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Istat. Immigrazione. Prima “badanti” e poi infermieri. Mangiacavalli (Ipasvi): “Fenomeno soprattutto nella sanità privata. Si dovrebbero privilegiare i professionisti formati in Italia”


Il fenomeno rilevato nell’ultimo Rapporto annuale Istat che lo definisce “emblematico” del cambio di status, rispetto alla prima occupazione, degli immigrati con titoli di studi avanzati. Ma per la presidente degli infermieri italiani le cliniche private dovrebbero anch'esse contribuire alla lotta alla disoccupazione infermieristica, ancora forte soprattutto al Sud, rivolgendosi ai professionisti formati e verificati dal nostro sistema universitario

22 MAG - Un fenomeno “nascosto” nel corposo rapporto annuale dell’Istat ma che ha sollevato le perplessità dell’Ipasvi. Parliamo di quel percorso, a volte di riscatto personale, che gli immigrati nel nostro Paese a volte riescono a intraprendere. Nel paese di origine erano insegnanti ma in Italia il lavoro c’è come badante. La domanda è forte e attrae molte donne anche europee con una forte prevalenza di ucraine.  
 
A volte però, per l’appunto, si riesce a recuperare lo status professionale originario e infatti il 31,2 per cento dei laureati immigrati ha un percorso prima discendente e poi ascendente, contro il 20,8 per cento di chi ha al massimo la licenza media. Ed “è emblematico – scrive l’Istat - il caso di molti infermieri professionali nel paese di origine che iniziano a lavorare in Italia come badanti e successivamente tornano alla professione d’infermiere”.
 
“Una situazione generale che abbiamo già più volte rilevato e denunciato – commenta Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale Ipasvi – sia quando abbiamo sottolineato che l’occupazione potrebbe trovare una soluzione in più se le strutture sanitarie private evitassero il meccanismo denunciato dall’Istat e si rivolgessero, per incrementare gli organici, ai professionisti formati e verificati dal nostro sistema universitario. Sia quando abbiamo messo in evidenza che in realtà la parte d’Italia a livello del resto d'Europa è il Centro (in parte) - Nord, sottolineando proprio la sottoccupazione nel Sud legata alla necessità di contenere la spesa e al blocco totale del turn over nelle Regioni in piano di rientro. Con la conseguenza anche di  una mobilità sanitaria in eccesso dei pazienti di queste Regioni, verso le strutture considerate d’eccellenza del Nord. Per questo abbiamo chiesto un intervento deciso del Governo che aiuti le Regioni in crisi a evitare i ‘viaggi della speranza’ e le metta in condizione di programmare e organizzare al meglio le proprie strutture, perché possano se non attrarre pazienti, almeno evitarne la fuga in cerca di cure migliori”.
 
Ma Mangiacavalli interviene anche sulle analisi effettuate dall’Istat sulla condizione della sanità italiana. In particolare è la situazione del Sud che resta in generale un’area di svantaggio sulla salute, e non solo, tra carenza di servizi, disagio economico, diseguaglianze sociali e scarsa integrazione degli stranieri residenti a colpire la presidente dell’Ipasvi.  
 
“Una situazione – commenta Mangiacavalli - per molti versi nota da anni, sottolineata a più riprese da chi opera nel Servizio sanitario nazionale e che tuttavia presenta un denominatore comune che il legislatore dovrebbe considerare nelle sue scelte di politica economica e di tagli: perfino nelle Regioni nella parte più bassa della graduatoria del gradimento (Molise, Campania, Calabria), la maggioranza di chi ha utilizzato visite, accertamenti specialistici e servizi sanitari  pubblici assegna un punteggio che varia da 8 a 10. Questo è dovuto, viste le carenze evidenti delle strutture nelle Regioni in deficit, soprattutto alla qualità del personale. Perciò va fermata l’emorragia di operatori legata al blocco di contratti e turn over. Anche per evitare la rinuncia dei cittadini a prestazioni sanitarie che rappresenta un importante indicatore di qualità dell’offerta, perché rivela una domanda di assistenza alla quale il sistema non riesce a dare adeguata risposta”

22 maggio 2015
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