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Dieta mediterranea, sport e salute: a Roma Congresso nazionale Andid

di Ettore Mautone

Qualità della pratica professionale, nuove tecnologie a supporto dei professionisti per la gestione delle patologie croniche, nutrizione e sport, ristorazione collettiva saranno i principali temi che verranno analizzati e discussi durante i lavori dell'Associazione nazionale dietisti.

08 MAG - Dieta e salute, ma anche lo sport e lo stile di vita quali elementi cruciali per conservare il benessere, allontanare le malattie legate all’invecchiamento e garantire un minore impegno delle strutture sanitarie della popolazione generale riducendo i costi legati a farmaci e ricoveri. Tutti temi sotto i riflettori del 27° Congresso nazionale dell’Associazione nazionale dei dietisti (Andid), in corso a Roma al Centro Congressi Frentani per concludersi sabato 9 maggio.

Qualità della pratica professionale, nuove tecnologie a supporto dei professionisti per la gestione delle patologie croniche, nutrizione e sport, ristorazione collettiva e tanto altro al centro dei lavori scientifici con una particolare attenzione alla best practiceed all’innovazione, al servizio dei professionisti impegnati quotidianamente nella cura e nella tutela della salute nutrizionale della popolazione.Tra “popular diets” (ovvero “diete famose” o, meglio, diete alla moda), alimenti, integratori e affini dai presunti effetti salutistici/miracolistici, indubbiamente quella delle diete rischia a volte di somigliare ad una giungla dove il cittadino ha davvero molta difficoltà a districarsi.

In primo piano l’evoluzione, la valutazione e la sostenibilità della Dieta mediterranea. “Il ruolo di questo particolare regime alimentare nato nel Cilento e ormai diffuso in tutto il mondo come esempio di salute e longevità – avverte la campana Ersilia Troiano, presidente nazionale dell’Andid - nel promuovere la salute è ampiamente supportato da una corposa letteratura di evidenza scientifica. In particolare, l’aderenza ad un pattern alimentare di tipo mediterraneo è associata ad un miglioramento significativo dello stato di salute, può ridurre il rischio di sindrome metabolica, di morbidità e mortalità correlate alle patologie croniche, così come di mortalità per tutte le cause. È interessante sottolineare come tale relazione sia stata descritta anche nei bambini, dove un pattern di tipo mediterraneo è correlato inversamente con il sovrappeso, fattore di rischio determinante, nel breve e lungo termine, per tutte le patologie già menzionate. Da un punto di vista di salute pubblica, la promozione di un modello alimentare di tipo mediterraneo, dunque, rappresenta la strategia più efficace per tutelare la salute nutrizionale della popolazione”.

Il costo economico di stili di vita errati
La premessa è che le patologie associate a stili di vita inadeguati rappresentano un costo economico e sociale per individui, famiglie, comunità e governi. E’ questo che emerge da tutte le analisi di sanità pubblica effettuate negli ultimi anni e riportate in tutti i documenti programmatici di politica sanitaria nazionali ed internazionali. Malnutrizione (intesa non solo come sottonutrizione ma anche come deficit nutritivi, sovrappeso ed obesità) così come le patologie croniche non trasmissibili descrivono, di fatto, un mutamento del pattern di salute delle popolazioni indubbiamente preoccupante. Nella regione europea dell’Organizzazione mondiale della sanità, patologie cardiovascolari, diabete, tumori e patologie respiratorie croniche rappresentano la prima causa di morte (86%) e disabilità (77%) così come il sovrappeso, un eccessivo consumo di energia, grassi, zuccheri e sale, insieme ad basso consumo di vegetali, frutta e cereali integrali sono fattori di rischio indiscutibili.

Nord e Sud Europa
Intanto mentre si assiste ad una generale evoluzione in positivo dei pattern dietetici dei paesi del Nord Europa, o comunque di tutti quei paesi dove la dieta mediterranea non rappresenta una tradizione, si osserva il contrario nei pattern dietetici nel sud dell’Europa, che stanno peggiorando in maniera preoccupante. Anche nei bambini con un preoccupante record negativo nel Sud Italia, segnatamente in provincia di Napoli. “Relativamente all’aderenza alla Dieta mediterranea – aggiunge Troiano - dallo studio Idefics volto a esaminare i rischi e le conseguenze a lungo termine del sovrappeso e dell’obesità nei bambini, e che ha coinvolto, sin dal 2006, un campione di circa 16.000 bambini tra i 2 e i 9 anni in 8 differenti paesi europei (Svezia, Germania, Ungheria, Italia, Cipro, Spagna, Belgio, Estonia), è emerso (e pare quasi un paradosso) che il 57 per cento dei bambini svedesi ha l’apporto più elevato (in termini di frequenze settimanali di consumo) di frutta, verdura e cereali rispetto a tutti gli altri bambini europei. Gli italiani sono solo secondi (37.5 per cento), seguiti – a pochissima distanza – dai tedeschi (35.1 per cento). Stessa tendenza si osserva nella popolazione generale, con differenze, per l’Italia, tra il Nord ed il Sud del Paese, con una aderenza lievemente maggiore per tutti i gruppi di età, nelle regioni del centro-sud”.

La cultura e il reddito
Ed è sempre l’Andid ad indicare in un dossier che sarà presentato in questi giorni a Roma, tra i fattori responsabili dell’adesione ad un pattern alimentare di tipo mediterraneo, il livello socioeconomico, nella sua duplice componente del reddito e dell’istruzione. sembra essere fortemente rilevante. Tale influenza emerge anche dal Moli-sany study, uno studio trasversale su una popolazione del Molise (13000 soggetti sani, di età superiore a 35 anni), dal quale è chiaramente emerso come un reddito più alto sia associato ad una maggiore aderenza al modello alimentare mediterraneo, indipendentemente dal livello di istruzione, che pur rappresenta una variabile fortemente correlata alla cosiddetta “nutrition knowledge” o “health literacy”. In tal senso sembrerebbe che l’accesso ad alimenti a basso costo, quali cereali raffinati e prodotti ultraprocessati, ed il costo più alto di alimenti di origine vegetale quali frutta e verdura, cereali non raffinati, pesce, renda la dieta mediterranea più dispendiosa rispetto ad un modello occidentale poco equilibrato.

"Tuttavia, la maggiore attenzione e consapevolezza alle tematiche del mangiar sano non significa necessariamente corrette scelte di alimentazione e salute. Complici una sempre crescente pressione sociale orientata verso la logica del “magro è bello”, gli interessi economici che gravitano intorno alla cosiddetta “diet industry” (ovvero il mondo delle diete) e, purtroppo, una parte di informazione orientata a focalizzare l’attenzione esclusivamente sui nutrienti e sulle calorie, ci si sta avviando pericolosamente verso un eccessivo salutismo, che nulla ha a che vedere con la salute".

La dieta, insomma, deve rappresentare un momento di cambiamento permanente di abitudini e stili di vita errati. Deve essere un percorso ragionato e condiviso, che conduca all’acquisizione di capacità, consapevolezza e coerenza nello stile di vita. Deve essere un percorso di modifica del proprio modo di pensare e gestire l’alimentazione, un percorso di autonomia ed autogestione. E tutto ciò deve avvenire in maniera sostenibile, ovvero essere inserito nella realtà di vita di ognuno senza stravolgerla, tenendo conto delle esigenze personali, lavorative e di vita sociale, e dell’importanza di poter ritornare a pensare all’alimentazione anche e soprattutto come veicolo di benessere, convivialità, piacere e tradizione.

Programmazione sanitaria
“Se è vero che in termini di programmazione sanitaria e politiche di salute, è indubbio il vantaggio economico del modello alimentare mediterraneo in termini di costo-efficacia – dice Troiano - è pur vero che, a livello degli interventi sugli individui o anche sulla popolazione, tale messaggio stenta a determinare un cambiamento a medio e lungo termine delle scelte di consumo.
Bisogna dunque poter programmare interventi di salute pubblica volti non solo a intervenire su fattori esterni, ma strettamente correlati alle scelte di consumo della popolazione, quali ad esempio la disponibilità di alimenti vegetali a basso costo piuttosto che la tassazione sugli alimenti dai profili nutrizionali poco salutari, ma anche e soprattutto sui fattori direttamente coinvolti nei comportamenti di acquisto, promuovendo azioni concrete che vadano nella direzione di stimolare il pensiero critico su aspetti quali le porzioni adeguate di consumo, la riduzione degli sprechi e la corretta conservazione degli alimenti in casa, direttamente correlati al costo della dieta”.

Dieta e sport
Molto controverso infine il tema della dietetica applicata allo sport, dove i concetti di evidence based practice faticano ancora molto a farsi strada in una giungla fatta di praticoni, diet industry e abusivismo professionale. Troppo diffusa in ambito sportivo, soprattutto in quello non agonistico, è l’abitudine a regimi alimentari “fantasiosi” e ad integrazioni nella gran parte dei casi inutili e, addirittura, dannose per la salute. “A tal proposito – conclude l’esperta - è opinione diffusa che alcuni nutrienti, venduti sotto forma di integratori, posseggano proprietà “miracolose”, che permettono di migliorare le prestazioni sportive e la forma fisica. Il ricorso a tali sostanze è però, nella gran parte dei casi, ingiustificato e a volte addirittura dannoso ed in ogni caso va attentamente valutato con il supporto professionale e non – come troppo spesso capita – autogestito”. La sessione dedicata alla dietetica applicata allo sport tratterà il tema dell’alimentazione in relazione all’attività fisica ed alla pratica sportiva, soffermandosi in particolare sui falsi miti e le leggende che circolano, senza alcun presupposto scientifico, intorno a queste tematiche. 
 
Ettore Mautone

08 maggio 2015
© Riproduzione riservata

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