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Codice deontologico. No all'auto-sufficienza. Serve un patto tra medici e cittadini

di Roberto Polillo

Il nuovo codice dei medici prende forma in un momento di profonda incertezza della professione. La Fnomceo ha scelto una strada perdente: quella dell’isolamento da tutti. Forse meglio sarebbe stato non chiudere la porta ai cittadini, cercando in loro dei preziosi alleati e affermando con chiarezza i principi di una medicina orientata sul paziente

18 GIU - Ciò che toglie carattere di “universalità” al codice deontologico, requisito fondamentale per essere percepito erga omnes moralmente vincolante, è il suo evidente fine “politico” e contingente. Il documento infatti prende forma hic et nunc in un momento di profonda incertezza della professione stretta com’è, tra fuochi incrociati. Da un lato le professioni sanitarie che, con il pretesto dell’ “ampliamento” delle competenze, cercano di invadere i verdi pascoli della diagnosi e della terapia, finora di riserva esclusiva; dall’altro il potere legislativo-politico che non riconosce più ai medici quello “status” di dipendenti pubblici “di rango superiore” e che li uniforma al resto della tanto disprezzata categoria, continuando a togliere loro potere contrattuale e salario; dall’ altro ancora i pazienti che pretendono di non tanto di essere guariti ma di essere curati, presi in carico e rispettati come soggetti senzienti e che spesso, essendo ben informati, rifiutano il vecchio atteggiamento paternalista del medico che decide per loro.

Il codice nasce dunque in tale contesto di disequilibrio tra i vari soggetti istituzionali e ha come fine evidente quello di arginare la fronda dei nuovi stake challengers riaffermando la centralità del medico; e per fare questo (ed uscire così dalla situazione di stallo in cui la professione non può più languire), si muove battendo le strade che sembrano più praticabili e foriere di risultati migliori, snaturando in questo modo il suo stesso fine.
E così con l’articolo 3 si afferma il principio che “la diagnosi a fini preventivi, terapeutici e riabilitativi è una diretta esclusiva e non delegabile competenza del medico e impegna la sua autonomia e responsabilità”. Trovino pace dunque tutti coloro che appartenendo alle professioni sanitarie sperano di estendere la loro autonomia oltre il limite previsto dai recitativi dei loro vigenti profili. Mai e poi mai a costoro dovrà essere concesso la facoltà di decidere in autonomia quale terapia/intervento sia necessaria per quel determinato paziente senza che il medico ne abbia decretato prima l’orientamento diagnostico.

Con l’articolo 6 invece si chiude la strada al cittadino togliendo ogni riferimento (come evidenziato da Spinanti)all’autonomia del paziente che d’incanto cambia il suo statuto diventando da soggetto semplice oggetto delle cure a cui ciò che si deve è solo informazione.
E contro gli altri nemici della professione (i politici, i managers delle aziende pubbliche e forse chissà altro) interviene il nuovo Giuramento (appena licenziato) che impone all’ esercito dei medici ( sempre più indifeso) “di esercitare la medicina in autonomia di giudizio e responsabilità di comportamento contrastando ogni indebito condizionamento che limiti la libertà e l’indipendenza della professione”. Una alzata di testa, uno scatto di orgoglio, la riaffermazione di un ruolo perduto che però sortirà pochi effetti contro una classe politica che, nonostante la presenza dei Amedeo Bianco sui sugli scranni del Senato, è poco interessata al dialogo e ancora meno è disposta a dare in termini di risorse e autodeterminazione professionale.

Eppure in questo gioco la Fnomceo ha scelto una strada perdente: quella dell’isolamento da tutti, senza se e senza ma. Forse meglio sarebbe stato non chiudere la porta ai cittadini, cercando in loro dei preziosi alleati contro le invasioni di campo di chi non ha credenziali da vantare nei campi di gran lunga più sensibili per i pazienti: quelli della diagnostica e della terapia. Questo è a mio modo di vedere il problema e l’unica soluzione per uscire dalla crisi. Abbandonare le posizioni di auto-sufficienza e scrivere un patto con i cittadini in cui si affermino con chiarezza i principi di una medicina orientata sul paziente. Una medicina che vede nel paziente e nel cittadino un partner paritario a cui spetta il diritto di scelta e che utilizza come unico modus operandi quello della condivisione e della co-decisione.

Questo è il salto di qualità che manca nel lavoro della federazione e questa mancanza di visione della professione rende il codice un “effetto senza causa” una declamazione di principi che punta esclusivamente a riaffermare la centralità del medico nella divisione sociale del lavoro sanitario. Questioni importanti ma che ben poco hanno a che fare con la morale e la deontologia professionale.
 
Roberto Polillo 

18 giugno 2014
© Riproduzione riservata

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