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Atto di indirizzo e rinnovo contratti. Il piatto piange ma stiamo al gioco

di Gianfranco Rivellini

Il rinnovo contrattuale è sul triennio, ci sono tre finanziarie di mezzo e ci sono soluzioni intelligenti per governarlo, a cominciare dalla modifica dell’impianto legislativo di spoliazione dei fondi e della RIA. La legge restituisca potere alla contrattazione, con atti di legge che lo prevedano. Ne guadagna un sistema di governance condiviso che resta la via maestra per puntare sulla motivazione del personale e ridare quello slancio al Servizio Sanitario Nazionale.

03 AGO - L’atto di indirizzo recentemente divulgato, unitamente alle riflessioni di alcuni autorevoli componenti del Comitato di settore, propongono analisi, spunti di riflessioni ed ipotesi sul tappeto che meritano attenzione. Cominciamo con l’ammissione di parte pubblica secondo la quale vi è stata negli anni riduzione degli incarichi di “alta gestione” ed un consistente aumento delle condizioni di disagio. E’ vero, talmente che ci siamo presi la briga di fornire numeri precisi attraverso l’analisi dei dati pubblicati dal Conto economico della Ragioneria Generale dello Stato.
La tabella 1) documenta la falcidia di direttori medici nel quinquennio 2010 – 2014.
 

 
 
Stessa sorte toccata ai direttori biologi, farmacisti, psicologi, chimici e fisici, con l’eccezione della dirigenza infermieristica, come evidenziato in tabella 2).

 
 
 
Con una visone d’insieme in 5 anni sono stati rottamati e non sostituiti quasi 1.800 direttori. Possibile, proiettando la tendenza al 2015, la perdita di altri 350 direttori di Unita Operative Complesse (UOC). In proporzione lineare la perdita di Dirigenti titolari di struttura semplice (SS). Balza agli occhi la differenza tra medici e non medici circa il rapporto tra UOC e SS. Dati impietosi sono quelli relativi alle condizioni dell’aumentato disagio, derivante dal moltiplicatore tra il dato della riduzione assoluta dell’organico ed il dato della parziale compensazione con i rapporti a tempo determinato (tabelle 3 e 4).

 


 


 
Le tabelle 3) e 4) dimostrano che il personale dirigente dell’Area sanitaria si è contratto complessivamente del 5%, ciò al netto di un incremento tendenziale del quinquennio di circa il 10% dei dirigenti a tempo determinato. Al netto perché la nota tecnica del MEF, precisa come “per Personale Stabile si intende quel personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, comprensivo dei Dirigenti a tempo determinato, in quanto ricoprono posti di funzione non propriamente riconducibili ad esigenze temporanee dell’amministrazione”.

Rispetto alla dirigenza si è verificata la riduzione del 22% dei tempi determinati del personale non dirigente. Sembra una buona notizia. Invece no, perché vi è una quota in continua ascesa nel 5 anni considerati di personale non dirigente “flessibile” attraverso la somministrazione annuale di lavoro interinale, tramite agenzie private di collocamento, pari a 24.659 nel solo 2014.

Restando al personale dirigente,uno sguardo sinottico restituisce due dati. In 5 anni si è verificata la riduzione di circa 7 mila dirigenti medici e sanitari, al netto di circa 8 mila assunti a tempo determinato. Siamo certi che a consuntivo 2015 questi numeri saranno peggiorati. Più precariato ed organici ridotti a fronte comunque di volumi prestazionali complessivi che vanno salvaguardati nell’interesse dei cittadini. Bene che la parte pubblica tenga a mente questi numeri.

Quanto ad un contratto prossimo con l’obiettivo principe della “motivazione del personale”, siamo in piena sintonia di visione, ma vorremmo ricordare che l’atto di indirizzo rimanda a scenari non proprio coerenti con tale presupposto. Ci riferiamo alla possibilità di deroghe rispetto alle condizioni contenute nella Direttiva 2003/88/CE del 4 novembre 2003, come ribadite dalla legge n. 161/2014, in vigore dal 25 novembre 2015. Ancora ci riferiamo alla espressa volontà di fare della direttiva della Conferenza Regionale, 4 novembre 2015, un punto di partenza irrinunciabile, sulla quale la nostra associazione già tanto ha scritto e fatto, mentre le Regioni sembrano andare in ordine sparso e con assordante silenzio in materia di programmazione del fabbisogno di dirigenti per rispettare le disposizioni comunitarie in materia di lavoro notturno, riposi e recupero festivo, nonostante l’ articolo 1, comma 542 della legge 28 dicembre 2015, n. 208.

Appare comunque come volontà di dialogo la previsione dell’Atto di indirizzo, secondo la quale si “potranno destinare, esclusivamente al personale direttamente e proficuamente coinvolto nei processi di ristrutturazione, miglioramento organizzativo e razionalizzazione, parte delle economie aggiuntive conseguite con risparmi sui costi per le risorse umane”. Diciamo che è un’idea buona soltanto se verranno inserite clausole di salvaguardia contrattuale che consentano verifiche idonee a limitare l’allargamento alla platea del personale non dirigente dei risparmi conseguiti dai dirigenti medici e sanitari,a consuntivo dei processi di ristrutturazione avvenuti. Diciamo ancora e rilanciamo che sarebbe una buona idee non limitarsi alle “economie aggiuntive conseguite con risparmi sui costi per le risorse umane”, ma si può fare di più sui costi dei beni e servizi e sulle esternalizzazioni, con economie da riversare in parte sulla motivazione del personale. Si vedrà al tavolo la scrittura delle regole nazionali su questo argomento, ma mettiamo sul banco tutte le economie, se veramente la parte pubblica ritiene che una stagione nuova vada aperta e che nessun processo di riforma della governance complessiva delle aziende è vincente senza coinvolgere la competenza ed il ruolo della dirigenza medica e sanitaria più in generale.

La sanità necessita di dirigenza applicata ai processi clinici e di dirigenza applicata alla gestione delle risorse e dei contesti organizzativi entro i quali le risorse professionali inducono i costi complessivi delle prestazioni, al netto degli “stipendi”. Se questo è vero non dovrebbero frapporsi ostacoli nel disegnare nuove “carriere professionali” in parallelo a quelle “gestionali”. A certe condizioni, quali:
1. Rivedere il pensiero unico secondo il quale razionalizzare accorpando gli Enti deve obbligatoriamente tradursi nella soppressione di unità operative, senza chiusura / riconversione dei presidi ospedalieri che non assicurano efficacia e sicurezza per pazienti ed operatori sanitari;

2. Stabilire criteri generali semplici, ma cogenti, circa un appropriato rapporto di governace tra UOC e SS, che possa tradursi nell’effettiva autonomia gestionale delle strutture semplici, in termini di budget, di personale assegnato e di incidenza sui processi valutativi di cui assume la titolarità il responsabile della SS medesima;

3. Attuare il principio fondante il Patto per la Salute per il quale tutti i risparmi generati dalla riduzione degli incarichi di struttura, ma anche del complessivo turn over (RIA) vanno finalizzati all’interno delle aziende per una riforma complessiva del sistema di conferimento e valutazione degli incarichi, secondo criteri di trasparenza, valorizzazione dell’esperienza, casistica trattata;

4. Attuare una periodicità valutativa costante, svincolata dalla durata degli incarichi, finalizzata alla certificazione di sviluppo professionale continuo, quale presupposto delle carriere, professionali e/o gestionali, comunque soggetta a riconoscimento economico, fisso e ricorrente;

5. Cogliere finalmente l’opportunità della unica Area contrattuale della dirigenza sanitaria per cominciare a scrivere le regole del gioco di un nuovo patto di collaborazione tra le diverse professioni, senza paura di ammettere che sullo stesso posto letto si giocano competenze professionali specifiche ed autonome. Certo, autonomia, ma questa non autorizza confusioni di ruolo e frammentazione degli interventi, potenzialmente dietro l’angolo nei contesti aziendali governati con la proliferazione di posizioni dirigenziali e di coordinamento nella gestione del personale sanitario che ruota intorno a quel posto letto, oppure intorno alla sala operatoria oppure intorno alla presa in carico del paziente fragile nei processi di integrazione socio sanitaria (cronicità e salute mentale).
 
Infine la partita economica. Al momento l’Atto di indirizzo si è presentato con lo 0,4% del monte salari, al netto della vacanza contrattuale, da spalmare sul triennio 2016-2018. Il Governo sembra intenzionato nella prossima legge di stabilità attesa per l’autunno a reperire ulteriori risorse.
La tabella 5) illustra la dinamica retributiva 2010–2014, tratta dal Conto economico della Ragioneria Generale dello Stato.

 
 
Considerata la perdita di massa salariale del 5%, pari a oltre 420 milioni di euro, al 31 dicembre 2014, il ristoro di quelle risorse sembra un accettabile punto di partenza, con la forchetta variabile e dipendente dalla verifica della stessa massa salariale al 31 dicembre 2015. Certo il rinnovo è sul triennio, ci sono tre finanziarie di mezzo e ci sono soluzioni intelligenti per governare il rinnovo contrattuale, a cominciare dalla modifica dell’impianto legislativo di spoliazione dei fondi e della RIA. La legge restituisca potere alla contrattazione, con atti di legge che lo prevedano. Ne guadagna un sistema di governance condiviso che resta, ne siamo convinti, la via maestra per puntare sulla motivazione del personale e ridare quello slancio al Servizio Sanitario Nazionale che i cittadini, prima ancora che gli operatori, aspettano da troppo tempo.
 
Gianfranco Rivellini
Consigliere Nazionale Anaao Assomed


03 agosto 2016
© Riproduzione riservata

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