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Dopo Rimini/5. L’appropriatezza si fotte il medico. Si può evitare?

di Ivan Cavicchi

Io credo che ai medici oggi convenga diventare autori, anche se per certe generazioni è difficile solo concepire un simile cambiamento ma sono quelle che andrebbero considerate ad esaurimento. Se il medico giovane restasse uguale al vecchio per lui e per noi sono cavoli amari

08 GIU - Il medico da tempo è in mezzo ad un conflitto pesante tra la sua deontologia e lo Stato senza nessuna idea vera di come venirne fuori. La tendenza dello Stato, spalleggiato da solerti “precettori”, tutti senza uno straccio di pensiero riformatore, è amministrarlo sempre di più nella folle idea che la riduzione della sua autonomia e il ridimensionamento del suo valore sociale possa contribuire ad abbassare i consumi della sanità pubblica.
 
In nome dell’appropriatezza (sic!) l’economicismo si fotte il medico e il medico o almeno chi lo rappresenta a quanto pare si fa fottere.
 
L’ambizione dell’autore è:
· rifiutarsi alle politiche che stanno mangiando l’anima alla professione;
· riproporsi come una professione diversa  cioè ricontestualizzata;
· disponibile  a fare i conti con tutti gli anti valori che minano le basi della professione proponendo di contro dei valori tra loro compossibili.
 
L’autore è un pensiero riformatore che ritiene suicida tirare a campare con finti cambiamenti. Vorrei spiegare a quali condizioni politiche questa idea di riforma può essere possibile.
 
In primo luogo è necessario distinguere tra due diverse politiche economiche
· redistributive di valori;
· creative di valori.
 
Nelle prime rientrano le politiche di compressione della spesa pubblicae quindi quelle di definanziamento della sanità e di decapitalizzazione del lavoro. Per queste politiche il medico è un costo, nulla di più, a sua volta effettore di costi a volte definiti sprechi, a volte inappropriatezze a volte diseconomie. Quasi fosse una professione fisiologicamente incompatibile. Da qui il tentativo di togliergli anche delle competenze facendole svolgere al minor prezzo ad altre qualifiche.
 
A volte si è parlato di “proletarizzazione” della professione medica alludendo ad un ruolo professionale declassato, ma la vera proletarizzazione è la riduzione della prestazione intellettuale a prestazione esecutiva cioè il capitale intellettuale a forza lavoro.  La medicina amministrata a lungo andare vuol dire meno autonomia meno salario
 
Nelle seconde rientrano tutte le politiche di sviluppo sostenibile. Creare valore per la sanità oggi a parte produrre salute in particolare significa:
· produrre salute per spendere meno;
· produrre salute senza diseconomie.
 
Oggi allo Stato non interessa creare valore ma avere meno costi. Il medico è un costo che si può ridurre, ma va guidato correggendo i suoi comportamenti professionali cioè mettendolo in riga. Per un autore al contrario creare valori significa usare la propria autonomia per produrre un vantaggio tanto epidemiologico che finanziario e non ha bisogno di mettersi in riga perché sa quello che fa.
 
In secondo luogo se il medico vuole salvare la sua preziosa autonomia e restare ippocratico, è necessario che tanto gli ordini che i sindacati e le società scientifiche facciano davvero i conti con l’economia (cosa che fino ad ora non hanno voluto fare) e trovino il modo di sfilarsi dalla contrapposizione spesa pubblica/lavoro.
 
Essa vede il “valore sociale” della professione contro il “prezzo” che lo Stato decide d’autorità per comprarne le prestazioni. Il valore sociale è ad andamento crescente perché aumentano scientificamente le possibilità di cura ma le retribuzioni cioè il prezzo per le prestazioni professionali sono ad andamento decrescente. Questa cosa va contestata. Perché nessuno lo fa?
 
Il valore reale della professione medica è quasi incalcolabile, a parte i suoi effetti morali sul rapporto vita/morte della gente, si possono calcolare approssimativamente i valori economici sulle persone, sull’economia di un paese ma per certi versi resta un valore d’uso che dipende dal valore che attribuiscono le persone ai loro bisogni di salute non facilmente riducibile a valore di scambio. Ma questo non vuol dire che l’incommensurabile non valga niente. Si deve quindi costruire un controvalore al prezzo. Perché questo controvalore ancora non è stato costruito?
 
Il lavoro del medico è un bene retribuito attraverso dei contratti che stabiliscono il prezzo del lavoro. Se il lavoro del medico è relativamente incommensurabile allora non avrebbe prezzo, pur tuttavia ha un prezzo che però è amministrato cioè condizionato in modo monopsonico dallo Stato e dalle sue politiche finanziarie.
 
Come funziona? Lo Stato oggi:
· attraverso il blocco dei contratti riduce il prezzo delle retribuzioni cioè deprezza il lavoro medico;
· attraverso la medicina amministrata riduce il valore dell’autonomia professionale cioè svaluta la professione.
 
La riduzione del valore dell’autonomia va quindi di pari passo con il deprezzamento delle retribuzioni
. La questione quindi è a metà strada tra ordini sindacati e società scientifiche:
· il valore riguarda gli ordini e le società scientifiche;
· il prezzo riguarda i sindacati.
 
Come pensa la rappresentanza  dei medici di proteggere la professione da svalutazioni e deprezzamenti?
 
Due ulteriori considerazioni. La prima: secondo la teoria economica se assumiamo la produzione di salute basata sull’acquisto di prestatori di opera (medici) il valore complessivo del bene prodotto si dividerebbe in due porzioni:
· l’una costituisce sotto forma di soddisfazioni  e risultati  il guadagno degli utenti;
· l’altra sottoforma di retribuzione  i compensi per i medici.
 
Ma oggi di mezzo c’è il problema della spesa pubblica per cui il valore complessivo del bene prodotto dal medico deve contenere anche una terza porzione: l’assenza di diseconomie. Cioè nel risultato deve esserci anche una soddisfazione finanziaria per lo Stato.
 
La seconda: il medico (come il grano di Ricardo) è un bene che in sanità compare due volte:
· è un valore per il suo uso finale cioè si va dal medico per stare in salute;
· è un fattore produttivo per la produzione di questo valore cioè senza medico non si ha salute.
 
Il medico quindi riunisce in sé “valori” e “utilità” nello stesso tempo però ha a che fare con i problemi della spesa pubblica per cui anche sotto questo aspetto esso compare nello stesso processo produttivo una terza volta come effettore di spesa pubblica
 
Riassumiamo oggi il medico deve assicurare risultati morali epidemiologici e finanziari. Come? Le teorie dell’impresa sostengono che i diritti di proprietà si fanno derivare dalla specificità dei fattori per cui il medico resta il proprietario della propria prestazione professionale. Il prestatore d’opera vende la sua opera scambiando morale epidemiologia economicità negoziandone tanto il valore che il prezzo. Il prezzo deve retribuire il valore in tutte le sue componenti comprese quelle economiche.
.
Per cui chiede allo Stato di essere considerato un capitale da rivalutare rivalutando tanto il valore della sua professione che il prezzo della sua opera. In quanto capitale il medico per forza dovrà dipendere dalla sua auto imprenditorialità dal momento che il più adatto a valorizzare il proprio capitale è il suo proprietario. L’autore si configura così come shareholder cioè come un azionista dell’azienda sanitaria proprietario del proprio capitale professionale.
 
Siccome in futuro sarà sempre peggio, cioè il definanziamento della sanità pubblica proseguirà, è meglio che i medici si diano una regolata e non si illudano che con un po’ di slow medicine e di choosing wisely passi la paura. Sono in atto tali e tanti cambiamenti strutturali che i pannicelli caldi spacciati per rivoluzionari fanno solo sorridere.
 
Io credo che ai medici oggi convenga diventare autori, anche se per certe generazioni è difficile solo concepire un simile cambiamento ma sono quelle che andrebbero considerate ad esaurimento. Se il medico giovane restasse uguale al vecchio per lui e per noi sono cavoli amari. I vecchi sono egoisti e pensano solo a proteggere l’unica cosa che conoscono ovvero lo status quo cioè il loro mondo che è stato e non sarà..
 
Ormai questo processo di svalutazione professionale va avanti anche per responsabilità dei medici oggi pensionati o vicini alla pensione da decenni e niente è stato fatto di significativo per bloccarlo. Se non si inverte la tendenza presto arriveremo ai “mediconzoli” cioè “infimi ordinis medicus”.
 
La condizione per aprire un discorso nuovo sul medico è tutta e solo politica: sta a chi rappresenta la professione avanzare una proposta e mettere in piedi un movimento vero per cambiare, non per conservare come è stato fatto fino ad ora. Ma quale? E perché sino ad ora nessuna proposta?
 
Ma si può voltare pagina o, come sostiene il mio amico Panti archiatra di lungo corso, un altro medico è utopia dal momento che i medici non sono in nessun modo idealizzabili?
 
Ivan Cavicchi
 
Leggi la primala secondala terza e la quarta parte

08 giugno 2016
© Riproduzione riservata

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