2001 (UNI EN 1615 "Cateteri e dispositivi di nutrizione enterale monouso e loro connettori") ed alle molteplici segnalazioni negli altri Paesi, sono disponibili dei presidi che rendono bene identificabile ciò che va infuso per la via intestinale e annullano il rischio di fare questo errore spesso fatale”.

Tuttavia, denuncia la Sin, “poche sono le neonatologie attrezzate con questo sistema, probabilmente nell’ordine di una decina in Italia, malgrado tutti ripetano che prevenire è meglio che curare. Alla luce di questo caso, ci si chiede perché così poche Neonatologie hanno adottato questo sistema di prevenzione. Il motivo risiede nei costi: come tutto ciò che è migliorativo costa un po’ di più (non cifre astronomiche, nell’ordine di qualche migliaio di euro all’anno) e solo le istituzioni più illuminate hanno assecondato i clinici in questa scelta”.

La Società Italiana di Neonatologia lancia quindi un appello affinché “le amministrazioni si sensibilizzino su questo tema e, malgrado i momenti critici della sanità, scelgano di investire nella sicurezza dei neonati ricoverati nelle Terapie Intensive Neonatali adottando questo semplice sistema preventivo e assecondando le richieste che in tale senso giungono alla loro osservazione da parte dei neonatologi”.

Necessità condivisa anche dalla Società italiana di Scienze infermieristiche pediatriche (Sipis). “La ricerca nel campo del rischio clinico – spiega il presidente Filippo Festini - ha ampiamente dimostrato che, salvo rarissimi casi, gli errori in medicina sono l'effetto finale di vari fattori combinati uno dei quali, ma mai l'unico, è il fattore umano. Gli errori fanno parte della natura umana e sono facilitati da molti fattori favorenti, tra cui l'eccessivo carico di lavoro, la stanchezza, il numero elevato di pazienti da assistere, le interruzioni ecc.). La ricerca ci dice che la parte umana dell'errore può essere ridotta ma non eliminata del tutto. Però l'organizzazione dell'Ospedale può includere al proprio interno un certo numero di misure e di precauzioni che la ricerca ha ormai comprovato essere efficaci da un lato nel ridurre i fattori favorenti gli errori e dall'altro nell'intercettare gli errori quando l'essere umano è sul punto di commetterli. Una di queste misure è quella che non è stata usata nel piccolo neonato morto a Roma e consiste nell'utilizzare set di presidi e di materiale monouso differenziati per le vie enterali (quelle collegate al sistema gastroenterico del bambino) da un lato e per le vie venose (collegate al circolo sanguigno) dall'altro”.

La differenziazione, specifica Festini, “non è solo e non tanto nel differente colore (che ne rende evidente il diverso uso) ma soprattutto nella diversa conformazione delle estremità, cioè dei connettori. Se, come è successo nel caso del piccolo Marcus, i presidi non sono differenziati, qualunque operatore sanitario, stanco o distratto o quant'altro potrà erroneamente collegare due connettori compatibili tra loro. Ma se questi sono diversi ed incompatibili tra loro, anche se l'operatore deconcentrato e stanco proverà a connetterli, quest'azione gli sarà materialmente impossibile e l'errore non giungerà a compimento”.

E' qualcosa di molto simile a ciò che viene fatto per impedire che il gasolio venga messo nel serbatoio di un'auto a benzina o viceversa: le bocchette del serbatoio hanno colori e dimensioni diverse e non appena avviciniamo la pompa del gasolio alla bocchetta del serbatoio di benzina ci accorgiamo dell'errore (perché la pompa non si adatta alla bocchetta).

“La cosa grave – prosegue il presidente della Sisip - è che questi dispositivi anti-misconnessione per terapie intensive neonatali (ma non solo: servono anche per gli adulti) esistono da molti anni, ma pochissime Tin in Italia le usano. Peggio ancora: il loro uso è obbligatorio dal 1997; lo prevede uno standard Europeo, l'EN1615, aggiornato nel 2000. Dunque, perché ancora in tanti ospedali non vengono acquistati e messi a disposizione degli infermieri delle Tin Italiane?”.

Secondo Festini, “un'organizzazione ospedaliera ha il preciso dovere di ridurne il più possibile il rischio per i propri pazienti. Le misure di prevenzione sono note, esistono, sono efficaci e generalmente costano anche poco, eppure non vengono usate, quasi che l'errore fosse da considerare ancora una fatalità inevitabile. Quando poi succedono fatti tragici come quello di Roma, solitamente la Magistratura coinvolge nell'accertamento delle responsabilità penali solo i medici e gli infermieri, come se la responsabilità penale fosse solo di chi ha materialmente connesso il deflussore con il catetere sbagliato e non anche chi non ha fornito i presidi che lo avrebbero impedito”.

Perché fatti come quelli di Roma non avvengano più, Festini si affianca all’appello della Sin nel ritenere “indispensabile che chi dirige le aziende sanitarie sia adeguatamente preparato sull'importanza di investire in sicurezza dei pazienti e garantisca agli Infermieri ed agli altri operatori sanitari gli strumenti ed i presidi -spesso di costo irrisorio- necessari a prevenire gli errori”.

 

26 luglio 2012
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