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Dottore, ha dormito stanotte?


Dal New England Journal of Medicine arriva la proposta: “i chirurghi dicano al paziente se hanno dormito poco e questi ultimi decidano se fidarsi comunque, se scegliere un altro medico o rimandare l’intervento”.

04 GEN - La carenza di sonno peggiora le performance psicomotorie più dell’alcol e, secondo uno studio pubblicato nel gennaio 2009 sul Journal of the American Medical Association, le operazioni svolte da chirurghi che hanno dormito meno di 6 ore nella notte precedente presentano un significativo aumento del rischio di complicazioni.
È partito da questi dati un gruppo di chirurghi e anestesiologi americani per proporre, in un editoriale pubblicato sul New England Journal of Medicine, una misura drastica: gli ospedali non permettano ai chirurghi che hanno dormito poco - magari perché in servizio - di svolgere interventi elettivi. Se non con il consenso informato del paziente.
Insomma, il medico dica al paziente se ha dormito poco e quest’ultimo decida se fidarsi comunque, se scegliere un altro medico o rimandare l’intervento.
Il ragionamento degli autori dell’editoriale non fa una piega: “La carenza di sonno influenza le performance del medico e aumenta il rischio di complicazioni”, ha spiegato il primo firmatario Michael Nurok, anestesista e medico di terapia intensiva all’ Hospital for Special Surgery di New York. “È chiaro dalle rilevazioni compiute sui pazienti che questi vorrebbero essere informati se il loro medico avesse una carenza di sonno e [in questo caso] la maggior parte dei pazienti chiederebbe un altro chirurgo. Pensiamo che le strutture abbiano la responsabilità di minimizzare le probabilità che i pazienti siano operati da medici con carenza di sonno”, ha aggiunto.
Tuttavia, “questo approccio può rappresentare un cambiamento fondamentale nella responsabilità attribuita al paziente in merito alle decisioni riguardanti la propria salute che potrebbe […] incrinare il rapporto medico-paziente”. Ciononostante, per gli autori dell’editoriale, si tratta di una misura necessaria, almeno finché “le strutture sanitarie non si assumeranno la responsabilità di assicurare che il paziente non si scontri con questo dilemma”.
Mettere in atto la misura, però, sarà tutt’altro che facile.
I pazienti, per esempio, potrebbero avere problemi logistici nel riprogrammare l’intervento, mentre i medici potrebbero non essere lieti di cedere un intervento a un collega. Per le strutture, infine, la misura potrebbe tradursi nella perdita del paziente e in un aumento dei costi connessi alla gestione del consenso informato. Tuttavia, sottolineano gli autori, questi costi potrebbero essere agevolmente recuperati grazie al miglioramento delle performance operatorie e alla riduzione delle complicanze. 

04 gennaio 2011
© Riproduzione riservata

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