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Competenze infermieristiche. La mitologia della “traversata nel deserto”. Dieci proposte per uscire dall'impasse

di Roberto Polillo

Parlare solo di “competenze” non produrrà alcun risultato,  perché questo si tradurrebbe inevitabilmente in una diminutio delle competenze mediche oggi esclusive nel campo diagnostico-terapeutico. Altra cosa è invece partire dai modelli organizzativi, puntando alla costruzione di team multi-professionali

14 GEN - Il dibattito sulle competenze degli infermieri e più in generale sulla evoluzione delle professioni sanitarie ha posto sul tappeto questioni importanti, ma ha anche evidenziato una visione romanzata della cosiddetta “traversata del deserto” compiuto in primis, ma non solo, dalla  professione infermieristica.
 
In alcuni interventi si è fatto riferimento ad una missione prometeica compiuta dai vertici della sua principale organizzazione.  Una “risalita” dal fondaccio scuro del mansionario verso l’aurora della professionalizzazione  che suscita ammirazione  e devozione  verso coloro che l‘hanno resa possibile e che ora, come se non bastasse, aggiungono fatica a fatica,  sedendo sugli scranni del Parlamento.
 
Che dire. Sono posizioni più che legittime  e comprensibili da parte di chi si riconosce in questo movimento ascensionale, ma purtroppo non sono utili per svelare  le forze che, celati da una sorte di velo di Maia,  sono all’origine di queste tensioni rivolte a stabilire  una nuova normatività nel campo istituzionale.
 
Sperando di essere utile al dibattito cerco di ampliare il terreno di discussione in termini più sistematici e   provo  a sintetizzare le mie osservazioni nei  10 punti che seguono
 
1. Il sistema sanitario , indipendentemente dal suo livello di significatività , è un campo istituzionale in cui agiscono attori istituzionali diversi: Il governo  e le regioni (in rapporto dinamico tra loro), le professioni sanitarie (di cui  stiamo osservando le linee di frattura) il complesso sanitario privato e i cittadini.
 
2. Nel  campo organizzativo ciascuno degli attori  cerca di assumere una posizione da stakeholder  implementando idonee strategie  e stabilendo partnership con interlocutori privilegiati per raggiungere  scopi e obiettivi qualificanti.
 
 
3. I diversi sistemi sanitari si diversificano tra loro in funzione dei soggetti che riescono ad esercitare la leadership nel campo istituzionale; e così per mero esempio diremo che in una regione dove il complesso sanitario privato esercita un ruolo di stakeholder  (Lombardia, Lazio) l’ente  regionale eserciterà un ruolo di regolatore lasciando al cittadino ampia possibilità di scelta tra i diversi erogatori; al contrario di quanto avviene in regioni in cui il ruolo di stakeholder è esercitato dall’ente regolatore medesimo (Toscana, Emilia) dove a prevalere sono logiche di cooperazione e di verticalizzazione dell’offerta (hub e spocke) fortemente centrata sul pubblico. Diversa in questi sistemi è il ruolo svolto dai professionisti della salute con un maggiore orientamento nel primo al liberalismo , modello francese.
 
4. In nessuno degli attuali contesti i cittadini  o i loro  organi di rappresentanza riescono a giocare un ruolo di stskeholder per una sorta di inerzia storica delle istanze consumeristiche più sviluppate nei paesi del Nord Europa. Fatto questo che autorizza gli altri attori (e di questo si è avuta ampia rappresentazione nell’attuale dibattito)  a tentare di accreditarsi  in modo nettamente strumentale  come i difensori o i tutori.
 
 
5. La stabilità di un campo istituzionale è in funzione del grado di allineamento dei tre piolastri che ne costituiscono la trama di sostegno: il pilastro normativo che ne determina le regole  di tipo legislativo-legale; il pilastro regolativo che definisce le regole e i codici di comportamento degli attori e le reciproche obbligazioni. Il pilastro culturale–cognitivo che ordina e performa set di aspettative, valori, credenze e miti razionalizzati.
 
6. L’attuale instabilità del campo istituzionale e le linee di frattura che in esso si registrano traggono origine dal dis-alineamento tra il pilastro regolativo  basato ancora sulla centralità della professione medica e il pilastro  culturale-cognitivo dove si rendono emergenti le istanze delle altre professioni. Istanze  che tendono a un nuovo punto di equilibrio interprofessionale (a loro più favorevole)  e forzano  per una revisione delle regole del gioco atte a una   ri-definizione  delle attività esclusive e riservate.
 
 
7. Le organizzazioni umane, ivi compresi i corpi professionali tendono alla uniformazione dei comportamenti soggiacendo a universali  meccanismi di  isomorfismo:  di tipo  coercitivo (forme di influenza, formali e informali, che vengono esercitate sull’organizzazione da altre organizzazioni);  di tipo  mimetico (le organizzazioni di successo diventano “modelli” da imitare, nel tentativo di replicare tale successo); di tipo  normativo (lo sforzo da parte dei membri di una professione di definire le condizioni e i metodi del loro lavoro, al fine di controllare e stabilire la base per la loro legittimazione ad autonomia occupazionale).
 
8. L’organizzazione (istituzione) diventa progressivamente  un “artefatto”, una “costruzione sociale” un qualcosa che si “separa” dai soggetti che l’hanno prodotto e  in cui possono emergere  effetti contro-intuitivi o “perversi” (inattesi), non necessariamente razionali  mentre le strategie individuali, da cui si era partiti, possono essere razionali.
 
 
9. L’organizzazione vincola  comunque l’individuo al rispetto di regole  ben precise ed elabora a tal fine  un codice  deontologico il cui vero significato è di tipo cerimoniale e come tale espressamente rivolto alla acquisizione di legittimazione sociale. La riverenza nei confronti del capo (così platealmente rintracciabile in alcuni degli  interventi pubblicati) è un altro segno delle regole di obbedienza che vincolano i membri di una organizzazione.
 
10. Lo scontro in atto tra le professioni è solo parzialmente il frutto di un ampliamento delle “competenze” delle professioni infermieristiche dovuto  a un più  elaborato percorso formativo. La laurea triennale e neanche la magistrale (spesso ottenuta per via telematica) infatti non consentono  l’acquisizione di quelle  expertises in campo diagnostico- terapeutico che vengono raggiunte dal medico dopo un lunghissimo percorso formativo (oggi  di 10 anni)  e un ancora più complesso trainer in cui un ruolo fondamentale lo gioco  il maestro che facilita il passaggio cruciale dalla conoscenza teorica alla pratica clinica.
 
In conclusione ribadisco il mio convincimento che una discussione basata sulle “competenze” non è destinata a produrre alcun risultato,  perché questo si tradurrebbe inevitabilmente in una diminutio delle competenze mediche oggi esclusive nel campo diagnostico-terapeutico. Altra cosa è invece partire dai modelli organizzativi, puntando alla costruzione di team multi-professionali in cui le diverse componenti professionali  ridefiniscono ruoli, competenze e  prerogative in modo incrementale e  in funzione degli obiettivi assistenziali che si vogliono raggiungere ed implementare.
 
Roberto Polillo

14 gennaio 2014
© Riproduzione riservata

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