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Papa Francesco e i medici

di Ivan Cavicchi

Il messaggio del Papa di qualche giorno fa alla Pontificia Accademia per la Vita ha posto sul tavolo una serie di ragionamenti tanto profondi quanto semplici. Che abbracciano i grandi temi della deontologia professionale ma anche quelli legati alle economie dei sistemi sanitari e alle evidenze della scienza

12 MAR - Papa Francesco di recente, rivolgendosi ai medici ha detto delle cose che mi hanno davvero colpito per la loro profondità e semplicità. Partendo dal presupposto che la medicina “ha un ruolo speciale all’interno della società” il Pontefice ha rimarcato che essa “è testimone dell’onore che si deve alle persone” e che “uno Stato non può pensare di guadagnare con la medicina”.

15 anni fa chiudevo il mio libro “La medicina della scelta” con un paragrafo intitolato “l’onore della medicina” e proponevo “l’onore” come una virtù sociale di cui è responsabile in prima persona l’operatore, una sorta di diritto alla stima meritato e guadagnato sul campo e strettamente legato alle prassi professionali. In quel paragrafo riflettevo su alcuni termini riconducibili ad “onore” come “onorevole” e “onorario”. “Onorevole” è colui degno di onore perché onesto,”onorario” è il premio per il “ben fare” riconducibile a colui che “porta aiuto”.

Oggi le professioni non sono “onorevoli” ma non perché disoneste ma perché le loro prassi sono fortemente condizionate dai tanti tipi e dalle tante forme di restrizioni loro imposte. Cioè oggi le professioni non sono più oggettivamente le garanti dell’onore di cui parla il Pontefice e sono retribuite senza onorario cioè sub retribuite anche perché il fare è retribuito indipendentemente dal “ben fare” e dal “portare aiuto”. In pratica siamo finiti in un circolo vizioso: si “disonorano” le prassi professionali che loro malgrado “disonorano” il malato.

Una professione senza onore si riduce ad essere servile e quindi un costo entrando in competizione con altre professioni servili e quindi ad altri costi. La logica del tanto discusso comma 566 è di ridurre la complessità delle professioni a competenze fungibili, (“res quae pondere numero mensura constant”), cioè le professioni proprio perché servili sono intercambiabili, e quindi definite solo in un rapporto competenze /costi. Oggi le Regioni non si pongono il problema di custodire l’onore del malato di cui parla il Papa, ma puntano sulle competenze fungibili isolabili e separabili per risparmiare e far quadrare i loro bilanci.

Papa Francesco ha poi sottolineato che oggi “la malattia più grave” è “l’abbandono” riferendosi in particolare agli anziani, e ha parlato di un nuovo dovere definito “il più importante, quello di “custodire la persona umana”. Ebbene credo che la questione dell’abbandono sia nelle forme eclatanti (ad esempio anziani non autosufficienti ma non solo) che in quelle più mitigate ma anche più diffuse, oggi sia la contraddizione vera della sanità pubblica. I casi più comuni di abbandono riguardano i malati anziani o i malati complessi che in ospedale a causa della penuria di personale, non vengono alzati, o non vengono girati, o medicati come si dovrebbe.....e che si ritrovano piagati dal decubito e vittime di una assistenza sempre più carente e sempre più clinicamente orientata all’essenziale cioè alla terapia tout court. In questa categoria rientrano i malati parcheggiati sia nelle barelle in un corridoio perché non ci sono posti letto, sia nelle liste di attesa che aspettano mesi per una visita.

Quelli che non si curano perché non hanno i soldi per i tickets ecc. Queste ed altre sono forme relative di abbandono. L’abbandono si ha quando la “custodia” della persona viene meno. Qui il pensiero del Pontefice diventa potente: custodire un malato è molto di più che tutelarlo da una malattia. Essere custodi dell’onore di un malato non è solo proteggere il malato dalla malattia cioè tutelarlo ma è qualcosa di più, è conservare nella malattia un’integrità morale, che il grande gesuita ,definisce “onore”, facendo in modo che la malattia non lo comprometta.

Oggi con le tante forme diffuse di abbandono in gran parte causate dalle politiche di risparmio sui costi della cura e dell’assistenza, lo Stato è come se risparmiasse .. abbandonando....cioè sacrificando l’onore dei cittadini e di coloro che sono chiamati a custodirlo. Quindi Papa Francesco sembra dirci: non c’è onore per le professione se non vi è onore per i malati. I malati senza onore disonorano le professioni. Le politiche che disonorano i malati disonorano le professioni e viceversa perché l’abbandono in tutte le sue forme è disonorante.

Infine Papa Francesco senza tanti giri di parole ha affermato qualcosa di incredibilmente significativo: “evidenza ed efficienza non possono essere gli unici criteri dell’agire dei medici”. Se l’evidenza è la parola chiave del pensiero medico scientifico e se l’efficienza è la parola chiave dell’economia sanitaria, vuol dire che ne la scienza ne l’economia da soli possono guidare le prassi professionali. Meno che mai se la scienza è scientismo e se l’economia è economicismo, cioè meno che mai se queste discipline diventano razionalità integraliste, cioè con i paraocchi. Le parole del Papa mi colpiscono perché in ogni dove l’evidenza e l’efficienza sono invocate quali criteri ordinatori e assoluti delle attuali politiche sanitarie, ma mi colpiscono anche perché esse sono i criteri guida delle deontologia attuali.

Forse i nostri lettori rammenteranno il dibattito anche aspro che si è avuto lo scorso anno sul nuovo codice deontologico dei medici. Tra le molte debolezze del codice che avevo cercato di segnalare due in particolare riguardavano proprio l’ evidenza e l’efficienza (l’art 13 e l’art 6).Sostenevo che, da una parte il codice si richiamava a “logore epistemologie “basate” sulle evidenze scientifiche” e dall’altra definiva i comportamenti professionali con “ i valori tipici dell’economicismo” nonostante questi fossero stati “il più formidabile fattore di condizionamento dell’autonomia del medico”, e che oggi “l’autonomia professionale, risulta purtroppo inquinata dall’economicismo e in qualche caso ad esso subordinata”.

Se questo è vero, seguendo il ragionamento del Papa, vuol dire che i medici disonorano il malato non solo perché le loro prassi sono decapitalizzate dall’economicismo (efficienza) e perché esse sono deumanizzate dallo scientismo (evidenza), ma anche perché le loro deontologie sono diventate deontologismi a loro volta decapitalizzanti e deumanizzanti, che non custodiscono più con la forza dei doveri l’onore del malato.

La lezione del Papa è esemplare:
• le professioni non potranno avere onore, quindi essere onorevoli ed avere il giusto onorario se per prima cosa non diventano le garanti dell’onore del malato
• se l’evidenza e l’efficienza non basta, serve una deontologia che superi il deontologismo , ispirata al dovere di custodire l’onore del malato
• la deontologia deve essere disobbedienza contro tutto quanto disonora il malato.

Da tempo sono un convinto assertore di una “deontologia forte” convinto che la deontologia debitamente ripensata sia una formidabile arma per difendere l’onorabilità delle professioni. Per questo a più riprese ho invitato tanto i medici (congresso nazionale dell’Anao) che gli infermieri alla “disobbedienza deontologica. Sono convinto che le professioni stanno sottovalutando l’importanza della deontologia per combattere le politiche disonoranti. Custodire l’onore del malato significa anche protesta contro le politiche che lo disonorano.

La disobbedienza deontologica non è quindi solo usare la deontologia che c’è ma è anche superare i deontologismi nei quali siamo caduti. Tanto quelli dei medici che quelli degli infermieri. Se andiamo fino in fondo ai ragionamenti di Papa Francesco, alle professioni si pone un problema di overruling : revocare retroattivamente dei codici deontologici disonoranti sostituendoli con codici che al contrario custodiscano in modo severo il valore prezioso dell’onore.

Ivan Cavicchi

12 marzo 2015
© Riproduzione riservata

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