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Ordine dei Medici. Perché serve una legge per riequilibrare la rappresentanza di genere

di Annarita Frullini

Senza riforma della legge istitutiva non è possibile realizzare regolamenti o statuti nei quali potrebbero avere posto sia il concetto di “pari opportunità tra donne e uomini” che quello di “quote di genere”. Dalla professione forense potremo mutuare le modalità per il rispetto delle quote di genere descritte nel Regolamento sui Procedimento disciplinare e nelle successive istruzioni

31 OTT - L’articolo di Domenico Crea e Maria Ludovica Genna (QS, 20 ottobre) sollecita alcune considerazioni, storiche e legislative, sui diversi ordinamenti della professione forense e medica. Quali sono i motivi per i quali sembra impossibile garantire un’adeguata rappresentanza nelle elezioni ordinistiche alla professione medica/odontoiatrica, quando il riconoscimento della parità di genere è garantito ad ogni livello legislativo, ordinario, costituzionale e comunitario?

L’ordinamento forense, dopo oltre 70 anni dal Regio Decreto del ’33 è stato riformato con la legge 247/2012 approvata in via definitiva dal Senato il 21 dicembre del 2011. La legge Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense, è formata da 67 articoli, suddivisi in titoli e capi, con argomenti che spaziano dalle disposizioni generali agli albi, dagli organi e funzioni ai procedimenti disciplinari e nel suo testo è inserita l’attuazione delle finalità perseguite dall’articolo 51, comma 1, della Costituzione.

Vanno ricordate le vicende del 2011. Il 16 novembre il IV governo Berlusconi si concluse con le dimissioni e la nascita di un “esecutivo tecnico”. Per la riforma degli Ordini delle professioni sanitarie vi era, in Senato, un progetto di legge già approvato alla Camera. Non un disegno di legge specifico sull’argomento ma solo un articolo – Capo II PROFESSIONI SANITARIE Art. 7 (Delega al Governo per la riforma degli ordini delle professioni sanitarie di medico- chirurgo, di odontoiatra, di medico veterinario e di farmacista) – inserito in un progetto omnibus dove si trattava di sperimentazione clinica e innovazione sanitaria, riforma degli ordini e servizi trasfusionali. Mi sono sempre chiesta perché i legislatori non abbiano dato agli oltre cinquecentomila medici, odontoiatri, veterinari e farmacisti – numericamente il doppio dei professionisti del Consiglio Forense – la dignità e la considerazione di una legge autonoma.

Al Consiglio nazionale FNOMCeO che si svolse a Torino il 12 novembre 2011 il presidente Amedeo Bianco disse: “La crisi politico istituzionale formalmente aperta con l’annuncio delle prossime dimissioni del presidente del Consiglio e del governo, e l’oggettiva condizione rendono ancora più incerte e confuse le sorti ed il merito di quei provvedimenti che direttamente ci riguardano e per le quali abbiamo tanto lavorato”. Oggi, cambiati governi e disegni di legge, i riferimenti ancora vigenti per le professioni sanitarie sono: il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato (D:Lgs.C.P.S.) 13 settembre 1946, n. 233 (Ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e per la disciplina dell'esercizio delle professioni stesse.) e il D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221 (Approvazione del regolamento per la esecuzione del decreto legislativo 13 settembre 1946, n. 233, sulla ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e per la disciplina dell'esercizio delle professioni stesse).

Senza riforma della legge istitutiva non è possibile realizzare regolamenti o statuti nei quali potrebbero avere posto sia il concetto di “pari opportunità tra donne e uomini”, parole presenti dal 2003 nella Costituzione, sia il concetto di “quote di genere”, introdotte in una legge dello Stato nel 2011.
Va anche ricordato che le elezioni ordinistiche sono fondate su candidature individuali e su preferenze per ciascun candidato. Non esistono liste precostituite, ma solo indicazioni (tutti gli iscritti sono eleggibili) concetto chiaramente espresso dalla sentenza 18047, Cassazione civile, sezioni unite 4 agosto 2010.
Non è quindi possibile, in mancanza di liste, neanche ipotizzare di traslare quanto dice la legge 23 novembre 2012, n. 215, sul riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali. Legge nella quale la parola “promuovere” è stata sostituita dalla parola “garantire”.
Potremmo chiederci se l’esecutivo di un Ordine possa essere assimilato alla giunta di un Comune alla luce della legge 7 aprile 2014, n. 56 (legge Del Rio), il cui articolo 1, comma 137, recita: “Nelle giunte dei comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento, con arrotondamento aritmetico”.

Ma che significa equilibrio di genere? Nella legge, 12 luglio 2011, n. 120 che disciplina la parità di accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in mercati regolamentati e che ha una validità temporale di soli dieci anni, si considera raggiunto l’equilibrio tra i generi quando il genere meno rappresentato abbia almeno un terzo dei componenti eletti. Il TAR del Lazio nel settembre 2011 ha scritto “difficile da ipotizzare sul piano della ragionevolezza e della razionalità, che la presenza nella giunta capitolina di un'unica donna, sebbene impegnata in un ruolo di rilievo” possa garantire “un'adeguata attuazione dell'equilibrio di genere nella rappresentanza”. Aggiungendo che “organi squilibrati nella rappresentanza di genere, oltre ad evidenziare un deficit di rappresentanza democratica, risultano anche potenzialmente carenti sul piano della funzionalità, perché sprovvisti dell'apporto collaborativo del genere non adeguatamente rappresentato”. Ed è stato ancora una sentenza del TAR (TAR Lazio, Roma, Sez. II bis, sentenza 21.1.2013, n. 633) a quantificare la soglia – pari ad almeno al 40% – necessaria per garantire pari rappresentanza dei generi.

Dalla professione forense potremo mutuare le modalità per il rispetto delle quote di genere descritte nel Regolamento sui Procedimento disciplinare (ai sensi dell’art. 50, co. 5, legge 31 dicembre 2012, n. 247) e nelle successive istruzioni. Vi si dice: “Non possono essere espresse nella scheda elettorale più dei 2/3 delle preferenze al genere più rappresentato”.
Dal mondo della professione forense infine va segnalato un provvedimento del Consiglio di Stato che, con una Ordinanza Cautelare, ha confermato la precedente sentenza del TAR annullante la delibera dell’Ordine degli avvocati di Roma, per la quale si era reintegrato il quorum, dopo le dimissioni di un consigliere, con il primo dei non eletti.
Sia il TAR sia il Consiglio di Stato, hanno tutelato il genere meno rappresentato, anticipando l’applicazione della nuova legge che, nel prossimo rinnovo elettorale degli Ordini forensi, prevede il meccanismo della rappresentanza di genere. Si aspetta ora, dopo l’Ordinanza Cautelare già emessa, la sentenza nel merito del Consiglio di Stato.
La FNOMCeO, che ha natura giuridica di ente pubblico non economico, ausiliare dello Stato, e 104 su 106 presidenti uomini, si muove, fra i cambiamenti culturali, senza recenti norme legislative.

Non stupisca quindi l’uso di quelle forme apparentemente desuete (il presidente Bianco dice: “Care colleghe e cari colleghi, non ci sono regole, né io posso dettarle, idonee a garantire quanto invece posso solo auspicare e Vi prego, quindi, di accogliere lo spirito di queste parole nei Vostri progetti e nelle Vostre azioni e io mi auguro…”) che rimangono l’unica possibilità di espressione in assenza di quelle leggi che solo il Parlamento può realizzare.

Annarita Frullini
Coordinatrice Osservatorio Fnomceo professione femminile
Componente come esperta di cultura di genere e pari opportunità del CPO - Consiglio Giudiziario de L´Aquila 

31 ottobre 2014
© Riproduzione riservata

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