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Violenza sulle donne. Simg: “Solo il 30% ne parla con il proprio medico”


E per abbattere il muro del silenzio parte “Vìola”, la prima campagna nazionale di sensibilizzazione per i medici di famiglia presentata al 30° congresso nazionale della Simg. Perché bastano poche domande mirate durante la visita per aiutare le donne. Distribuiti 30mila opuscoli per sensibilizzare i camici bianchi.

22 NOV - Individuare i casi sospetti di violenza sulle donne e aiutarle si può. Patologie frequenti come cefalee, cistiti, depressione, ansia e un aumento nell’uso di antidepressivi, ma anche coliti e disturbi della digestione possono essere sono un campanello d’allarme importante per segnalare una violenza subita. Bastano quindi poche domande mirate durante la visita con il proprio medico per far emergere il non detto. Anche perché solo il 30% delle vittime ne parla durante la visita perché pensa che il medico non se ne occupi. E soprattutto perché non riceve domande dirette sul tema.
 
Per questo la Società italiana di medicina generale lancia “Viola” la prima campagna nazionale di sensibilizzazione sulla violenza domestica rivolta ai medici di famiglia, presentata oggi al 30° Congresso della società scientifica in corso a Firenze. L’obiettivo è duplice. Da una parte invitare i camici bianchi a portare alla luce il disagio delle donne, senza avere timore a rivolgere domande chiare quando si sospettano violenze domestiche. Dall’altro fare sapere alle donne che possono trovare una sponda nel proprio medico di medicina generale.
 
Un’indagine svolta su Health Search, il database della Simg ha dimostrato che nel 2009 solo 20 medici di famiglia su mille hanno registrato un problema legato alla violenza sulle donne. Ma ricerche svolte negli ambulatori hanno al contrario evidenziato che, analizzando attivamente il fenomeno, emerge una prevalenza, compresa fra il 25 e il 40%, in linea con i dati della letteratura.
“Da uno studio pilota svolto negli ambulatori dei medici di famiglia della provincia di Venezia su un campione di 153 donne, attraverso questionari anonimi – ha spiegato Raffaella Michieli, segretario Simg – si è evidenziato che il 25% aveva subito episodi di violenza domestica. E il 25% delle donne vittime di abusi ha una percezione negativa del proprio stato di salute, contro solo l’8% delle pazienti che non l’hanno subita. Il 74% ha dichiarato di aver assunto un farmaco contro la depressione solo dopo l’episodio di violenza, gettando le basi per un legame stretto tra violenza e utilizzo di psicofarmaci”.
 
Dati che parlano da soli e che hanno incentivato i medici della Simg ad intervenire. “Subire abusi fa indubbiamente male alla salute – ha detto Claudio Cricelli, presidente della Simg – eppure la violenza sulle donne e le sue conseguenze sono state ignorate nella società e nei servizi sanitari fino a poco tempo fa. È indispensabile un cambiamento culturale degli operatori coinvolti, a partire dai medici di famiglia. E il progetto ‘Vìola’ rappresenta il primo tassello in questa direzione”.
 
Il progetto si articola in diverse iniziative. Verrà distribuito un opuscolo informativo a 30mila camici bianchi, perché troppo spesso la mancata conoscenza e la sottovalutazione del fenomeno inducono i professionisti a ignorare i segnali d’allarme. Non solo, saranno esposti nella sala d’aspetto poster informativi con i riferimenti delle organizzazioni locali preposte all’aiuto.
“Non vogliamo esser controllori tout court – ha aggiunti Michieli – ma la donne che subiscono violenza presentano molti campanelli d’allarme rappresentati dall’aumento dei problemi della sfera genitourinaria, ginecologica e gastroenterica, da mutamenti in senso negativo dell’umore e dalla perdita dell’autostima. Segnali che possono farci capire che alcune patologie frequenti derivano da violenze subite. Ad esempio le donne che vengono ripetutamente operate per dolori addominali sine causa sono vittime di violenza. È importante quindi che il medico di famiglia pratichi lo ‘screening’ su eventuali abusi e due sono le domande fondamentali da porre alla paziente: ‘Si sente mai insicura in casa sua?’ e ‘Qualcuno ha mai provato a picchiarla o a farle male?’. È essenziale cioè far emergere il problema attraverso il colloquio clinico, per poi registrarlo nella cartella informatizzata, così otterremo i dati di incidenza del fenomeno. Inoltre – ha concluso – dobbiamo aiutare le pazienti fornendo loro informazioni sulle reti di sostegno locale (numero verde, centri antiviolenza)”.

22 novembre 2013
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