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Parti cesarei. E se provassimo a recuperare la cultura della “naturalità” del parto?

di Sandra Morano

La gravidanza non è una malattia e la nascita fa parte della normalità dell’esistenza. E centinaia di evidenze scientifiche da alcuni decenni hanno dimostrato che i migliori esiti si ottengono quando le cure sono erogate da personale non specialistico

22 GEN - Oggi Medici Ostetrici ed Ostetriche appaiono uniti, forse per la prima volta, da quando il parto è divenuto una prestazione ospedaliera. Malgrado siano da sempre in competizione a condividere uno spazio – quello della nascita, che, come quello della morte, è stato impropriamente occupato dalla Medicina, o meglio, dai suoi canoni, l’istituzionalizzazione, le gerarchie, le regole. Beffardamente tutti i media, nel titolare “Un giorno senza nascite”, che vuole significare senza aiuto alla nascita, hanno implicitamente sbattuto in prima pagina gli esiti di questa impropria occupazione, e cioè che “I due terzi di quelle nascite rischiano di essere rinviate”.
 
Si tratta di parti cesarei programmati, cioè il modo in cui “normalmente” si nasce in Italia. Fonti del Ministero della salute indicano che il 99,2% di quei neonati ha riportato un punteggio APGAR tra 7 e 10: si tratta di neonati sani, nati da donne in buona salute. Non è questa la sede per una ricostruzione della progressiva trasformazione della disciplina ostetrico ginecologica, l’unica che cura due persone contemporaneamente, nell’advocacy del feto rispetto alla donna. L’osservazione e la misurazione di questo in utero ha prevalso sulle millenarie competenze della donna, per cui dalla incapacità ad essere accompagnata dalla “sola “ostetrica” alla incapacità a partorire per l’obsoleta via vaginale il passo è breve. E la posta valeva ben la candela.
 
Da sempre i ginecologi non godono di buona fama, non di rado considerati cacciatori di uteri ed esperti delle nascite ad orario. In mezzo una minoranza silenziosa che vive in un rapporto di rispetto con il parto. Il fatto è che la gravidanza è un mercato a buon mercato, che finora valeva la pena di incrementare con ecografie e tagli cesarei programmati (guardare le medie di esami in gravidanza in Europa!). Oggi rischia di non esserlo più. Ben prima dell’imminente diluvio un responsabile atteggiamento avrebbe richiesto a politici e tecnici di guardare al miglior modo di amministrare le risorse da destinare al continente “cure alla nascita”. Trattandosi per la maggior parte di donne sane, appunto, sarebbe stato facile adottare politiche di sostegno alla maternità che facessero leva proprio su quel benessere di cui, nonostante le varie spending review, le donne, italiane e straniere oggi godono, come vediamo quotidianamente negli ambulatori pubblici, anche grazie a quel che ancora resta del nostro SSN.
 
Sostenere le competenze procreative delle donne, facilitare le scelte di maternità, dare fiducia alla crescita anche demografica è una delle più importanti misure di civiltà di un paese. E costa poco. La continuazione della vita sulla terra , paradossalmente, ha più bisogno di cultura che di costosi dispositivi specialistici. Il clima diffuso e percepito di paura e del rischio al parto, nata dal circolo vizioso sopra descritto, avrebbe solo bisogno di uno sforzo ri-educativo, a partire dalle sedi universitarie a ciò deputate, rivolto alle donne, ai media spesso troppo superficiali, alla popolazione.
Invece a questo problema sono state offerte come uniche soluzioni la riorganizzazione dei punti nascita (soprattutto al Sud, la maggior parte dei centri in cui si praticano alti numeri di TC sono strutture con numero di parti inferiore a 500/anno) e l’introduzione nei LEA del parto in epidurale. E, quindi, di altri specialisti in sala parto. Mentre l’assunzione di una sola ostetrica per assicurare quell’assistenza continuativa ed insostituibile per tutta la durata del travaglio che chiunque abbia partorito ben ricorda (il famoso rapporto one-to-one-una ostetrica una donna- previsto in tutte le Linee Guida ) è, di questi tempi, considerata impossibile. In un paese civile l’outing generato da questa specifica inaudita proclamazione di sciopero delle sale parto-operatorie porrebbe qualche quesito a chi si occupa della salute del paese. E’ vero, il livello di guardia del contenzioso medico legale contro i Medici ha raggiunto dimensioni sproporzionate, anche solo in relazione ad altri paesi europei, e tutti noi professionisti quotidianamente ne siamo tanto consapevoli quanto esposti.
 
Ma per quanto riguarda l’area ostetrica bisognerebbe ricordare che la gravidanza non è una malattia e che la nascita fa parte della normalità dell’esistenza. Che centinaia di evidenze scientifiche da alcuni decenni hanno dimostrato che i migliori esiti si ottengono quando le cure sono erogate da personale non specialistico. E’ difficile rinunciare a terreni di conquista, ma è necessario distinguere responsabilità, professioni, vocazioni. Chi tra tutti gli attori sulla scena della nascita (e della crescita del Paese) vuole iniziare a fare un passo indietro - o un passo avanti - dimostrando, come nella parabola di Salomone, di avere veramente a cuore la salute e il benessere delle donne?
 
Dott.ssa Sandra Morano
Ginecologa - Ricercatrice Università di Genova

22 gennaio 2013
© Riproduzione riservata

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