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Rc medica. Verdone: “Il problema? La ricerca del colpevole a tutti i costi”

di Vittorio Verdone

E' all'origine della dilatazione della responsabilità delle aziende sanitarie e, in parte, dei medici e del personale infermieristico. Indispensabile un intervento normativo che detti certezza risolutiva sulla materia e colmi la sproporzione sui criteri valutativi dei danni alla persona dai parametri seguiti in Europa

24 LUG - I problemi che pone la R.C. medica sono sostanzialmente due: la ricerca spasmodica di un colpevole, sempre e comunque, e l’assenza di certezza sui criteri economici del risarcimento del danno.
Al di là dei casi veri di malasanità, derivanti da errori gravi o da disorganizzazione endemica di alcune strutture, la ricerca di un colpevole a tutti i costi è all’origine della dilatazione della responsabilità delle aziende sanitarie e, in parte, dei medici e del personale infermieristico. L’idea che esista sempre un colpevole dipende dalla percezione, non proprio giuridica né tantomeno tecnica, che il risultato atteso della prestazione (sia essa cura o intervento chirurgico) si debba sempre realizzare in modo migliorativo per il paziente, tranne che sia intervenuto un fattore estraneo alla condotta dell’operatore (difficile spesso da provare) che abbia interrotto la catena causale nella produzione dell’evento.

La medicina non viene valutata come un’arte scientifica, ma come una scienza esatta. In matematica, date alcune premesse, il risultato è certo. Ma si può dire altrettanto della medicina? No, ma questo non impedisce di forzare la natura e di introdurre in modo artificiale l’obbligazione di risultato. E di sintetizzare un concetto di responsabilità civile da “contatto” (Cassazione Civile). Le parole sono importanti e si ha la sensazione che il termine sia stato inconsciamente impiegato per ritenere che nel varcare la soglia di un ospedale si entri in un mondo in cui qualunque evento negativo dipende da una contaminazione definita a priori senza necessità di prova, una specie di “peste” sempre in agguato. Al riguardo, si può osservare che se tutto deve essere risarcito a prescindere dalla colpa, tanto varrebbe spostare il sistema di protezione verso un meccanismo indennitario no fault. Lo hanno fatto altri paesi europei. Naturalmente i sistemi no fault sono caratterizzati da livelli economici degli indennizzi più bassi rispetto a quanto solitamente riconosciuto nel tipico assetto di responsabilità civile da fatto illecito o da inadempimento contrattuale. Ciò in quanto, dovendosi coprire qualsiasi evento avverso, le risorse da mettere in campo non possono essere infinite.
Appunto, la questione delle risorse necessarie per sostenere un sistema di risarcimento dei danni da r.c. sanitaria ci porta al secondo problema: i criteri valutativi del danno alla persona. Questione annosa e mai risolta, nonostante gli sforzi della dottrina, della giurisprudenza e del legislatore.

Il problema riguarda il danno non patrimoniale e si declina in una questione di classificazione e in un profilo di quantificazione economica. La classificazione e la valutazione dei danni patrimoniali sono, infatti, agevoli perché i riferimenti sono certi o facilmente stimabili: le perdite economiche subite, il mancato guadagno, etc.. Invece per trent’anni il danno non patrimoniale è stato tirato, compresso, esteso, definito e ridefinito, allocato di qua e di là in una serie infinita di distinguo. E allo storico danno morale (il provvisorio turbamento dello stato d’animo a seguito della lesione subita) risarcibile solo in presenza di un reato, si sono aggiunte varie voci ulteriori: il danno alla vita di relazione, il danno estetico, il danno alla sfera sessuale, il danno biologico, il danno esistenziale, il danno a diritti riconosciuti dalla Costituzione diversi dal diritto alla salute, etc. E la questione non sembra finita, nonostante qualche criptico tentativo della Cassazione di portare una parola definitiva.

Dal punto di vista economico, nessuno potrà mai negare che i danni alla persona debbano essere risarciti in modo equo e anche a prescindere dagli aspetti patrimoniali legati allo stato socio-economico della vittima. Una persona vale in quanto tale e non solo perché produttiva di reddito. Il problema è che questa importante conquista civile andrebbe coniugata con le risorse economiche disponibili, in modo da garantire che la tutela teorica sia realizzabile in concreto e a livelli sostenibili. Non porsi il problema di un limite economico ai risarcimenti è infatti come prevedere che una persona, non proprio per bene, possa essere condannata a 310 anni di carcere. Forse li merita tutti il delinquente seriale… Ma si vede bene che la decisione sarebbe un po’ paradossale…

È noto che i valori economici da applicare nei risarcimenti dei danni alla persona sono di fonte giurisprudenziale, anche se hanno assunto una valenza quasi normativa. I criteri più diffusi sono quelli contenuti nella tabella del tribunale di Milano, ma non mancano tabelle di altri tribunali che prevedono parametri e valori diversi. In ogni caso le tabelle dei tribunali non si pongono minimamente il problema della sostenibilità dei risarcimenti accordati applicando tali valori. Inoltre, risultando svincolate da previsioni legislative, le tabelle possono cambiare nel corso del tempo. Ma se è accettabile e in qualche modo auspicabile che il diritto evolva seguendo il mutare delle istanze di una comunità o il senso avvertito del bene comune, appare meno convincente il perpetuarsi di incertezze sia sui diritti dei danneggiati sia sui doveri dei debitori. Perché anche il danno dovrebbe essere prevedibile nel suo ammontare.

Nella r.c. medica come nella r.c. auto oramai è avvertita l’esigenza di un intervento normativo che detti certezza risolutiva sulla materia e che colmi la sproporzione esistente tra i criteri valutativi dei danni alla persona operanti in Italia e i parametri seguiti nel resto d’Europa, ampiamente inferiori nonostante trovino applicazione in realtà anche più prospere della nostra.
Forse sul danno alla persona, come in altri ambiti della tutela dei diritti, è giunto il momento di riconsiderare la visione onnipotente del bene comune e l’atteggiamento fideistico nell’inesauribile disponibilità delle risorse economiche. Come ci insegnavano i Greci, il bene comune può essere onnivoro se la politica non agisce assumendo la responsabilità di decisioni che poi possano essere mantenute.

Vittorio Verdone
Direttore centrale Ania

24 luglio 2014
© Riproduzione riservata

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