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Odontoiatria. Cassazione: "Ordine non può punire iscritto se non si presenta a giudizio"


La sentenza dà ragione a un odontoiatra potentino punito con la sospensione per non essersi presentato all’Ordine in seguito a un esposto sui metodi con cui promuoveva al pubblico la società. Il presidente del Cao di Potenza: "Abbiamo operato bene, errore è del Cceps".

03 FEB - Lo scorso 23 gennaio una sentenza della Cassazione aveva dato ragione a un odontoiatra  potentino punito con la sospensione per non essersi presentato all’Ordine in seguito a un esposto sui metodi con cui promuoveva al pubblico la società di cui è accomandatario. La sospensione era stata confermata in appello dalla Commissione Centrale Esercenti arti e professioni sanitarie (Cceps), ma la Cassazione ha capovolto la decisione, spiegando che un iscritto convocato all’ordine per un’audizione preliminare non può essere punito se non si presenta in giudizio poiché ritiene che possa essere in qualche modo pregiudicato il suo diritto a difendersi. 

Sulla questione è intervenuto Maurizio Capuano, presidente della Commissione albo odontoiatri (Cao) di Potenza, che osserva come “dopo attenta lettura della sentenza appare assurdo che, per come è stata da noi sviscerata l'intera vicenda, non siano evidenti le motivazioni che, ritenute insufficienti, hanno reso nullo il provvedimento”. In sostanza secondo Capuano la sentenza riconosce che la Cao di Potenza “ha ben operato nel procedimento disciplinare istruendo e licenziando un provvedimento formalmente corretto”, mostrando “il pieno rispetto del diritto sanitario oggetto del procedimento”. Quanto scritto dalla Cassazione non va quindi inteso “come una liberalizzazione delle forme di pubblicità, ma come  una conferma del potere delle Cao e degli ordini circa il controllo sul messaggio pubblicitario, lì dove la sentenza recita testualmente che resta fermo il potere-dovere degli ordini professionali di verificare, ai fini dell’applicazione delle sanzioni disciplinari, la trasparenza e la veridicità del messaggio pubblicitario”.

Capuano osserva quindi che in realtà “il problema di  fondatezza del ricorso è collegato alla vetustà del procedimento disciplinare avvenuto nel 2009/2010 quando ancora non erano intervenute le sentenze del 2011 riportate dalla Suprema Corte”. Di conseguenza “in merito all'aggravante della mancanza di collaborazione di cui l'art. 1 del Codice Deontologico la Cao ha ben operato secondo quanto stabilito dal dettato dell'art. 1 ma, in seguito la Cceps avrebbe dovuto tener conto che questa aggravante non poteva più essere considerata tale alla luce della sentenza del 2011 della suprema Corte e di conseguenza rimodularne la pena, o rinviare alla Cao la documentazione”. Al contrario tutto ciò “non è avvenuto e per di più le motivazioni addotte dalla Cceps sono state considerate “apodittiche” dalla Suprema Corte e non ben articolate al punto che la Cceps si è vista rinviare la documentazione oggetto del ricorso”. Ora la palla torna nuovamente alla Cceps, cui è demandata ogni ulteriore decisione.

Secondo Capuano in definitiva andrebbe quindi “rivisto l'intero procedimento disciplinare adeguando anche il Codice Deontologico in relazione ai nuovi pronunciamenti della Corte Di Cassazione” e appare necessario “formare un canovaccio comune delle procedure che non lasci spazio a chi dovrà  occuparsi di procedimenti disciplinari negli Ordine e nelle Cao” e lavorare affinché “il personale degli ordini sia opportunamente formato ed in grado di recepire atti così importanti al fine di evitare di inficiare provvedimenti disciplinari vanificando l'operato delle commissioni”.
 

03 febbraio 2014
© Riproduzione riservata

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