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Inchiesta QS/1. Un’Italia senza medici? Novelli (Tor Vergata): “Il nostro è un Paese che non sostiene la scienza”


Secondo il Piano sanitario nazionale 2011-2013 entro il 2018 mancheranno 22.000 medici a causa del calo progressivo di laureati in Medicina. Quotidiano Sanità ha intervistato il prof. Giuseppe Novelli, preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Tor Vergata di Roma, che afferma: “Il problema non è delle Università, ma della cattiva programmazione del fabbisogno”.

15 OTT - Allarme diffuso per la carenza di medici in Italia. A lanciarlo è stato lo stesso ministero della Salute, che nella bozza del nuovo Piano sanitario nazionale mette l’indice sul calo delle immatricolazioni universitarie in Medicina e Chirurgia. Su questa criticità, le sue cause e le possibili soluzioni, Quotidiano Sanità ha intervistato il prof. Giuseppe Novelli, preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Tor Vergata di Roma.

Professore, la drammatica carenza di medici per i prossimi decenni è un allarme diffuso e reale. Quale potrebbe essere il ruolo dell’Università per invertire la rotta? Eliminare il numero chiuso per l'accesso a Medicina è un’ipotesi percorribile?
Assolutamente no.  Il punto non è cancellare il numero chiuso, che è un criterio di selezione necessario per dare un minimo di garanzia sulla volontà degli studenti di intraprendere questo percorso di studi. Le risorse scarseggiano e le Università non possono più permettersi di avere perditempo nelle classi, perché questo si traduce in uno spreco delle risorse.
La soluzione per far fronte alla carenza di medici è l’aumento del numero dei posti a disposizione nelle Università. Cosa che, seppure in ritardo, sta già avvenendo. Il Miur già dall’anno scorso ha stabilito un incremento dei posti disponibili del 10% e di un ulteriore 10% per l’anno in corso.
 
Qual è, secondo lei, la ragione di questa carenza di medici?
Il numero di candidati al test di ingresso resta alto. Né registriamo forti dati di abbandono tra chi intraprende il percorso formativo. Credo che la motivazione sia da ricercarsi in un calcolo del fabbisogno errato. Il numero di posti disponibili nelle Facoltà era stato stabilito sulla base di un bisogno pregresso, che poi si è rivelato inferiore al necessario. Anche l’Inghilterra ha sbagliato le proiezioni e si è trovata, negli ultimi anni, ad assumere medici dall’estero. Lo stesso è avvenuto in Italia. Evidentemente le indicazioni fornite dalla Conferenza Stato-Regioni sono state sbagliate. Ma in questo le Università non hanno responsabilità. Non siamo noi a stabilire il numero di posti a disposizione.
 
Intervenire adesso potrà migliorare la situazione nel lungo periodo, ma non nel breve. Quindi anche l’Italia potrebbe essere costretta ad assumere medici stranieri…
E cosa c’è di sbagliato? Non mi sembra un elemento negativo, anzi. Personalmente sarei per un potenziamento degli accordi per il riconoscimento dei titoli universitari e per la libertà di movimento degli studenti nei Paesi Ue. Nel 2010 credo che non si possa più evitare di ragionare in una visione europea. Il nostro Paese, invece, continua ad essere italiacentrico, il che è assurdo. Il sistema universitario deve rinnovarsi, anche per evitare situazioni incoerenti come quelle attuali: oggi i candidati stranieri sono sottoposti all’esame di lingua, che ha un senso, ma poi si ritrovano a svolgere quiz di ingresso dove magari si chiede loro di rispondere a domande su Guido Gozzano. Cosa vuole che ne sappia un francese di Gozzano? Occorre riformulare i test di ingresso guardando al resto del mondo.
 
Quello dei quiz è un'altra criticità che ogni anno torna alla ribalta con l’accusa di brogli e favoritismi…
Sono accuse assurde. Non nego che vi possano essere responsabilità individuali, ma il sistema è trasparente e rigoroso. I quiz, occorre anzitutto ricordare, non vengono decisi dalle Facoltà ma dal ministero. Per l’esattezza da una commissione che noi non sappiamo neanche da chi sia composta. Ogni membro elabora oltre 100 quiz, che poi vengono raccolti dal ministero e incisi su cd rom. Il materiale viene quindi inviato al centro Cineca di Bologna, cioè al consorzio interuniversitario, che lo rielabora, lo stampa, lo mette in buste sigillate e lo invia alle Università il giorno stesso dell’esame, in numero contato, in base ai candidati. Il test avviene lo stesso giorno in tutte le Facoltà di Italia e la busta contenente i quiz viene aperta in aula da uno dei candidati.
Una volta completato il test, gli elaborati – identificati con un codice a barre, quindi non identificabili – vengono messi in altre buste, sigillati e rispediti con le guardie giurate a Bologna. All’università restano meno di 3 ore.  I risultati, peraltro, vengono visualizzati dai ragazzi prima ancora che da noi, perché a loro viene consegnato username e password per visualizzare gli esiti non appena disponibili. Solo dopo l’Università viene informata sui risultati. L’Università, dunque, è completamente estranea al sistema. Ripeto, possono esserci anomalie e responsabilità individuali, può esserci il ragazzo che riesce ad accedere ad informazioni attraverso il telefonino senza che la commissione se ne accorga, ma non si può parlare di brogli organizzati dagli organi universitari, perché non abbiamo modo né tempo di consegnare i quiz in anticipo né di fare favoritismi nel corso del riscontro dei risultati.
 
Crede che la facoltà di Medicina oggi attragga meno i giovani di quanto non accadesse un tempo?
No. Anzi, forse è l’unica facoltà scientifica che mantiene un forte appeal. Ma anche questo è un elemento che nasconde una criticità. In Italia, un ragazzo che voglia intraprendere una carriera scientifica pensa a medicina perché, anche se il percorso è lungo e faticoso, è garanzia di lavoro. Al contrario, uno studente che in questo Paese si laurea in biologia, in chimica, in biotecnologie o in fisica che tipo di prospettive ha? All’estero questo non avviene, e di conseguenza i candidati si distribuiscono tra le diverse facoltà mentre in Italia ci ritroviamo, come ad esempio accaduto a Tor Vergata, ad avere 2.000 domande per 220 posti disponibili.
Il vero problema dell’Italia è la mancanza di sostegno alla scienza. L’industria farmaceutica, nel nostro Paese, non c’è più. Così come l’industria chimica. Quella biotecnologia non è neanche nata. È inaccettabile che un Paese come l’Italia non sia in grado di sostenere la scienza, ma anzi la ostacoli.
 
Aumentano, invece, gli iscritti ai corsi per le professioni sanitarie…
Un aumento legato, appunto, alle maggiori prospettive di inserimento nel mondo del lavoro. Questa riforma universitaria, infatti, è stata contestuale a una riforma del mercato del lavoro, tanto che i laureati iniziano a lavorare anche dopo il diploma di base di 3 anni. Secondo i dati ufficiali, il tasso di occupazione tra questi studenti ad un anno dalla laurea è del 94%. Credo che quello delle professioni sanitarie sia l’unico esempio di riforma universitaria veramente riuscito.
 
Cosa pensa dell’aumento di donne tra gli iscritti a Medicina?
Credo che sia un naturale cambiamento legato alla società. Le donne sono numericamente più degli uomini. L’accesso agli studi per le donne ha avuto un’evoluzione nei decenni, sia rispetto al numero di donne che frequentano l’università che alla tipologia di facoltà scelta. C’è anche una questione culturale. Un tempo difficilmente un paziente accettava di essere visitato da un medico donna, mentre oggi le donne lavorano anche in specialità maschili, come l’urologia. Si tratta di un’evoluzione sociale e culturale naturale, anche se lo stesso non è ancora avvenuto per le cariche apicali, tutt’oggi in mano agli uomini.
 
Ritiene che nel piano formativo di Medicina dovrebbero essere potenziati i corsi in management?
Non, anzi. Economia e management fanno già parte del piano formativo di base, inoltre vi sono master post lauream dedicati a queste materie e credo che sia quello il luogo giusto dove approfondirle. La mia opinione è che gli studenti abbiano bisogno di più pratica in ospedale piuttosto che corsi di management. A questo proposito, a Tor Vergata abbiamo introdotto un sistema innovativo che prevede per tutti gli studenti dell’ultimo anno svolgano una serie di tirocini professionalizzanti nei campi a più ampio interesse sociale, come ginecologia, pediatria, chirurgia, malattie respiratorie, medicina solidale e medicina interna. In pratica, i nostri studenti l’ultimo anno lo passano in ospedale.
 
Cosa intende per Medicina solidale?
Mi riferisco all’assistenza agli extracomunitari, che hanno problemi di salute spesso differenti rispetto agli italiani, perché spesso è differente l’ambiente e gli stili di vita. È una specialità molto richiesta, perché i giovani riconoscono in questa settore uno slancio missionario che li appassiona.
 
Pur intervenendo subito sul problema della carenza dei medici, i risultati rischiano di essere concreti solo tra molti anni. Quali sono le sue proiezioni?
Occorre tener conto che per formare un medico occorrono 11 anni. Ma considerando gli interventi già fatti negli ultimi 3 anni, con l’aumento dei posti disponibili, credo che intorno al 2016 la carenza di medici entrerà in una fase di minore criticità.
 
 
Lucia Conti
 
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15 ottobre 2010
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