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Assenze per malattia. Fino a che punto è lecito “spiare” il lavoratore?

di Giuliana Tasca

Sulla questione è intervenuta recentemente la Corte di Cassazione chiamati ad esprimersi sulla liceità o meno dell'investigazione,  attraverso apposite agenzie,  sulle condotte dei lavoratori assenti per malattia. Una prassi che sarebbe auspicabile solo come extrema ratio rispetto ai mezzi ordinari di verifica,  calibrati sul piano medico e rispettosi delle  esigenze umane e personali del paziente

15 SET - Con la sentenza della Corte di Cassazione n. 17113 del 16 agosto 2016 i Giudici di Legittimità sono tornati sulla delicata questione in ordine alla liceità dell'investigazione,  attraverso apposite agenzie,  sulle condotte dei lavoratori assenti per malattia.
 
Secondo gli ultimi (peraltro già prevalenti) orientamenti giurisprudenziali, “pedinare” il dipendente è possibile e, se la malattia è simulata, il licenziamento è giudicato legittimo. I datori di lavoro possono contestare i certificati sanitari basandosi su elementi di fatto e, qualora da detti elementi emerga che la patologia risulta inesistente, i certificati medesimi sono destinati a perdere valore.
 
Nel caso di specie, la “simulazione fraudolenta dello stato di malattia” era testimoniata dal compimento da parte del lavoratore di numerose azioni e movimenti incompatibili con la dichiarata lombalgia.
 
Occorre premettere che il metodo investigativo in esame, ovvero il “controllo occulto difensivo” (il quale, comunque, deve essere sorretto da un “ragionevole sospetto” in ordine all'irregolarità del comportamento) è indubbiamente efficace e funzionale in caso di inosservanza del corretto utilizzo dei permessi ex art. 33, l. 104/92, se indispensabile per l’accertamento dell’illecito e privo di alternative  (Cass., 4 marzo 2014, n. 4984), o nei casi di licenziamento per giusta causa da parte del datore di lavoro in relazione allo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente in costanza di malattia (Cass., sent. n. 586 del 15.01.2016).
 
Ciò chiarito, vale tuttavia la pena soffermarsi sui casi di “simulazione fraudolenta dello stato di malattia”.
 
Innanzi tutto, una prima riflessione va fatta sul movente alla base di una scelta alternativa rispetto all'ordinamento che regola il controllo, tramite ordinarie visite fiscali, del paziente in stato di inabilità temporanea ed assoluta al lavoro.
 
E' evidente che l'operato dei medici di controllo non difetta di completezza in tal senso, non limitandosi al solo riscontro della presenza del paziente al domicilio nelle fasce orarie prescritte, né alla conferma automatica della prognosi del curante, ma conclude il suo compito con un parere terzo ed indipendente, avvalendosi degli strumenti previsti dalla legge a questo scopo, come la valutazione sull'idoneità al lavoro a fine prognosi o la riduzione della stessa.
 
Vero è che la convenienza economica di un licenziamento per giusta causa, in un'ottica strettamente aziendale, tende a prevalere sui benefici di risparmio erariale, quali la penalizzazione di dieci giorni in termini monetari per assenza ingiustificata o il rientro anticipato.
 
Questa stessa convenienza aziendale è quella che incentiva, saltuariamente,  i datori di lavoro ad avvalersi di un mezzo indubbiamente oneroso, come l'investigazione privata sulla condotta extra-lavorativa dei dipendenti.
 
Ciò nonostante, la valutazione delle discrepanze o incongruità tra le condotte dell'assicurato e la diagnosi certificata non può prescindere da considerazioni medico-legali, come si rinviene costantemente dall'accuratezza nelle motivazioni delle sentenze, dall'eterogeneità, talora, delle conclusioni dei vari gradi di giudizio, dai loro relativi esiti.
 
Particolare attenzione da parte della  Suprema Corte è incentrata sul numero e qualità delle azioni incompatibili con la diagnosi certificata, il modus operandi dell'investigazione, il tipo di patologia fisica e/o psichica, la condotta tenuta dal lavoratore prima e dopo la malattia (è visto in modo decisamente favorevole al lavoratore il fatto che essa sia improntata a collaborazione e buona fede, e che sia priva di intenti elusivi. In tal senso: Cass., n. 21621 del 21.10.2010).
 
Nondimeno, sono da reputarsi parimenti importanti anche determinate accortezze, essenzialmente di natura medico-legale, come la valutazione dell'iter dell'episodio acuto indagato, del percorso di giovamento farmacologico e riabilitativo prima della restitutio ad integrum, l'adesione al principio di idoneità specifica alla mansione e, conseguentemente, la valutazione del periodo intercorso dall'evento acuto alla guarigione nonché l'intervento, in detto lasso di tempo, del dossier fotografico.
 
Tutti parametri, questi ultimi, di cui non si trova menzione nella giurisprudenza citata, ma dai quali non si può prescindere ai fini di un'indagine il più possibile rigorosa sull'attitudine lavorativa del paziente.
 
Perciò si ritiene lecito porre, in conclusione di queste riflessioni, alcune preoccupazioni sull'idoneità di un simile strumento rispetto ad un'esigenza effettiva di tutela, sia per quel che riguarda le garanzie lavorative, data la sua palese invasività, sia per quel che concerne l'efficacia della funzione del medico fiscale, la cui professionalità può essere frustrata da una “scorciatoia” che rischia di slegarsi da un'approfondita indagine di natura medica.
 
E’ auspicabile che una prassi come quella del “controllo difensivo occulto”, dalle particolari caratteristiche sopra esaminate, sia concepito come extrema ratio rispetto ai mezzi ordinari di verifica,  calibrati sul piano medico e rispettosi delle  esigenze umane e personali del paziente.
 
Giuliana Tasca
Medico fiscale INPS

15 settembre 2016
© Riproduzione riservata

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