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Inchiesta QS/3. Un’Italia senza medici? Persico (Federico II): “I tagli alla sanità ricadono anche sulla formazione”


Secondo il Piano sanitario nazionale 2011-2013, entro il 2018 mancheranno 22.000 medici a causa del calo progressivo di laureati in Medicina. Ma per il prof. Giovanni Persico, preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università “Federico II” di Napoli basterebbe “rivedere il fabbisogno nazionale di posti nelle Università, ma con una programmazione che tenga conto delle esigenze da qui ai prossimi dieci anni”

20 OTT - Allarme diffuso per la carenza di medici in Italia. A lanciarlo è stato lo stesso ministero della Salute, che nella bozza del nuovo Piano sanitario nazionale mette l’indice sul calo delle immatricolazioni universitarie in Medicina e Chirurgia. Su questa criticità, le sue cause e le possibili soluzioni, Quotidiano Sanità ha intervistato il prof. Giovanni Persico, preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Federico II di Napoli.
  
ProfessorePersico, il ministero della Salute ha lanciato l’allarme per la carenza di medici, e le cause sono da imputare ad un calo di immatricolazioni nella Facoltà di Medicina. Cosa ne pensa?
Su questo argomento siamo stati antesignani: a Napoli questo allarme lo abbiamo lanciato ben 15 anni fa. Ma non ci ascoltarono in molti. Anzi all’epoca la limitazione degli iscritti fu vista come una forma di protezionismo della professione. Peccato che ora la situazione stia diventando preoccupante.

La causa?
Sicuramente il numero programmato degli accessi a medicina gioca un ruolo determinante. E voglio parlare di “numero programmato” e non “chiuso” proprio perché con questo termine si intende qualcosa che può essere incrementato. Fin ora la scelta di limitare le immatricolazioni è stata una giusta soluzione in quanto ha consentito di formare professionisti di qualità proprio perché il rapporto docenti discenti era ottimale. Ma la situazione è cambiata radicalmente anche perché pensionamenti e blocco delle assunzioni hanno mutato gli scenari nazionali e quelli regionali in particolar modo.
 
Quindi?
Dobbiamo invertire la rotta attuando una programmazione seria del fabbisogno nazionale e regionale che tenga conto delle esigenze da qui ai prossimi dieci anni. Ma allo stato attuale non mi sembra che qualcuno se ne stia occupando seriamente. Non solo, serve anche un intervento deciso da parte delle istituzioni con strategie di politica sanitaria differenti. Mi spiego meglio, per iscrivere uno studente a una facoltà ci vuole una disponibilità di tre posti letto. Peccato che nella nostra Regione, come anche nel Lazio stiamo assistendo a una riduzione costante dei posti letto per le facoltà di Medicina e a un taglio deciso del numero dei docenti.
 
All’Università Federico II c’è stato quest’anno un boom di iscrizioni, quasi quattromila candidati per poco più di trecento posti. Come possiamo leggere questo dato?
Come una forma di attenzione dei giovani alle vicende che attraversano il mondo dell’occupazione. Tradotto, i giovani sanno che tra dieci anni proprio a causa della carenza di medici avranno un posto di lavoro assicurato e quindi provano ad iscriversi in massa alle nostre facoltà. Un discorso diverso sarà poi vedere dove lo troveranno questo lavoro. Al Sud utilizziamo energie e denaro per formare medici che poi sono costretti a migrare verso Regioni più “appetibili”. E nei prossimi anni la situazione potrebbe aggravarsi, le differenze regionali potrebbero acuirsi ancora di più.
 
Non c’è quindi una crisi di vocazione verso le facoltà di Medicina, diverso è il discorso per alcune specialità ...
Assolutamente sì. La crisi colpisce in primis le materie chirurgiche. Scontano non solo la lunga durata del periodo di specializzazione, ma pagano soprattutto l’elevato rischio di denunce penali: cinque chirurghi su otto rischiano nella loro vita professionale un procedimento giudiziario. Una buona motivazione per rimanere lontani dalle camere operatorie.
 
Nel futuro della professione medica ci saranno sempre più “camici rosa”. Qual è il suo parere in merito alla crescita continua del numero delle donne nelle facoltà di Medicina?
Le donne sono numericamente più degli uomini. Quindi, stiamo semplicemente assistendo ad un processo naturale di  bilanciamento tra il numero delle donne e quello degli uomini anche in quelle aree che prima erano di appannaggio del mondo maschile. Questo grazie al processo di emancipazione e crescita culturale della popolazione femminile. Un esempio eloquente di questa evoluzione? Nella nostra scuola di specializzazione in chirurgia le donne hanno superato numericamente gli uomini.
 
Il management è entrato a pieno titolo nella vita professionale dei camici bianchi. Ritiene che questa voce dovrebbe essere introdotta nel piano formativo di Medicina?
Credo che nel piano formativo dei medici ci siano fin troppe materie, tant’è che, come previsto dalla legge, abbiamo dovuto ridurre il numero degli esami. Sarebbe più opportuno inserire questi elementi di management nei corsi di specializzazione post laurea.
 
Cosa si augura per il futuro?
Vorrei che il ruolo della sanità universitaria ricevesse la giusta considerazione. Si continua a parlare di privilegi dell’Università, quando invece questi privilegi non esistono. Anzi, nei Policlinici universitari offriamo assistenza finalizzata alla didattica e alla ricerca, ma le nostre prestazioni sono valutate secondo parametri che meglio si adattano a quelle rese nelle strutture del Ssn. Parametri che non possono essere utilizzati sic e simpliciter per chi ha un ruolo formativo e presta attività di ricerca scientifica medica. Questo crea un appiattimento che svilisce la sanità universitaria.
 
(E.M.)

20 ottobre 2010
© Riproduzione riservata

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