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Dall’appropriatezza alla ‘propriety’. I medici che sono “solo” medici, “non” sono medici

di Ivan Cavicchi

Oggi fare il medico significa essere in grado in modo nuovo rispetto al passato  di mettere insieme morale, scienza, economia, filosofia  quindi di essere formato alla complessità e alla compossibilità (quarta e ultima parte)

10 MAG -  
L’intesa Stato Regioni non affronta le questioni dell’inappropriatezza strutturale del sistema né quelle dell’inappropriatezza sovrastrutturale delle professioni, e meno che mai tutte quelle contingenti che coinvolgono i tanti settori della sanità. Essa si limita a sistema invariante ad usare il termine appropriatezza in due accezioni:
· quella prescrittiva relativamente a farmaci, prestazioni specialistiche e riabilitative;
· quella selettiva delle prestazioni erogabili a carico dello Stato relativamente ai Lea.
 
L’uso della nozione di appropriatezza in questi casi come si vede è molto riduttivo, cioè l’inappropriatezza prescrittiva viene ridotta ad un rischio di inappropriatezza da prevenire soprattutto amministrando preventivamente l’attività prescrittiva dei medici e penalizzando finanziariamente qualcuno.
 
Quando un termine viene rimpicciolito da un uso parziale, distorto, equivoco esso alla fine diventa inemendabile. Se il campo semantico dell’appropriatezza proposto dall’intesa Stato Regioni è la logica lineare del definanziamento, quello della medicina amministrata, alla fine all’emendamento della definizione resta poco spazio.
 
In questi casi conviene cambiare termine e ridefinire la questione di sana pianta. La stessa esigenza si pone se la definizione di appropriatezza cambia i suoi postulati. Se essa ad esempio:
· non è più un problema di cose inappropriate ma è un problema di persone inadatte;
· è concepita contro i medici e non per i medici;
· è negata come autonomie responsabili quindi concepita essenzialmente come amministrazione degli atti professionali.
 
All’indomani della pubblicazione della “medicina delle scelta” (2000) scritto in aperta polemica con la legge 229, che a mio parere cedeva alle tentazioni della medicina amministrata, pubblicai un libro “Salute e federalismo, forma e contenuti dell’emancipazione” (Bollati Boringhieri 2001) con il quale proponevo di cambiare il termine appropriatezza, quale traduzione della parola inglese appropriateness, con il termine propriety, da tradurre in italiano con adeguatezza, confacenza, pertinenza.
 
Oggi dopo l’intesa Stato Regioni, prendendo atto dei problemi deontologici delle professioni, e constatando una paralisi del pensiero da parte di sindacati, associazioni e quanto altro, ripropongo questa operazione per distinguere:
· l’appropriatezzaintesa come questione attinente a cose inappropriate, a misure contro i medici, a una idea di medicina amministrata;
· da propriety cioè una contro-appropriatezza con la quale intendere tutto quanto debba essere adeguato, confacente, pertinente.
 
L’idea di usare un altro nome per indicare un altro significato di appropriatezza mi venne dalle impressioni che ricavai, dopo la lettura del 229 e quindi dopo aver riletto la “teoria dei sentimenti morali” di Adam Smith, nella quale il termine propriety non appropriateness è usato per indicare soprattutto qualcosa di “adeguato alle circostanze”.
 
Mi resi conto che probabilmente appropriateness era una traduzione riduttiva di propriety dal momento che il BMJ (“Appropriateness: the next frontier” 1994; 308: 218-19) dopo aver descritto i problemi finanziari legati allo sviluppo dei sistemi sanitari aggiungeva: “Studies of appropriateness underline the seriousness of these problems. By appropriate care I mean that for which the benefits exceed the risks by a wide enough margin to make it worth providing. If we could increase appropriate and decrease inappropriate care, the benefits to patients and society in terms of health and wealth would be enormous. Indeed, without methods to detect inappropriate care, society's ability to maintain universal insurance coverage may disappear. But how do you measure the appropriateness of care?”.
 
Cioè negli anni ‘90 i medici inglesi pressati dagli amministratori tradussero propriety come un problema di costi/benefici e quindi riducendolo a appropriateness. Noi ci siamo andati dietro e ora dopo 15 anni di chiacchiere sull’appropriatezza siamo arrivati alla medicina amministrata.
 
Mi colpì la forza del pensiero di Smith che da filosofo e economista quale era tentava di unire la filosofia morale con l’economia politica. Pensai che la sanità e la medicina, soprattutto le nostre professioni, avessero lo stesso problema: unire morale economia e scienza. Pensai anche che per unire morale e economia e scienza nell’idea di propriety ci sarebbero serviti degli autori non delle trivial machine cioè professioni non solo con delle conoscenze, con delle evidenze, con dei profili, degli standard ma anche con delle qualità morali, delle abilità, delle capacità cognitive, delle sensibilità. Smith confermò questa mia vecchia intuizione dal momento che per lui la propriety era prima di tutto una qualità morale della persona prima ancora che una sua capacità tecnica della quale definire la qualità dei comportamenti.
 
L’idea di propriety non solo è la più coerente con la necessità per i malati di avere medici e non meccanici e quindi di fare dell’autonomia del medico e della sua responsabilità una risorsa ma non nega i problemi della gestione e proprio per questo ha importanti implicazioni:
· propriety vuol dire che oggi fare il medico significa essere in grado in modo nuovo rispetto al passato  di mettere insieme morale, scienza, economia, filosofia  quindi di essere formato alla complessità e alla compossibilità. Cioè oggi il medico propriety è inevitabilmente multi-epistemologico. Se mi si passa la battuta che Von Hayek aveva fatto per gli economisti direi che oggi i medici che sono solo medici non sono medici. Questo spiega perché i medici sono nei guai, scrivono dei pessimi codici deontologici e subiscono ogni soperchieria e badano come possono a farsi gli affari personali;
· propriety quale idea di adeguatezza ci introduce nel mondo che i pragmatisti americani definiscono “convenienza”, intendendo con questa parola tutto quanto è adeguato con le circostanze ,le situazioni le contingenze. La convenienza del costo/beneficio non è solol’economicità di una prestazione ma è un discorso più ampio. Che senso ha risparmiare sui farmaci e i dispositivi sanitari e poi ricoverare di più, o bloccare l’innovazione ecc.?
· propriety mette in discussione il presupposto che sino ad ora ha governato il rapporto costi/efficacia che è quello della corrispondenza tra due termini opposti malattia/terapia. Il Codice deontologico dei medici quando parla di prestazioni non proporzionate si rifà ad una idea ormai ridiscussa dal pensiero moderno di corrispondenza affidandosi alle evidenze metastatistiche. Ma oggi le evidenze metastatistiche tradiscono la loro falsa dogmaticità, spesso davanti al malato complesso si rivelano inservibili, mentre tutto si complessifica il farmaco diventa rimedio, la terapia diventa cura, l’assistenza diventa presa in carico. Per cui, di fronte a questa esplosione di complessità è meglio non fidarsi troppo dell’evidenzialismo e ragionare di coerenza con una complessità, di ottimalità epistemica, di accettabilità razionale... Cioè di razionalità certo ma anche di ragionevolezza.... Quindi di propriety.
 
In conclusione agli Ordini, ai Collegi, ai sindacati, alle società scientifiche vorrei dire che oggi, in particolare dopo l’intesa Stato Regioni, la questione politica principale che si pone a tutte le professioni è quella di chi giudica e chi sceglie sulle necessità tanto del malato che delle aziende .Se il giudizio e la scelta resta una questione di appropriatezza allora le professioni perderanno la partita e saranno tutti più “dipendenti” di prima cioè più amministrabili.
 
Se al contrario Ordini, Collegi, sindacati, società scientifiche diranno no alla medicina amministrata controproponendo alla frustra idea di appropriatezza quella nuova di propriety in questo caso e solo in questo caso esse potranno diventare autori delle loro prassi professionali in autonomia e con responsabilità.
 
Cari i miei operatori della sanità la questione dell’appropriatezza di fatto rimette al centro la questione politica di “che cosa voi dovete” o “non dovete” essere. Da quello che voi sarete o riuscirete ad essere dipenderà il genere di cura che si intende assicurare al malato. Per me, per un malato, la prima garanzia di adeguatezza della cura non può che essere l’operatore.
Siccome l’operatore, in quanto tale, è per tante ragioni inappropriato allora ridefiniamolo per far sì che egli sia nei confronti del malato il più propriety.
 
Ivan Cavicchi
 
Leggi la prima parte, la seconda parte e la terza parte

10 maggio 2015
© Riproduzione riservata

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