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Chirurgia. Le difficoltà della sanità italiana si avvertono anche in sala operatoria. Il focus in un convegno a Milano


Le dimensioni del problema radiografate attraverso un confronto tra Istituzioni, chirurghi, manager sanitari, associazioni pazienti ed economisti. “Il diritto del paziente a ricevere il trattamento migliore e più innovativo in sala operatoria, si deve conciliare con un inevitabile incremento della spesa per il sistema sanitario”. 

06 NOV - Al complesso e quanto mai attuale rapporto tra innovazione e sostenibilità e su quale sarà il futuro della chirurgia nel nostro Paese è dedicato l’incontro dal titolo: “Slow Surgery. Qualità e sostenibilità in chirurgia”, in corso in questi giorni a Milano. Al convegno, organizzato da Medtronic in collaborazione con il Professor Giovanni Battista Doglietto, del Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma e il Professor Pierluigi Marini, dell’Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini di Roma, si stanno mettendo in luce le dimensioni del problema e le prospettive future attraverso un confronto tra Istituzioni, chirurghi, manager sanitari, associazioni pazienti ed economisti.
 
“Oggi la chirurgia equivale ad “alta tecnologia”, sempre più centrale perché corrisponde a qualità e sicurezza delle sale operatorie, requisiti imprescindibili ed indispensabili per la tutela del paziente – afferma Pierluigi Marini – e sempre più richiesta dal paziente stesso, che oggi ha una maggiore consapevolezza del diritto alla salute e al miglior trattamento possibile.”

“E’ importante, tuttavia, considerare che il diritto del paziente a ricevere il trattamento migliore e più innovativo in sala operatoria, si deve conciliare con un inevitabile incremento della spesa per il sistema sanitario, anche alla luce dell’aumento dell’aspettativa di vita e, di conseguenza, dell’invecchiamento della popolazione” – aggiunge Giovanni Battista Doglietto.

Quello a cui si sta assistendo negli ultimi tempi, per quanto riguarda l’acquisto di beni e servizi nelle aziende sanitarie, è una progressiva diffusione, ai fini del contenimento della spesa, di modelli di centralizzazione mediante forme di aggregazione, sia a livello nazionale che regionale. “Ma, se ottenere economie di scala per la riduzione dei costi unitari può essere relativamente semplice – continua Marini – individuare beni e servizi con il miglior rapporto costo/beneficio è estremamente complesso, perché richiede un lungo lavoro di analisi, coinvolgimento e condivisione fra tutti gli operatori che operano nel sistema. Non solo, quindi, provveditori economi, farmacisti ospedalieri, aziende fornitrici ma, soprattutto, per quanto riguarda i medical device, i chirurghi, il cui ruolo dovrebbe essere determinante”.

“Se in passato eravamo abituati a esprimere valutazioni sull’acquisto di strumentazioni dove il criterio della qualità pesava per un 60% e il prezzo per il restante 40%, ora questa ‘forbice’ si sta sempre più riducendo a favore del prezzo” – afferma Marini.

“Il problema – aggiunge Doglietto - è che le aziende ospedaliere, a volte, sembrano indirizzarsi verso l’acquisto di prodotti ad un prezzo inferiore quando, nella realtà, la responsabilità ultima della scelta di un dispositivo dovrebbe essere del chirurgo. Scelta che sarebbe, ovviamente, basata su evidenze scientifiche acclarate, alla luce anche di strumenti di analisi come l’Health Technology Assessment. Pur consapevoli che l’innovazione sia più costosa, se osserviamo i risultati (minori giorni di degenza, ripresa funzionale dei pazienti più rapida, ecc.) nel medio-lungo periodo, l’impatto economico è indubbiamente meno oneroso.”

Questa situazione viene ad intersecare il problema del “contenzioso medico legale” e della cosiddetta “medicina difensiva” che, secondo Marini, è diventato un fenomeno ingestibile: “Ci troviamo, infatti, davanti a una contraddizione palese: il chirurgo non ha poteri decisionali nella scelta della strumentazione che deve utilizzare in sala operatoria, ma è chiamato ad andare in giudizio per risarcire o per rispondere penalmente di proprie eventuali responsabilità”.

Esistono, dunque, problematiche di “sistema” che possono mettere in discussione il futuro della “chirurgia” nel nostro Paese, che è sempre stata un punto di riferimento nel mondo, dove i nostri chirurghi hanno fatto e continuano a fare scuola, anche per quanto riguarda le tecniche innovative mininvasive.

Oltre ai temi evidenziati fin qui, nel corso del convegno sta emergendo, infatti, il problema della perdita di attrattività della professione chirurgica, causata, soprattutto dal blocco del turnover che non fa intravedere ai giovani medici la possibilità di sbocchi professionali adeguati alla formazione ricevuta.

“E’ importante far sapere all’opinione pubblica che nei prossimi 10 anni saremo costretti ad ‘importare’ chirurghi da altri Paesi, perché i giovani non si avvicineranno più a questa branca della medicina – dichiara Marini - Oggi, per la prima volta nella storia della chirurgia italiana, le scuole di specializzazione registrano posti vuoti. Chi fa questa scelta, poi, costretto a lunghi anni di precariato, decide dopo un periodo di formazione, di andare all’estero”.

“Le questioni ‘aperte’, abbiamo visto, sono diverse – continua Marini – Quello che dobbiamo fare è impegnarci per mantenere il primato della chirurgia italiana. Le Istituzioni, però, devono ascoltarci. Noi siamo a disposizione per affrontare insieme i problemi più stringenti: come mantenere alti standard qualitativi, coniugandoli con la sostenibilità, cosa rispondere alle aspettative del paziente relativamente alla chirurgia, cosa significa oggi formare nuovi chirurghi, ecc.”.
 
“Per iniziare – conclude Doglietto – sarebbe importante sostituire a una logica di tagli lineari finora applicati, un sistema razionale di valutazione e programmazione che miri a tagliare la spesa eccessiva e incontrollata e le ‘sacche’ di inefficienza, ma nel contempo, grazie alle risorse risparmiate, aumentare la quantità e la qualità dei servizi erogati ai cittadini dalla Sanità pubblica”.

06 novembre 2015
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