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Malattie reumatiche. In Italia si “soffre” di più


Il grado di severità delle malattie è superiore a quello di diversi Paesi Europei e non solo. Il sistema assistenziale italiano non garantisce un accesso precoce alla cure con ricadute significative sulla progressione della malattia e sul livello di disabilità associata. A lanciare l’allarme Fit For Work Italia.

21 GIU - Nel nostro Paese il grado di severità delle malattie reumatiche è molto elevato, superiore a quello di diversi Paesi Europei e non solo, con una significativa ricaduta sulla capacità produttiva delle persone che ne sono colpite. Da un questionario condotto su 375 pazienti, emerge che più della metà delle persone, nel primo anno di malattia, è costretta ad assentarsi dal lavoro in media per 31 giorni. Dati resi ancora più significativi se si considera la larga diffusione di queste patologie: in Italia sono oltre 5 milioni le persone che ne soffrono in Italia, e di queste circa 734.000 sono colpite da forme croniche.
 
A tirare le somme, a Roma, i rappresentanti del tavolo clinico Fit For Work Italia impegnati per discutere le evidenze cliniche ed economiche emerse da uno studio di confronto realizzato attraverso l’utilizzo del database METEOR e del Registro GISEA (Gruppo Italiano Studio Early Arthritis).
 
È ormai noto che le patologie reumatiche invalidanti hanno una insorgenza piuttosto precoce, in media prima dei 40 anni, sorprendendo i pazienti nel pieno della vita lavorativa e accompagnandoli per il resto dell’esistenza. “Da qui l’importanza di considerare non solo gli aspetti clinici e assistenziali che si legano a queste patologiesi  – afferma Giovanni Minisola, Past president della Società italiana di reumatologia (Sir) e Direttore della Divisione di Reumatologia  della Ao San Camillo di Roma – ma anche e soprattutto le ricadute in termini economici, occupazionali e produttivi sotto forma di assenteismo prolungato o di presenteismo passivo, ricadute che pesano sui pazienti e sulla collettività”.
Per questo il programma Fit for Work si propone di richiamare l’attenzione delle Istituzioni, dei decisori politici e della società sui favorevoli effetti che la diagnosi precoce e il trattamento tempestivo e appropriato delle malattie reumatiche invalidanti hanno sulle prestazioni lavorative, sul mercato del lavoro, sulla produttività del singolo e della collettività, quindi sulle finanze nazionali.
 
Artrite reumatoide.Per quanto riguarda questa patologia i pazienti italiani presentano un’attività di malattia, calcolata in base al Disease Activity Score (DAS - parametro che misura il numero di articolazioni gonfie e dolenti su un totale di 28, l’infiammazione e la valutazione del dolore da parte del paziente) più elevata di quella di altri Paesi. L’Italia risulta infatti al primo posto con un DAS di 5.5, seguita da Irlanda con 4.8, Inghilterra e Portogallo con 4.2, Stati Uniti con 3.9, fino al 2.5 della Francia. Anche l’indice di disabilità, valutato attraverso l’Health Assessment Questionnaire, restituisce un’immagine analoga: in Italia il 24,1% dei pazienti vive in una condizione di disabilità severa contro il 8,7% dell’Irlanda, il 9,5% degli Stati Uniti, il 10% dell’Olanda e il 3.9% della Francia.
 
Artrite Psoriasica. Una situazione analoga si riscontra anche per questa patologia che, sebbene nelle forme periferiche generi una disabilità inferiore rispetto all’artrite reumatoide, nelle forme assiali fa registrare livelli piuttosto severi di disabilità (BASFI - Bath Ankylosing Spondylitid Functional Index pari a 4.27) imponendo importanti limitazioni alla vita quotidiana dei pazienti. Simile la situazione per la Spondilite Anchilosante e per le Spondiloartriti Indifferenziate dove l’indice di disabilità è risultato rispettivamente di 4.31 è di 4.19.
 
“Questi dati – ha spiegato Ferraccioli, Professore Ordinario, Direttore istituto di reumatologia e scienze affini, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma – rappresentano un importante punto di attenzione dal punto di vista clinico. È evidente, infatti, che la persistenza della malattia, quando non prontamente trattata con una terapia appropriata condiziona fortemente il decorso della disabilità e dunque la qualità di vita del paziente. Una diagnosi precoce ed una strategia di controllo ravvicinato dell’attività di malattia contribuisce alla remissione completa o d uno stato di bassa attività perfettamente compatibile con l’attività lavorativa”.
 
Per comprendere meglio le difficoltà quotidiane che migliaia di pazienti vivono nella propria dimensione professionale, sia a livello relazionale che fisico-prestazionale, è stata condotta nell’ambito del progetto Fit For Work una indagine che ha coinvolto 375 pazienti in cura presso 8 Centri di eccellenza italiani per la diagnosi e cura delle malattie reumatiche (Ospedale Policlinico – Bari; Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi – Firenze; IRCCS San Martino – Genova; Azienda Ospedaliera Istituto Ortopedico Gaetano Pini – Milano; Ospedale Spirito Santo  – Pescara; Università Cattolica del Sacro Cuore Roma; Ospedale di Alta Specializzazione San Camillo – Roma; Policlinico Le Scotte - Siena).
 
A causa della malattia, oltre la metà del campione è costretto ad assentarsi in maniera ricorrente dal lavoro: in media si perdono 31 giorni di lavoro nel primo anno dall’insorgenza dei sintomi. Ancora più significativo il dato che evidenzia come in media i pazienti siano in grado di svolgere pienamente il proprio lavoro solo nei primi 7 anni dall’esordio della malattia. Il 21% dei pazienti riesce a mantenere a distanza di anni la stessa occupazione riuscendo tuttavia a svolgere solo parzialmente le proprie mansioni, mentre il 20% si vede costretto a cambiare lavoro.
 
Complessivamente i dati dimostrano che l’individuazione di una terapia appropriata si riflette positivamente sulla qualità di vita del paziente. Con il passare del tempo, infatti, i giorni di assenza per malattia decrescono in maniera significativa, passando da una media di 31 nel primo anno di malattia ad una media di 17 giorni nell’ultimo anno considerato.
 

21 giugno 2013
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