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Ebola. I Pronto Soccorso italiani sono pronti?

di Massimo Magnanti

Le indicazioni del ministero della Salute alle Regioni sono chiare, lo“Spallanzani” ha fornito ulteriori informazioni per fronteggiare l’emergenza. Ma ora ci aspettiamo che tutti i Ps vengano dotati, dalle direzioni aziendali, di presidi di protezione individuale, procedure di formazione e protocolli per gestire le possibili infezioni

21 OTT - La Storia si ripete. Dopo Sars e H1N1, per ricordare le ultime epidemie, ora è la volta di Ebola e ancora una volta gli operatori sanitari di PS, Dea, 118, Aeroporti sono in prima linea nell’affrontare i rischi connessi con una delle forme infettive più aggressive sviluppatesi negli ultimi decenni.
Gli operatori sanitari hanno avuto numerose vittime in ogni parte del mondo quando si sono verificate queste emergenze. In tali contesti l’assistenza sanitaria si trova ad essere fondamentale per le cure dei malati ma nel contempo essa stessa rappresenta un’attività a rischio di contagio e diffusione delle malattie: l’epidemia di Sars del 2005, ad esempio, si caratterizzò perché il 21% di tutti i casi di infezione furono acquisiti in ospedale.
 
Le infezioni più conosciute perché più allarmanti, come Ebola, hanno ottenuto forse maggiore attenzione da parte dell’opinione pubblica e dei media ma tante altre forme infettive possono recare danni agli operatori sanitari ed esporli a seri rischi come la tbc, l’Hiv, epatite B per citarne alcune. E pochi pensano che altre infezioni molto più frequenti e considerate “tranquille” , come il morbillo o la mononucleosi, possono eccezionalmente creare seri problemi in caso di trasmissione al personale.
 
Decine di operatori sanitari muoiono nel mondo ogni anno per patologie infettive e non, contratte nel corso del proprio lavoro, nel silenzio della loro professione, senza il clamore dei media.
Gli operatori dell’emergenza in particolare sono indubbiamente tra i più esposti a tali evenienze, non a caso sono tra quelli che sono stati convocati urgentemente in questi giorni presso diverse Regioni per affrontare quella che potrebbe essere una nuova epidemia anche a diffusione europea, cosa che noi tutti speriamo non accada.
 
Gli staff dei PS italiani sono chiamati a gestire questa possibile nuova emergenza mentre da anni vivono una condizione oramai cronica di sovraffollamento, che certo non facilita le azioni di contenimento e controllo del rischio infettivo da mettere in campo e rispetto alla quale pochissime Regioni hanno intrapreso iniziative idonee a contrastare il fenomeno: sempre ricordando l’epidemia del 2005, il primo decesso in Nord America per Sars acquisita in Ospedale si verificò per contagio mentre il paziente era in attesa di un posto latto e stazionava al Toronto Emergerncy Department.
 
Se da una parte gli operatori dell’emergenza vengono considerati a rischio infettivo e fondamentali per la gestione clinica dello stesso per tutti i cittadini, dall’altra a chi lavora in pronto soccorso non viene riconosciuta l’indennità di rischio infettivo, con una capacità logica tutta italiana. E forse molti non sanno che oggi nei nostri pronto soccorso ci sono medici che, lavorando ben oltre la metà del proprio orario di servizio in turni notturni e festivi, guadagnano al netto 1.300 euro al mese, dopo almeno una dozzina d’anni di studio tra laurea, specializzazione ed esame di stato e voglio evitare di fare facili paragoni con gli stipendi di altri servitori dello Stato come ad esempio i barbieri, bellissima professione, di Palazzo Montecitorio.
 
Si perché di questo si tratta, di servitori dello Stato preposti alla tutela della salute. Ma mentre per coloro i quali sono addetti alla tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico, saggiamente, non si prende in considerazione l’ipotesi che si possano assumere a tempo determinato o possano fare gli stagisti, per gli operatori sanitari i contratti Co.Co.Co., Co. Co. Pro. o addirittura a partita IVA sono stati la regola negli ultimi anni, con emolumenti tragicamente ridicoli.
 
Qualcuno ha mai pensato a un capitano dei carabinieri con contratto Co.Co.Co.? Perché per i poliziotti o per i carabinieri non sono previsti contratti anomali e per gli operatori sanitari si? Si ritiene forse che la tutela della salute sia meno importante delle tutela della sicurezza e dell’ordine? Oppure si pensa che ausiliari, medici e infermieri corrano meno rischi e che quindi debbano essere meno garantiti? Credo che ogni anno le morti degli operatori sanitari per i rischi connessi alla propria professione siano purtroppo molto prossime a quelle di altre tipologie di dipendenti dello Stato, ma certo non staremo qui a fare la conta a chi muore di più…
 
In questi giorni abbiamo chiesto ai colleghi di una trentina di pronto soccorso sparsi per l’Italia di raccontarci come si stavano attrezzando per l’emergenza ebola. Le risposte sono state molto variegate: da chi ci ha raccontato che se ne comincerà a parlare tra qualche giorno, a chi riferisce che sono in corso riunioni per definire i protocolli operativi e gli ordinativi di materiale idoneo, a chi infine, in realtà pochi, ha riferito di essere praticamente pronto ad assistere anche un eventuale contagiato.
 
Quello che ci aspettiamo come associazione di operatori dell’emergenza è che tutti i pronto soccorso vengano dotati , dalle rispettive direzioni aziendali, dei presidi di protezione individuale, delle procedure di formazione e dei protocolli previsti per gestire i casi di possibile infezione da Ebola. Le indicazioni dal Ministero della Salute alle Regioni sono partite chiare, lo “Spallanzani”, centro di riferimento europeo in materia, ha fornito ulteriori informazioni necessarie per cui non può esistere un pronto soccorso in Italia, così come gli equipaggi e i mezzi del 118, che non venga adeguatamente attrezzato a fronteggiare un eventuale accesso a potenziale rischio infettivo.
 
Anche perché nel malaugurato caso che in un PS si dovesse trattare un paziente a rischio o contagiato e ci fossero dei problemi di gestione del caso, gradiremmo che nessuno venisse a raccontarci favolette sull’eventuale errore del personale sanitario di turno: se errori dovessero esserci sarebbero esclusivamente frutto della cattiva preparazione al problema, a meno che qualcuno non pensi che medici e infermieri perseguano l’autolesionismo.
I pronto soccorso italiani ai tempi di ebola continuano a fare il proprio lavoro per i 24 milioni di cittadini che ogni anno si presentano per problemi più o meno gravi, tutti i giorni, tutte le notte e tutte le feste.
 
 
 
Massimo Magnanti
Segretario generale Spes area Simet-Fassid
(Sindacato Professionisti Emergenza Sanitaria)

21 ottobre 2014
© Riproduzione riservata

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