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Verso la conferenza di Rimini. Quale medico per il futuro?

di Ivan Cavicchi

Molto più capace di governare  le complessità con le quali ha a che fare compreso il problema delle risorse limitate. Un medico che ragiona di più non di meno, che sa usare bene la propria autonomia e che continua ad essere la prima garanzia di cura del malato. Con questo medico non c’è bisogno della medicina amministrata. Ma per averlo così bisogna iniziare dall'Università

17 MAG - Il 19/21 maggio a Rimini la Fnomceo terrà  la 3° conferenza nazionale della professione medica.Guardiamo al futuro: quale medico, quale paziente, quale sistema sanitario, quale medicina?
 
Questo il titolo che indica con il valore interrogativo “quale” almeno due necessità:
· ridefinire la circolarità  che ricorre tra il mondo molteplice del medico e il medico 
· ripensare  le qualità  di questo mondo molteplice  per ridefinire le qualità della professione
 
Cinque anni fa pubblicai un “manifesto” (*) che elencava i  10 ripensamenti più  importanti per cambiare la medicina e che tutto sommato  tentava di rispondere  agli stessi quesiti della conferenza di Rimini. Vorrei riproporvelo:
1) A quale idea, valore, principio, riferimento  deve riferirsi la ragione medica ,per far si che  i suoi modi di pensare, conoscere, operare siano coerenti con i bisogni che ad essa si rivolgono? Sino ad ora la sua idea di riferimento è stata la “scientificità” nei confronti del mondo fisico della malattia, quindi la razionalità della conoscenza, oggi questo non basta più. L’idea che contiene la complessità biologica della malattia, quella della persona malata, del contesto e della situazione in cui il malato si trova, si chiama “attualità. Assumere il principio di attualità come riferimento generale della ragione medica è il primo  ripensamento.
 
2) In una concezione fisica, biologica, corporea della malattia ,il riferimento principale della ragione medica è la “natura biologica”. Sino ad ora si è tentato di sommare a tale tradizionale concezione, altre concezioni sociali o psichiche o ambientali della malattia, oggi si tratta di ridefinire alla base tale idea e attualizzarla. Senza questo passaggio, che non a caso riguarda un altro riferimento basilare della medicina, non si potrà fare alcuna seria “umanizzazione”. Questo è il secondo importante ripensamento
 
3) Nel momento in cui la malattia  si esplica nell’attualità del malato, la ragione medica si deve ripensare rispetto alla complessità del soggetto malato, inteso come essere e persona. E’ il terzo grande ripensamento necessario
 
4) Se la conoscenza scientifica non basta più per conoscere l’attualità del soggetto malato, quale altra conoscenza, oltre quella scientifica, è possibile? L’unica possibile è quella ontologica, cioè quella che si incarica della riflessione, della comprensione, della ricerca di tutto quanto concerne l’attualità dell’essere e della persona, oltre le sue implicazioni biologiche, dentro le relazioni, le contingenze e i contesti. Si tratta di un genere  di conoscenza non nozionistica come quella scientifica, ma orientata a formare e a accrescere le sensibilità degli operatori, le loro abilità, la loro perspicacia, le loro virtù. Il quarto ripensamento  riguarda quindi la  definizione di un nuovo genere di conoscenza .
 
5) Ma quale è il luogo, la circostanza, l’occasione ,in cui conoscere l’attualità della persona malata, in cui servirsi non solo dei vari saperi disponibili, ma da cui ricavare delle conoscenze ontologiche? Tale luogo, circostanza, occasione è la “relazione” con il malato, al di fuori di essa  nessun tipo di ripensamento è possibile. Per la conoscenza biologica della malattia  le  relazioni non servono, ma per  la conoscenza dell’attualità di una persona malata, sono indispensabili. Questo è il quinto ripensamento fondamentale.
 
6) La relazione si esprime prima di tutto con il linguaggio a partire dal quale avviene il dialogo, la comprensione reciproca, la trasmissione delle conoscenze, l’espressione delle scelte e delle esperienze. Il linguaggio è il primo importante riferimento della relazione, la comunicazione è successiva. Esso oltre alla sintomatologia diventa l’altro oggetto di conoscenza ontologica e scientifica della persona malata e dell’operatore. Questo equivale ad un allargamento della base conoscitiva della ragione medica. La conoscenza nella relazione attraverso il linguaggio è il sesto importante ripensamento.
 
7) La conseguenza inevitabile che deriva dai precedentiripensamenti  è il dover ripensare  coerentemente, il caposaldo della ragione medica, vale a dire la “razionalità clinica”. La razionalità clinica resta la base della conoscenza medica  ma  va arricchita con conoscenze diverse. Rendere la razionalità clinica la più adeguata nei confronti dell’attualità della persona malata e della relazione con essa, è il settimo ripensamento
 
8) Il risultato dell’accordo tra razionalità medica, attualità , relazione e contesti, è “la razionalità ragionevole”. Essa è  un modo di conoscere comunque rigoroso nelle sue logiche, ma libero da visioni assolute e dogmatiche. Essa è anche  un particolare modo di “fare e agire” pratico, concreto, pragmatico. L’ottavo ripensamento riguarda principalmente la  ragionevolezza.
 
9) La razionalità ragionevole deve scegliere la cosa giusta da fare rispetto all’attualità della persona malata. Come si decide? Come si sceglie? Quale autonomia e quale responsabilità di chi decide? Sino ad ora la scelta del medico o dell’infermiere, era come predecisa dalle regole metodologiche della clinica. L’assunzione dell’attualità impone per forza che si scelga rispetto  alla relazione e che a scegliere sia da una parte il malato e dall’altra il medico. Ripensare la scelta  all’interno di un orizzonte di  codecisionalità è il nono grande ripensamento
 
10) La razionalità ragionevole non sarebbe tale se non accettasse la realtà incontrovertibile dei suoi limiti nei confronti dell’attualità, compresi quelli economici ai quali la medicina sarà sempre più esposta. Assumere il limite come una possibilità è il decimo fondamentale ripensamento.
 
Ma quale medicina e quale medico verrebbero fuori da questi ripensamenti? Vediamo succintamente di rispondere ma siccome il discorso sarebbe troppo vasto ci limitiamo  ad un nucleo di problemi che definirei  quelli attinenti  ai problemi  della “ragione medica”.
 
La prima cosa che cambierebbe dando per scontato che  il paziente è diventato esigente  è prima di tutto il rapporto con il malato:
· i malati non sono più conglomerati cellulari  sono entità complesse e come tali non possono essere indipendenti dal contesto, dalle situazioni, dalle contingenze e vanno conosciuti come tali
· i malati sono   mondi a molti mondi  ed hanno le loro verità cioè non esistono solo le verità scientifiche
- non è ragionevole continuare a concepire la medicina quale opera di soli medici   diventa importante il recupero ad un ruolo codecisionale della opinione finale dei  malati
· il malato , a sua volta, diventa  una garanzia di validità ,questo significa decidere insieme a lui cosa sia e cosa non sia rilevante (azzeramento del contenzioso legale garantito)
 
La seconda cosa che cambierebbe  è la nostra idea di verità scientifica:
· ciò che è considerato vero non può essere diverso da ciò che è considerato soddisfacente per un malato
· non si tratta di piegare la realtà del malato  ad un ideale di conoscenza razionale  e meno che mai di credere  che tutto quello che esorbita da tale ideale  non abbia alcun valore razionale
· la verità  non è primariamente una questione di evidenze ma una questione di risultati quindi ha una natura pragmatica non statistica
 
La terza cosa che cambierebbe  è il valore e l’idea di esperienza cioè la sua rivalutazione:
· l’esperienza   vale come circolarità  tra fatti valori e verità . Essa è capacità di decidere e di scegliere. Per un medico  è come un “fondo di dotazione” di conoscenze e capacità acquisite
· l’esperienza è una delle più formidabili risorse per il giudizio, la decisione, la scelta. Essa consente di controllare il valore teorico delle evidenze e delle verità scientifiche e di verificare se funzionano
· il razionalismo  delle evidenze ignora il malato e la sua singolarità e riduce la malattia  al proprio schema logico. Il malato deve essere pensato in modo ragionevole nella sua complessità con logiche adeguate che oggi l’università non insegna
· oltre alle condotte prescritte dalla razionalità clinica, vi sono tante condotte empiriche  possibili quanti sono le persone malate, quante sono le relazioni, quanti sono i contesti finanziari ecc
· dopo anni di evidenzialismo è arrivato il momento di rivalutare  l’esperienza
 
La quarta cosa che cambierebbe è il rapporto tra vero e giusto:
· le regole per credere non debbono riguardare a priori ciò che è sbagliato (“non fare”) ma semplicemente ciò che è giusto fare.
· ciò che è giusto è deciso da ciò che un medico  crede essere giusto nella realtà a fronte di un preciso malato
· solo dopo che il medico ha deciso  nella realtà ciò che è giusto egli può dire cosa non lo è
· ciò che è giusto fare è  un problema  pragmatico oltreché  di evidenze.
· è giusto  anche ciò che un medico crede vero, non solo ciò che si crede evidente o verificato
 
La quinta cosa che cambierebbe è l’idea di scelta:
· per un medico Il problema è quello di scegliere le credenze giuste  rispetto al malato nelle varie situazioni  sapendo che la cosa giusta non è quella che crede a priori l’evidenza ma  è quella che funziona nella realtà
· tutto quanto offre condizioni utili, necessarie, sufficienti, razionali e ragionevoli, a garantire una scelta conveniente, può definirsi giusto
· ciò che è empiricamente approvato come scelta giusta è un bene e il bene  è un criterio operativo
· è giusta la scelta  che il medico fa dopo che è stato approvato da lui e dal malato qualcosa come giusto
· è giusto  l’uso che egli  fa delle verità approvate dalla realtà e dall’esperienza
· la scelta per il medico è una questione di autonomia. Senza autonomia il medico non sceglie ma prescrive ciò che a lui è stato  prescritto di fare
 
La sesta cosa che cambierebbe è il concetto di affidabilità:
· non basta più quel particolare tipo di approvazione delle prassi mediche  definita affidabilità, cioè l’approvazione delle  prassi per mezzo di procedure
· il metodo resta importante, ma deve essere approvato da un genere di verità superiore  che è quella  pragmatica  del risultato e dell’interesse del malato
· è vano essere metodologicamente affidabile  e non avere risultati
· la dichiarazione di appropriatezza è un atto pratico  misurabile con i risultati non già  un’espressione contabile  dell’economicismo sanitario
 
La settima  cosa  che cambierebbe è la relazione medico/malato:
· scopo della medicina  non è tanto di rappresentare convenzionalmente  la malattia cercando di rendere coerente ciò che osserva alla sua razionalità  ma ricontestualizzare le sue conoscenze e le sue credenze dentro delle relazioni e rispetto ad un malato vero
· non è il malato che si deve adattare alle nostre verità ma il contrario sono le verità che si devono adattare al malato
· la relazione esce così dalle prigioni in cui è stata messa in questi anni del deontologismo e del comportamentismo  e dall’umanesimo banale e finalmente  diventa conoscenza
· per conoscere un malato è obbligatorio avere con lui una relazione di conoscenza
· non c’è scelta effettiva al di fuori della relazione.
Intendiamoci  molte sarebbero le cose da dire  ma le questioni accennate mi permettono di dire sommariamente che la medicina che viene fuori è sicuramente.
· antidogmatica cioè ripensa in modo ragionevole l’uso delle proprie verità scientifiche quindi non rinuncia alle sue evidenze  ma alla loro assolutezza si
· più realista di quella che è perché parte dalle complessità del reale e da quelle del malato
· pragmatica  quindi molto meno convenzionale  che vuol dire certo essere attenti ai risultati ma anche sopperire  alle aporie delle verità scientifiche con l’abilità a scegliere cosa fare nelle situazioni.. quindi quando necessario navigare a vista
· relazionale  nel senso che non gli basta capire cosa fare da ciò che vede (primato dell’osservazione) ma gli serve capire insieme al malato ciò che è giusto fare
· neo empirica nel senso che l’esperienza riprende il posto che si merita e che ha avuto almeno per 2000 anni
 
E come è il medico antidogmatico, realista, pragmatico, relazionale, neo empirista? Molto meglio di quello che è ora. Molto più capace di governare  le complessità con le quali ha a che fare compreso il problema delle risorse limitate. E’ un medico che ragiona di più non di meno che sa usare bene la propria autonomia e che continua ad essere la prima garanzia di cura del malato. Con questo medico non c’è bisogno della medicina amministrata.
 
C’è un problema, bisogna  costruirlo nelle università, per ora è solo una bella idea.
 
Ivan Cavicchi
(*) I. Cavicchi: una filosofia per la medicina, razionalità clinica tra attualità e ragionevolezza, Edizioni Dedalo Bari 2011

17 maggio 2016
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