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Indagato per omicidio colposo, specializzando archiviato: “Non può rispondere di errori diagnostici fatti dal suo tutor”

di Arnaldo Iodice

La storia di un giovane medico indagato, insieme ad altri sette colleghi, per il decesso di un paziente. Dopo un anno dall’inizio del procedimento la sua posizione è stata archiviata (a differenza di quella degli altri medici chiamati in causa).

01 GIU -

Ricevere la notizia di avvio delle indagini per omicidio colposo non può che essere un brutto colpo per qualsiasi medico. Specie se questi è uno specializzando, e dunque agli inizi della sua carriera. Per fortuna, però, il procedimento nei confronti del giovane camice bianco è stato archiviato dopo un anno esatto dall’inizio. Solo pochi giorni fa, infatti, sono scaduti i termini per presentare reclamo verso il decreto di archiviazione. Il motivo? Gli specializzandi prestano servizio sotto la guida dei loro tutori e sono questi ultimi a rispondere di eventuali errori diagnostici. Ma vediamo il caso specifico.

L’apertura delle indagini e l’intervento legale

“La richiesta di supporto legale – spiega l’avvocato Francesco Del Rio, partner di Consulcesi & Partners, che ha gestito i primi passaggi – ci è arrivata dal padre dello specializzando, anch’egli medico. Dopo essermi fatto spiegare quale fosse la problematica, mi sono attivato personalmente per fornirgli tutto il supporto consulenziale di cui lo specializzando aveva bisogno”. Il caso viene insomma preso in carico all’istante e nel giro di pochissime ore gli vengono forniti una consulenza legale approfondita sul problema, un avvocato pronto a patrocinarlo in Tribunale e un medico legale di altissimo profilo. “Gli abbiamo subito fornito tutte le indicazioni e le informazioni che gli servivano – continua l’avvocato Del Rio –, lo abbiamo tranquillizzato e ci siamo messi subito all’opera per dargli tutto il sostegno legale necessario per affrontare al meglio e nel più breve tempo possibile questa difficilissima situazione”.

Il processo

Alcuni medici del Pronto soccorso di un ospedale di Roma vennero indagati in concorso per il reato di omicidio colposo di un paziente a cui era stato somministrato un vaccino anti-Covid, il quale, secondo l’ipotesi accusatoria del collegio di consulenti del Pubblico ministero, aveva causato effetti collaterali letali.

“L’accusa – spiega l’avvocato Giacomo Scicolone (Studio legale Scicolone, partner della rete di studi di Consulcesi & Partners) che ha trattato il caso – aveva ad oggetto il trattamento delle complicanze insorte dopo la vaccinazione, ossia l’omessa diagnosi (una diagnosi adeguata che non avesse omesso di valutare alcuni sintomi e risultati degli esami), da parte dei medici del Ps, di una problematica che sarebbe risultata letale. Omissione che si sarebbe posta in nesso causale con il decesso, avvenuto in un altro ospedale”.

Secondo l’ipotesi accusatoria una diagnosi precoce e una corretta e tempestiva terapia avrebbero modificato sensibilmente la prognosi del paziente, aumentandone in modo consistente le chance di sopravvivenza. In particolare, questa condotta avrebbe ritardato l’intervento che è stato poi effettuato successivamente nell’altro ospedale.

La memoria della difesa

Dieci giorni dopo l’avviso della conclusione dell’indagine, la difesa ha depositato la sua memoria, a cui era allegata una consulenza tecnica redatta dal consulente medico legale e chiedeva l’archiviazione della posizione dell’indagato. La memoria difensiva era incentrata su diversi punti:

intervento del medico in una fase temporale che non avrebbe modificato la prognosi del paziente e intervento limitato ad un'unica prescrizione di un farmaco;

la posizione del medico in formazione specialistica che esclude, nel caso concreto, profili di responsabilità che, semmai sussistono, sono da addebitare al tutor;

contestazione nel merito dell’incolpazione e rispetto linee-guida.

Il Pubblico ministero accolse la richiesta di archiviazione sulle argomentazioni della memoria difensiva e, in particolare, anche sulla posizione specifica del medico. Il quale, come detto, era uno specializzando che si è limitato, sostanzialmente, ad un’unica prescrizione di un farmaco.

I familiari della persona deceduta fecero poi opposizione alla richiesta di archiviazione e il Gip fissò un’udienza per discuterla.

Le argomentazioni a sostegno dell’archiviazione

L’avvocato Scicolone, nel commentare il provvedimento di archiviazione, spiega che la disciplina dei medici specialisti è contenuta nel D. lgs. n. 368/99 all’art.38 comma 1 e prevede che il medico in formazione specialistica effettua ogni attività formativa e assistenziale sotto la guida di tutori. Il comma 3 dello stesso articolo precisa che “la formazione del medico specialista implica la partecipazione guidata alla totalità delle attività mediche dell’unità operativa […] nonché la graduale assunzione di compiti assistenziali e l’esecuzione di interventi con autonomia vincolata alle direttive ricevute dal tutore”. In nessun caso l’attività del medico in formazione specialistica è sostitutiva del personale di ruolo. Da ciò si evince che il medico specializzando è titolare di una posizione di garanzia del paziente che sia affidato alle sue cure e risponde degli eventi dannosi verificatisi per inosservanza delle leggi dell’arte medica (Cass. Pen. Sez. IV 10.7.2008 Sforzini). Egli agisce tuttavia nell’ambito di un’autonomia vincolata, in quanto ogni sua attività “si svolge sotto la guida di tutori e la graduale assunzione di compiti e interventi avviene sotto le direttive ricevute dal tutore”.

Ne consegue che lo specializzando può rispondere dell’errata esecuzione delle attività a lui demandate dal tutor, ma certamente non della bontà della scelta di queste attività né delle omissioni di diagnosi di patologie o delle omissioni di terapie doverose, le quali gravano, anche in questo caso, unicamente sul tutor.

E infatti, “le vicende in cui la Suprema Corte ha ritenuto corretta l’affermazione della responsabilità penale del medico specializzando avevano tutte ad oggetto, per quanto consta, casi di imperizia nell’esecuzione delle direttive ricevute o nell’esecuzione di attività poste in essere del tutor (si veda, in proposito: Cass. Pen. Sez. IV 10.7.2008. - Cass. 6.10.99, Tretti)”.

Tornando al caso in esame, il medico andava esente da responsabilità in quanto, da un lato, non era stata accertata che la specifica condotta dell’indagato si sia posta in nesso causale con il decesso e, dall’altro, non è emerso che lo stesso abbia adottato scelte terapeutiche in autonomia, e cioè al di fuori delle direttive ricevute dal tutor. Per queste considerazioni, conclude l’avvocato Scicolone commentando il provvedimento, non può affermarsi che possa rispondere di eventuali omissioni diagnostiche o erronee scelte terapeutiche addebitabili al tutor, trattandosi di condotte non rientranti nelle attività attribuite allo specializzando.

La testimonianza del medico

“Non è stato un periodo facile – spiega il giovane medico a Quotidiano Sanità –. Quando ho ricevuto la notifica, mio padre, già cliente Consulcesi, ha chiesto supporto legale e, per fortuna, la questione si è risolta per il meglio in un solo anno”. Un anno, considerati i tempi sempre molto lunghi della giustizia italiana, è roba da poco. Ma è pur sempre un anno di preoccupazioni, specialmente se un’accusa così pesante arriva a carriera appena iniziata: “I legali di Consulcesi & Partners mi hanno subito tranquillizzato sulla mia posizione e mi hanno seguito passo dopo passo. Certo, i primi tempi a lavoro ero un po’ più insicuro, anche perché opero in Pronto soccorso e lì le situazioni da gestire sono sempre difficili, ma con il tempo mi sono ripreso”.

Arnaldo Iodice



01 giugno 2023
© Riproduzione riservata

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