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Personale Ssn: il 10% è precario. Ma la sanità ha il record di donne ai vertici. Il censimento Istat


Primo censimento della Pa dell'Istat: nel Ssn dipendenti in calo e aumenta il tempo determinato. Tra tempo determinato (30.600 unità) e lavori atipici (oltre 37mila) la sanità conta su un vero e proprio "esercito" di precari. Ma, se può consolare, abbiamo il secondo posto (al primo gli organi costituzionali) per le donne in posti di comando ai vertici di aziende e strutture sanitarie, che sono tinte di rosa nel 16,3% dei casi. IL CENSIMENTO ISTAT.

14 GIU - I precari nella Pubblica amministrazione sono 467.362, tra i 293.804 dipendenti a tempo determinato e i 173.558 “non assunti”, quelli cioè con un lavoro atipico.
 
Di questi, 67.931 sono nel Servizio sanitario nazionale, 30.621 a tempo determinato e 37.310 “non assunti”, circa il 10% cioè di tutta la forza lavoro della sanità pubblica.
 
Il dato è dell’Istat, che ha reso noti i primi risultati del censimento permanente delle istituzioni pubbliche. La prima edizione del censimento ha rilevato informazioni statistiche su circa 13 mila istituzioni, attive al 31 dicembre 2015, oltre 100 mila unità locali e oltre 3 milioni di dipendenti, integrando tra loro due diverse infrastrutture di dati: il registro statistico delle istituzioni pubbliche, una indagine statistica diretta sulle istituzioni pubbliche, a cadenza biennale, che ha acquisito informazioni utili all'analisi del grado di modernizzazione della PA, dell'utilizzo di capitale umano, della struttura organizzativa e di governance, delle modalità di funzionamento e di erogazione dei servizi e di ulteriori temi di grande rilevanza per i decisori pubblici, gli operatori economici, i cittadini, il mondo della ricerca.
 
Il censimento dà il personale dipendendete del Ssn in calo tra il 2001 e il 2015 del -2,3%, ma “collaboratori e altri atipici” (31.160) sono in aumento nello stesso arco temporale del 52,5%, “temporanei” (5.094) del 20,7% e solo i “volontari” (13.079) sono in calo maggiore: -16,4 per cento.
 

 

Il censimento Istat illustra poi altri valori relativi alla Pa. Ad esempio la presenza maggioritaria di occupati di genere femminile nelle istituzioni pubbliche, con un valore del 56,0% del personale in servizio. La più elevata presenza relativa di donne si registra negli enti del Servizio sanitario nazionale con il 65,1%, il valore più basso nelle giunte e consigli regionali (46,9%). Analizzando le tipologie contrattuali, si riscontra una quota maggiore di tempi determinati tra le donne (9,9%) rispetto agli uomini (6,6%).
 
A livello territoriale, il personale in servizio  nella Pa è concentrato per il 35,3% in Unità locali del Mezzogiorno (il 22,6% nelle regioni del Sud e il 12,7% nelle Isole), il 22,6% nel Nord-Ovest, il 22,3% nel Centro e il 19,7% nel Nord-Est.
 
Se la presenza di donne è nettamente maggiore nelle Regioni del Nord, per i tempi determinati non si evidenzia una caratterizzazione territoriale circa il loro utilizzo. I valori più elevati si hanno nella provincia di Bolzano e nella regione Sicilia. Per l’utilizzo di non dipendenti, a eccezione di valori elevati in Molise e Sicilia, la loro maggiore presenza nelle regioni del Nord.
 
Una ulteriore analisi l’Istat la compie sul genere degli organi di vertice delle istituzioni pubbliche, quelli cioè al quale è affidata la titolarità della legale rappresentanza.
Un aspetto che emerge è la limitata presenza femminile, che raggiunge il 14,4% in media negli organi di vertice delle istituzioni. Guardando la forma giuridica, il valore più basso si ritrova nelle Università (7,2% di vertici femminili) e il più alto negli Organi costituzionali (21,2%). Ma in questo caso il Ssn si comporta bene e guadagna il secondo posto in classifica con il 16,3% degli organi di vertice al femminile.  
 
L’analisi per Regione, commenta l’Istat, influenzata dai vertici dei comuni, evidenzia significative differenziazioni, con il valore più basso per la Sicilia (7,2%) e quello più alto per l’Emilia-Romagna (21,2%).
 

 
Un capitolo tutto nuovo nel censimento Istat è quello dedicato all'"esternalizzazione dei servizi. E un record il Ssn ce l’avrebbe in quelli che l’Istat definisce “servizi finali”, connessi cioè alle finalità istituzionali di ciascuna istituzione. 
A livello di Pubblica amministrazione in generale il 57,5% delle istituzioni censite eroga i servizi finali direttamente, il 28,9% indirettamente e il 13,6% in modo misto. In oltre il 90% delle istituzioni pubbliche il servizio della produzione di atti amministrativi è erogato direttamente. Valori elevati si hanno anche per le istituzioni che erogano direttamente le funzioni di amministrazione, gestione e controllo (90%) e la vigilanza su soggetti pubblici e privati (circa l’80%).
 
Quelli che più di altri risultano “esternalizzati” nel censimento Istat sono proprio i servizi di assistenza sanitaria: nell’80,4% delle istituzioni pubbliche censite (la media è del 28,9%), seguito con il 50,8% dai servizi di istruzione pubblica e ricerca.
E come se l’esternalizzazione galoppante non bastasse, c’è anche un 4,2% di servizi a gestione mista (la media Pa è del 13,6%), mentre solo il 15,4% è a gestione diretta (la media è 57,5%).


 
Ma - come chiarito da una nostra conversazione con lo stesso Istat - in realtà il censimento ha chiesto a tutte le circa 13mila istituzioni pubbliche il dato sull'esternalizzazione dei servizi, che, nel caso di quelli sanitari, sono necessariamente affidati "al di fuori" della gran parte delle strutture della Pa, tutti o quasi alle aziende ed Enti del Servizio sanitario nazionale, appunto, che hanno natura giuridica propria. 
 
L’Istat spiega a chi vanno gli “affidamenti” esterni e quelli sanitari sono per il 68% ad altre istituzioni pubbliche, per il 2,7% a imprese della Pa, per il 16% a imprese non controllate, per l’1,5% al non profit controllato/partecipato dalla Pa e per l’11,8% al non profit non controllato.
 
In quel 68% quindi, reintrano così tutti i servizi sanitari che istituzioni pubbliche non facenti parte del Ssn hanno affidato, appunto, al Ssn. Oltre ad alcune situazioni (poche) legate alla programmazione sanitaria che spesso per non duplicare attrezzature e servizi opera lo scambio tra strutture (ad esempio un ospedale può inviare a un laboratorio centralizzato di Asl l'esecuzione di determinate indagini, oppure può accadere che una struttura gestisca una serie di specilità e un'altra limistrofa altre e così via).
 
Il 68% dei servizi sanitari, quindi, non è affidato "dal Ssn" all'esterno delle sue strutture, ma dal 68% delle pubbliche amministrazioni a un'altra pubblica amministrazione: il Ssn appunto. 
 
Gli affidamenti di ciò che invece è realmente esternalizzato (il 12,4% quindi) avvengono nella sanità soprattutto con gare a evidenza pubblica (65,9%, la media è del 51%), seguite dalle convenzioni Consip (14,4%, la media è del 13,8%) ) dall’affidamento diretto anche a società in house (13,2%, la media è del 29,6%) e dalle concessioni (6,5%, la media è del 5,6%).
 

14 giugno 2017
© Riproduzione riservata

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