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Gli standard ospedalieri e la morte di Nicole. Con il nuovo regolamento si sarebbe evitata?

di Mauro Quattrone

Probabilmente no. E il motivo sta nel fatto che ancora una volta non si è ritenuto di inserire il “valore” della cura alla persona tra i parametri discriminanti per l’accreditamento. Eppure potrebbe proprio essere questa la via d’uscita per una più attenta valutazione della qualità del nostro Ssn

20 FEB - In un recente articolo apparso sulla rivista Harvard Business review dall’ambizioso titolo “Una grande idea, come risolvere la crisi della sostenibilità economica in sanità”, il Prof. Michael Porter pone il problema sulla possibilità di interventi metodologici incisivi, sia nel modo di pensare che di  agire, nella “governace sanitaria”.
 
Si parte dal  presupposto che la politica, a livello centrale o locale, prende decisioni che riguardano essenzialmente la riduzione dei costi del bilancio generale destinati alla spesa sanitaria , di conseguenza esiste una ricaduta negativa su tutti i providers sanitari poiché non esiste alcun criterio logico di selettività sui costi della cura  e per nulla queste misure aiutano la sanità al risparmio.
 
Mancando completamente una giusta valutazione sul costo della cura è naturale e ben noto che ciò che non può essere misurato, sicuramente non può essere gestito, migliorato o governato. Di conseguenza  l’imposizione di limiti alla spesa sanitaria comporta solamente risparmi marginali che spesso comportano ricadute di  maggiori costi totali e risultati scadenti degli esiti della cura.
 
L'incapacitàdi misurare correttamente i costi e confrontare i costi con i risultati è alla radice del problema di inefficacia ed inefficienza dell’assistenza sanitaria e questa situazione  ha gravemente ritardato il passaggio ad approcci di rimborso più efficaci.
Secondo il Porter l’obiettivo che può essere  adattato  a qualsiasi sistema sanitario è quello di migliorare il valore fornito ai pazienti. Valore che in sanità si misura in termini di risultati per il paziente rapportati al controvalore monetario speso. Non è il numero dei diversi servizi forniti o il volume dei servizi forniti che conta, ma il valore.
 
Comparando  le conclusioni del Prof. Porter con i parametri previsti dal recente Regolamento sugli standard ospedalieri, già approvato tra Governo e Regioni il 5 Agosto 2014 e in questi giorni trasmesso alla GU per la sua definitva pubblicazione, ho riscontrato poche novità, forse per la  mancanza “di coraggio innovativo”, sia nelle procedure, sia nei parametri di riferimento alla base delle qualificazione di efficacia delle prestazioni.
 
Il Regolamento prevede esclusivamente i  volumi e le soglie del rischio degli esiti. Tutto il contrario del percorso innovativo auspicato dall’autore dell’articolo. Manca in questo regolamento la centralità del paziente sanitario  ed il valore della cura.
 
Solamente adottando alcuni parametri quali la sopravvivenza, la capacità funzionale, le complicanze e la sostenibilità della ripresa si potrà misurare un’assistenza più appropriata alla qualità della cura e riguarderà parametri, sicuramente più affini alla valutazione  “in e post” degenza.
 
Se prendiamo ad esempio i parametri di valutazione degli esiti presi in considerazione dalla Schone Klinik (Germania) e dal Karolinske Institute (Svezia) relative ad interventi ortopedici (artoplastica ginocchio ed anca), questi parametri non riguardano sicuramente volumi o giorni di degenza ospedaliera , le valutazioni di cura efficace vengono stabilite in base al grado di salute e recupero fisico, livello funzionale raggiunto, livello di dolore, ripresa attività fisica, possibilità di svolgere attività lavorativa entro breve termine. Esiste sicuramente una centralità di valutazione del paziente ospedalizzato.
 
Vengono stabiliti, altresì, parametri di disutilità della cura, che comportano   valutazione diverse in termini di remunerazione assistenziale e di fondi erogati. Il valore attribuito alla qualità della  cura è dato esclusivamente al tempo effettivo che l’intera equipe medica dedica alla cura del paziente.
 
Naturalmente il tempo della cura verrà valorizzato da un coefficiente che stimerà i tempi effettivi e le remunerazioni complessive  di tutto il personale di assistenza (personale medico strutturato e non, specialisti medici, infermieri)  oltre a tutte le risorse impiegate nella cura della patologia.
 
Il costo complessivo verrà alla fine rapportato anche  agli esiti fisici personali di funzionalità complessiva raggiunta dal paziente.
Nel Provvedimento ministeriale attuativo, l’accreditamento o la ridefinizione tra Ospedali ed Unità Operative è data esclusivamente dal raggiungimento dei parametri previsti  (volumi e rischio degli  esiti), resta esclusa qualsiasi riferimento all’utilità o disutilità della cura con  relative valutazioni di merito sulla qualità del servizio sanitario erogato al pubblico dalle strutture accreditate.
 
Se prendiamo ad esempio quanto accaduto alla neonata deceduta a Catania, la clinica ginecologica potrebbe rientrare sicuramente nei parametri di accreditamento previsti dalla legge: soglie di volume previste dall’accordo Stato Regione del 16 novembre 2010 e soglie di rischio 15%  max per volumi di parto inferiori a 1000.
 
Pertanto tutto normale in relazione ai criteri di accreditamento, fatta eccezione per la giustizia penale che sicuramente dovrà pronunciarsi sulle responsabilità personali e non sulla responsabilità di gestione e di controllo della sanità nazionale o regionale
 
Nell’ambito dell’idea innovativa rappresentata dal Prof. Porter non è stata forse prevista la “sopravvivenza del paziente” quale parametro, non unico certamente, ma determinante per la valutazione degli esiti?
 
Mauro Quattrone

20 febbraio 2015
© Riproduzione riservata

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