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Intervista a Francesco Ripa di Meana (Fiaso): "Stato e Regioni ci dicano se vogliono ancora puntare su di noi"

di Gennaro Barbieri

Il neopresidente della Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere sottolinea: "Siamo vivi e vegeti, mi do un anno per capire se all'esterno la nostra esistenza è ancora percepita come essenziale". E ricorda: "Nel Patto indicata una strada che noi abbiamo già intrapreso da anni"

22 LUG - Il Patto per la Salute rappresenta “un messaggio importante, perché garantisce certezza delle risorse in un contesto di pianificazione. Ma a noi non spetta giudicarlo bensì applicarlo”. Francesco Ripa Di Meana, neopresidente della Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso), che aveva già diretto dal 2006 al 2009, analizza a 360 gradi sfide e novità che attendono la sanità italiana. E sottolinea con orgoglio come il Patto “declini un percorso operativo che le aziende hanno già intrapreso da molto tempo, con una forte accelerazione negli ultimi due anni”. Ora però è anche tempo di verifiche e Ripa di Meana avverte: “Stato e Regioni ci facciano capire se vogliono puntare o meno su di noi, se la nostra esistenza ha ancora senso. Mi do un anno di tempo per verificarlo”.

Il Patto per la Salute prevede che entro il 31 dicembre 2014 Stato e Regioni stipulino un’intesa sugli indirizzi per la piena realizzazione della continuità assistenziale ospedale-territorio. Quale ruolo possono svolgere le Aziende sanitarie o ospedaliere all’interno di questo quadro?
Il Patto per la Salute individua precisi impegni reciproci tra Stato e Regioni. Il fatto che le aziende siano citate solo per quanto riguarda la possibile rimozione dei direttori generali mi spiace ma non mi sconvolge, e ritengo che sia sottinteso che proprio alle Aziende spetti metterlo in atto. Particolare attenzione è dedicata al tema della revisione delle reti ospedaliere e dell’assistenza territoriale, sia a livello organizzativo che in relazione al modello di presa in carico della cronicità. In questo senso il Patto declina un percorso operativo che alcune aziende hanno già intrapreso da molto tempo, con una forte accelerazione negli ultimi due anni. Molte regioni dal 2013 hanno affrontato prima la riduzione dei finanziamenti e poi tagli veri e propri. Ciò è stato fatto anche attraverso importanti modifiche organizzative che possono essere effettuate esclusivamente a livello aziendale.

Può fare un esempio?
Quello della riorganizzazione delle reti chirurgiche, chiudendo le Unità Operative con basso numero di interventi, che rappresentavano un fattore di rischio, oltre che di diseconomicità. Abbiamo quindi la consapevolezza di aver già imboccato da tempo la strada tracciata dal Patto, operando una spending review non incentrata soltanto sul livello degli acquisti, ma anche sulla lotta alla inappropriatezza e sull’alleggerimento dei servizi obsoleti. Le esperienze delle aziende possono quindi rappresentare modelli ai quali fare riferimento: è per questo che ci aspettiamo di essere chiamati a interloquire su come rendere operativo il Patto.

Siete soddisfatti dell’art. 14 del Patto che fissa gli investimenti per l’edilizia sanitaria?
Il punto di partenza essenziale è la certezza dei fondi contenuta nel Patto. Si tratta già di un segnale importante, perché riconosce la necessità di risorse per gli investimenti. Questo ci permette di garantire almeno la manutenzione del sistema, sia come rinnovamento del parco tecnologico che a livello di adeguamenti strutturali. E’ un importante miglioramento se si considera che negli ultimi anni molte aziende sono state costrette a ridimensionare le risorse destinate alla spesa corrente per effettuare interventi infrastrutturali. Il messaggio di fondo del Patto è quindi positivo.

Il sistema di revisione dei ticket tracciato nell’art 8 del Patto riuscirà a garantire l’equità e a contenere la spesa?
Per garantire la piena attuazione di questo sistema sarà necessario uno sforzo importante da parte delle aziende, poiché si tratta di procedure complesse ma pienamente realizzabili. In questo senso sono assolutamente ottimista. Bisogna però stare attenti a un passaggio nodale: le esenzioni sono molto ampie e i ticket gravano, quindi, su una parte ristretta della popolazione, che si accolla tutto il peso. Nella fascia dei non esenti sono però incluse, spesso, prestazioni inappropriate, e questo è un altro aspetto sul quale intervenire con decisione. Va pure sottolineato che l’aggravamento ulteriore dei ticket avrebbe fatto uscire dal mercato molte delle nostre aziende per alcune prestazioni e in molti si sarebbero così dovuti rivolgere al privato. Ciò non è ovviamente auspicabile.

Quali interventi bisognerebbe mettere in campo per rinvigorire la schiera dei professionisti della sanità pubblica, da anni logorata dal blocco del turn over?
Un sistema basato su prestazioni professionali non può essere costantemente impossibilitato a sostituire gli operatori che vanno via. Alla lunga viene messa a repentaglio, infatti, la tenuta di tutto l’impianto. Il blocco del turn over è un taglio di tipo orizzontale e noi abbiamo sempre criticato questa dinamica. D’altra parte solo noi delle aziende a poter dimostrare che è possibile effettuare tagli verticali, attraverso razionalizzazioni selettive, che incidono sulla parte obsoleta e inadeguata del sistema.

Un altro esempio?
Se accorpo delle chirurgie che fanno un basso numero di interventi, libero personale che può andare a sostituire altrove professionisti che vanno in pensione. Diciamo che le riorganizzazioni, se ben fatte, possono diventare un buon ammortizzatore dei ripetuti blocchi del turn over. Anche perché credo sia assodato che in questa fase il turn over non possa riprendere al 100%. Per questo è utilissimo analizzare le esperienze delle aziende e non limitarsi a guardare l’operato basandosi su dati aggregati per macroregioni.

Spesso la Fiaso ha sottolineato la necessità di ammodernare gli ospedali italiani. Da dove bisognerebbe iniziare?
Innanzitutto bisognerebbe valorizzare le tecnologie piccole e medie, che consentono un più agevole passaggio dal ricovero ordinario al day hospital e al regime ambulatoriale. Il governo delle alte tecnologie deve essere centralizzato. Investire sull’innovazione significa, sempre, migliorare l’appropriatezza e garantire efficaci processi di razionalizzazione. Il pericolo da combattere è, invece, quello di rendere le tecnologie una sorta di mantra, come spesso avviene per esempio con la telemedicina, che serve se si cambia l’approccio alla presa in carico. Sforzi importanti servono soprattutto per i sistemi di condivisione dei dati, potenziando le reti informatiche. Ciò consente di assistere un maggior numero di pazienti con la stessa quantità di risorse, oppure di migliorare i sistemi di self control. La funzionalità delle tecnologie è comunque legata alla validità di una governance che sappia distinguere dove e come investire: anche la risorsa tecnologica deve essere ottimizzata.

Centrali d’acquisto e aziende. Come costruire un efficace raccordo per incidere positivamente sui prezzi?
La concentrazione degli acquisti, nonostante i dubbi iniziali, alla fine è stata un bene per tutti. Soltanto pochi prodotti necessitano di essere comprati singolarmente da un’azienda, quindi ben vengano gli aggregati. Per esempio, l’acquisto di un farmaco può essere organizzato su scala regionale. L’importante è garantire diversi livelli nelle aggregazioni per gli acquisti. Ricordandosi che alcuni beni, come i dispositivi medici, sono difficilmente standardizzabili. Per questo le scelte vanno condivise anche con i professionisti. Il principio guida deve essere sempre l’appropriatezza, che va affermata per orientare le gare d’appalto. Ai professionisti bisogna garantire la possibilità di scegliere il meglio, con l’offerta di più opportunità. E se nel mio ospedale faccio protesi d’anca soprattutto ad ultraottantenni, è inutile acquistare grandi quantitativi di protesi ultra costose perché destinate a durare 40 anni.

Medicina difensiva e responsabilità professionale. Da dove ripartire?
Purtroppo si tratta di temi sui quali non si trova mai una quadratura definitiva. Basti pensare che molti punti contenuti nel Decreto Balduzzi sono poi rimasti lettera morta. L’espansione della medicina difensiva è dovuta fondamentalmente a una radicalizzazione del rapporto medico-paziente a ad atteggiamenti opportunistici messi in campo da soggetti ben precisi. E’ un argomento che nelle aziende sentiamo molto, ma bisogna anche ricordare che alla fine delle controversie i professionisti e le Aziende vincono quasi sempre. I nervi scoperti restano comunque numerosi, come la mancanza di tetti ai risarcimenti e le enormi difficoltà a trovare coperture assicurative. Gli strumenti per invertire la tendenza sono già stati identificati dalle normative, alle quali bisogna però dare attuazione. Da parte nostra, le aziende devono mostrare la capacità di mettere in campo adeguate politiche a sostegno del risk management.

Lei si è appena insediato. Quali sono i primi nodi che si è trovato ad affrontare?
Ovviamente, come già sottolineato, tutte le questioni relative alla applicazione del Patto per la Salute. Adesso però inizia una partita decisiva: bisogna capire se per rendere attuativo il Patto c’è la volontà o meno di far leva sulle aziende. Questo è l’aspetto per noi più urgente dachiarire. Dopo tanti anni in cui si è parlato spesso male dei direttori generali, e nella maggior parte dei casi in maniera ingiustificata, è arrivato il momento della verità. Regioni e Stato devono capire se vogliono o meno puntare su di noi, investendo sulla qualità delle aziende, riconoscendole come utili al sistema e valorizzando la centralità del management. Voglio evidenziare che ho ritrovato una Fiaso molto sana e viva, con un inserimento nelle aziende che è notevolmente migliorato negli anni. Ci facciano capire se vogliono puntare su questo enorme patrimonio, in caso contrario ce lo dicano chiaramente e ne trarremo le conseguenze anche per Fiaso. Io penso che sia essenziale continuare a valorizzare l’aziendalizzazione e il management: mi do il tempo di un anno e quindi entro il 2015 voglio capire se effettivamente la nostra esistenza ha ancora senso. All’interno siamo pieni di vitalità, ora la sfida è verificare quale percezione si ha di noi all’esterno.
 
Gennaro Barbieri
 


22 luglio 2014
© Riproduzione riservata

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