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Milillo: “Ecco come deve cambiare la medicina generale”


Superamento della concorrenza, ruolo unico, ristrutturazione del compenso. Secondo il riconfermato segretario nazionale della Fimmg sono questi i nodi su cui lavorare per cambiare l’assistenza primaria. Da portare al Tavolo triangolare promesso dal ministro Fazio, con Governo, Regioni e sindacati.

12 OTT - Giacomo Milillo sarà segretario nazionale della Fimmg anche per i prossimi quattro anni, con un esecutivo rinnovato e composto da cinque vicesegretari, uno dei quali è Silvestro Scotti, ancora segretario nazionale per il settore della Continuità Assistenziale, quella che normalmente si chiama “guardia medica”. Una scelta che ha valore simbolico, per dire che la medicina generale è una, senza distinzioni tra i settori, assistenza primaria o guardia medica è lo stesso. D’altra parte il “cambiamento” è stata la parola più ricorrente in tutto il 65° Congresso Fimmg.

Dottor Milillo, perché è così necessario un cambiamento nella medicina generale?
La motivazione più forte del cambiamento è il fatto che le regole attuali hanno determinato un’impossibilità di progresso , una zavorra che ha impedito alla medicina generale di decollare secondo le possibilità che tutti gli riconoscono e che tutti desidererebbero. Il medico di medicina generale riscuote un grande apprezzamento tra i cittadini, ma non riesce a decollare in termini di servizi e di organizzazione dell’assistenza. L’emarginazione della medicina generale può essere corretta solo risolvendo i problemi che la determinano.

Cosa si deve cambiare?
I cambiamenti essenziali sono: il ruolo unico, la limitazione della concorrenza e la ristrutturazione del compenso.

Andiamo per ordine. Cosa significa avere un ruolo unico per la medicina generale?
Quelle che oggi sono figure diverse e separate devono essere trasformate in funzioni della stessa figura professionale. Questo significa, in poche parole, che un medico, con attestato o con titolo equipollente, nel momento in cui assume la convenzione per la medicina generale la assume una volta per sempre: inizierà con una attività oraria, che è in parte di continuità assistenziale e in parte espletata con altre attività in squadra, poi, col tempo, comincerà ad acquisire scelte e ci sarà un bilanciamento tra attività fiduciaria e attività oraria, man mano che aumentano le scelte diminuiscono le ore e viceversa.

Quindi il ruolo unico è strettamente connesso ad una visione di attività di gruppo.
Certo, da una parte c’è l’accesso unico e dall’altra c’è la formazione delle squadre, ovvero delle aggregazioni funzionali territoriali. Così la piena occupazione è garantita dal momento dell’ingresso a quando il medico andrà in pensione. Il sistema attuale, invece, è fatto di alti e bassi: per un certo numero di anni il medico fa solo continuità assistenziale a 24 ore la settimana, quando poi arriva a 600 assistiti deve lasciare la C.A. e risalire la china, impiegando molto tempo ancora per arrivare a una piena soddisfazione economica e professionale.

Questo sistema dovrebbe anche limitare la concorrenza tra medici di famiglia.
Certo, perché nel momento in cui l’occupazione del medico è determinata in parte dalle scelte e in parte dal rapporto orario, l’acquisizione o la revoca di una scelta non è determinante al punto da spingerlo a mettersi in concorrenza con un collega. Piuttosto c’è un maggiore interesse a mettersi a lavorare in squadra per raggiungere risultati soddisfacenti.

Anche la ristrutturazione del compenso potrebbe favorire il lavoro in squadra?
Fermo restando la quota capitaria, occorre distinguere i fattori di produzione che devono avere una loro individuazione a livello nazionale in termini di base, ma devono essere poi adeguati ai modelli erogativi che le varie Regioni decidono. Se una Regione decide che tutti i medici devono continuare a lavorare ognuno nel proprio studio, si tratterà di negoziare quei fattori di produzione; se invece un’altra Regione decide di aggregare i medici in una struttura dovrà impegnarsi a sostenere quel livello di produzione. Quindi i fattori di produzione devono essere correlati al modello organizzativo, mentre il compenso di base deve essere deciso a livello nazionale e integrato da retribuzioni di obiettivi o di processi.

C’è una quota di resistenza al cambiamento che proponete. Pensa che sia legato a fattori generazionali?
Può essere, sia perché cambia il modo di lavorare, sia perchè si afferma quel concetto machiavellico secondo cui chi sta bene è resistente al cambiamento perché non sa se nel nuovo sistema troverà lo stesso grado di soddisfazione .C’è però una motivazione fondamentale che spinge la gran parte della categoria a condividere il progetto, sul quale ci sono infatti alti livelli di consenso pur discutendo magari sui percorsi per raggiungerlo, ed è il problema previdenziale. Il medico, essendo responsabile del suo trattamento pensionistico, ha interesse a garantire a chi gli succederà una condizione lavorativa tale da garantire la copertura previdenziale,  anche in una prospettiva in cui ci sarà un numero inferiore di medici.
I più anziani, comunque, non saranno toccati da questo cambiamento, perché prima che vada a regime richiederà un certo numero di anni. Chi è alla vigilia della pensione non dovrà certo mettersi a fare le 38 ore o la guardia medica, anche se sarebbe bello che potesse farlo, se ne avesse voglia.

Ci sono anche critiche di altre organizzazioni sindacali al vostro progetto.
Credo che le uniche propose in ballo siano quelle delle Fimmg, quelle che noi mettiamo sotto il titolo della ri-fondazione. La ristrutturazione del compenso, il superamento della concorrenza, non hanno trovato opposizione esplicita degli altri sindacati, a parte forse le aggregazioni funzionali perché vengono confuse con le Uccp. Anche il “progetto medico” dello Snami, che tradizionalmente è alla nostra opposizione, contiene comunque questi principi. Poi magari si discuterà, Regione per Regione, sui modello erogativi.

Sulle certificazioni on line, problema sul quale Fnomceo e sindacati hanno creato in questi mesi un fronte comune, si continua a discutere. Anche in questo caso pensa che possa pesare un fattore generazionale?
Probabilmente esiste una maggiore resistenza dei più anziani al cambiamento, però questo non è il problema essenziale, come dimostrano i risultati della ricerca condotta dal Centro Studi nazionale Fimmg che mostrano come a tutte le età si hanno elevati livelli di utilizzo sia del computer sia della rete. Il problema piuttosto sta nel fatto che il progetto è stato introdotto con scadenze eccessivamente ravvicinate e scaricando l’intera responsabilità del sistema sul medico, con pesanti sanzioni. E questo non è certo un modo produttivo di operare.

Concretamente, cosa pensa di “portare a casa” nei prossimi quattro anni?
Certo non riuscirò a vedere la realizzazione completa del cambiamento, ma mi auguro di “portare a casa” l’inizio, cioè il completamento dei principi contenuti nell’articolo 8 del 502 nella direzione che ho descritto. Ho fiducia che questo sia possibile, anche perché il ministro Fazio, come ha annunciato al nostro Congresso, ne ha già parlato con la Commissione Salute delle Regioni, avviando la composizione di un Tavolo triangolare che riunisca appunto Governo, Regioni e sindacati.
E poi spero di utilizzare questi tre anni di blocco delle convenzioni per predisporre al meglio in vista della prossima convenzione, che sarà la convenzione del cambiamento.
E.A.
 

12 ottobre 2010
© Riproduzione riservata

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