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Comma 566. I Tecnici di radiologia medica: “Basta con la visione medico-centrica della sanità”

di Comitato centrale della Federazione Tsrm

Spostare il baricentro di alcune aree e attività verso le altre professioni sanitarie è un’esigenza ineludibile per tutti coloro che hanno davvero a cuore il sistema sanitario pubblico, senza che ciò si configuri quale limitazione e, tantomeno, negazione dell’essenziale funzione del medico

23 DIC - Preso atto delle dichiarazioni e delle argomentazioni della Presidente Fnomceo, Roberta Chersevani, tralasciando i possibili pronunciamenti in merito all'ampio e paziente lavoro di mediazione e sugli impegni condivisi perché attengono a una relazione nella quale non siamo stati coinvolti, continua a stupirci la riproposizione di un'impostazione necessariamente ed esclusivamente medico-centrica del sistema sanitario.
 
Spostare il baricentro di alcune aree e attività verso le altre professioni sanitarie è un’esigenza ineludibile per tutti coloro che hanno davvero a cuore il sistema sanitario pubblico, senza che ciò si configuri quale limitazione e, tantomeno, negazione dell’essenziale funzione del medico. Data la qualità degli interlocutori non riteniamo necessario richiamare né le motivazioni demografiche ed epidemiologiche che lo rendono indispensabile né le competenze e le tecnologie che lo rendono possibile.
 
E’ scorretto e socialmente pericoloso sostenere o lasciar intendere che la valorizzazione e la maggior responsabilizzazione delle altre professioni sanitarie (infermieri, tecnici di radiologia, fisioterapisti, ostetriche, etc…) altro non è che un’operazione di banalizzazione e dequalificazione della sanità dettata da mere esigenze economiche: non è vero che la miglior risposta ai singoli bisogni socio-sanitari, sia in termini di efficacia clinica che di gestione, può venire sempre e solo dal medico.
 
La miglior risposta, anche gestionale, a un determinato bisogno socio-sanitario è definita sulla base della sua provata efficacia nei confronti di quel determinato bisogno. La questione è di metodo, e i medici dovrebbero saperlo bene, anche in forza delle competenze acquisite nel corso di lunghi e complessi iter formativi.
 
La querelle della indispensabile valorizzazione delle altre professioni sanitarie si risolverà solo col metodo, al quale dovrebbe affidarsi anche la politica.
 
L’errore che fanno alcuni è quello di porre una condizione di partenza metodologicamente irricevibile: la leadership funzionale del medico, sempre, comunque, a prescindere, ad ogni costo.
 
In ambito scientifico non è possibile procedere ponendo un dogma e forzando tutte le variabili del contesto affinché si giunga alla conclusione desiderata. In ambito sanitario, quindi scientifico, si parte dai problemi, si procede con la formulazione di ipotesi di intervento da sottoporre a sperimentazione e si termina con la conferma o la falsificazione della supposta utilità dell’intervento.
 
Se si vogliono davvero risolvere le criticità interprofessionali generatesi negli ultimi anni -anche a seguito del comma 566, che più che modificato andrebbe applicato-, ci si deve ancorare al metodo: le professioni sanitarie, medica compresa, una a fianco all'altra, devono porsi di fronte ai bisogni socio-sanitari della popolazione e, tenuto conto degli indirizzi di politica sanitaria e delle risorse disponibili, definire, insieme al decisore, i modelli organizzativi da adottare, cioè le modalità di erogazione e di realizzazione delle prestazioni attraverso le quali il sistema intende rispondere.
 
Solo dopo aver individuato i modelli organizzativi ritenuti più sicuri, efficienti ed efficaci si definiranno l'intensità e le modalità di partecipazione delle professioni sanitarie che, sulla base delle loro competenze, dovranno essere coinvolte per realizzarli e, tra di esse, all’individuazione di quella che assumerà la leadership funzionale.
 
Nel caso in cui l’efficacia dei modelli da adottare sia già stata dimostrata per bisogni e in contesti simili, essi potranno essere ammessi in via definitiva; nel caso in cui la loro efficacia sia soltanto presunta, essi dovranno essere adotatti in via sperimentale. La valutazione nel tempo della loro sicurezza, efficienza e, soprattutto, efficacia in funzione dei bisogni per i quali li si è adottati potrà confermare o meno i primi e validare o meno i secondi, legittimando o meno il contributo delle professioni sanitarie in essi coinvolte, compresa quella medica.
 
In sintesi, si parte dai bisogni socio-sanitari, si transita per i modelli organizzativi che sono o si presume che possano essere in grado di meglio intercettarli, caratterizzarli e soddisfarli e solo in ultima battuta si giunge alle professioni sanitarie, tra le quali una assumerà la leadership funzionale. Ogni altra impostazione è corporativa, quindi da contrastare, poiché antepone interessi gestionali o professionali a quelli socio-sanitari espressi dalle persone da assistere.
 
Le altre professioni sanitarie sono da tempo orientate in tal senso, disposte a perdere e ad acquisire autorevolezza in funzione dell'utilità che esse hanno per il sistema sanitario e per le persone che vi si rivolgono. Le altre professioni sanitarie stanno aspettando che, finalmente, anche quella medica si orienti in tal senso, accettando la logica e la sfida della legittimazione sulla sola base della capacità di intercettare, caratterizzare e rispondere ai bisogni di salute, abbandonando quella della legittimazione sulla sola base dell’appartenenza a un gruppo professionale.
 
Comitato centrale della Federazione Nazionale Collegi Professionali Tecnici Sanitari di Radiologia Medica

23 dicembre 2015
© Riproduzione riservata

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