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Cassazione. Annullata condanna a due ostetriche: quell’aborto non è detto che si sarebbe potuto evitare anche in presenza del medico


Annullata (e rinviata in Appello) la sentenza di condanna di due ostetriche ritenute dai giudici di primo e secondo grado responsabili per l’interruzione di gravidanza di una donna. Le ostetriche avevano eseguito i tracciati cardiotocografici e, vista la gravità dei risultati, hanno avvisato telefonicamente il medico che seguiva privatamente la paziente. Per i giudici del merito, le due dottoresse avrebbero dovuto chiedere e pretendere l’intervento del medico di guardia in servizio nella clinica, mentre la Corte di Cassazione  ha dato parzialmente ragione alle due imputate e ha stabilito le condizioni perché vi sia una responsabilità penale dell’ostetrica per l’aborto. LA SENTENZA.

18 SET - Ancora una volta il nesso causale gioco un ruolo determinante nella responsabilità professionale sanitaria.

Questa volta - dopo la sentenza con cui i giudici hanno assolto una infermiera  per un danno subentrato a un paziente (shock emorragico post-operatorio) che non aveva allertato il medico perché non si può dimostrare che la struttura sarebbe potuta intervenire – la Cassazione penale ha annullato la condanna di due ostetriche ritenute dai giudici di primo e secondo grado responsabili per l’interruzione di gravidanza di una donna. La paziente si era presentata in preda a forti dolori nella clinica privata dove le due ostetriche imputate prestavano servizio.

Le ostetriche avevano eseguito i tracciati cardiotocografici e, vista la gravità dei risultati, hanno avvisato telefonicamente il medico che seguiva privatamente la paziente.

Per i giudici del merito, le due dottoresse avrebbero dovuto chiedere e pretendere l’intervento del medico di guardia in servizio nella clinica. Mentre la Corte di Cassazione con la sentenza n. 39771/2017 depositata il 31 agosto, ha dato parzialmente ragione alle due imputate e ha stabilito le condizioni perché vi sia una responsabilità penale dell’ostetrica per l’aborto.

Secondo i giudici della Cassazione dalle consulenze tecniche non emergeva con certezza che l’intervento del medico di guardia avrebbe evitato l’aborto della paziente e quindi non c’era: “l’umana razionale certezza dell’effetto salvifico” del medico. Tanto più alla luce dell’affermazione delle dottoresse di essersi trovate dinanzi ad una “condizione patologica estremamente grave e difficilmente governabile”.

“Manca in breve – si legge nella sentenza - la prova del nesso causale, non essendosi in grado di affermare che, in relazione la caso concreto, un pronto interessamento - ad opera delle ricorrenti - del medico in grado di adottare ogni utile decisione medica o chirurgica avrebbe impedito la morte intrauterina del feto e dunque l’aborto. La indagine del nesso causale, peraltro, con riferimento alla specifica fattispecie in esame riguardante personale infermieristico, presenta connotati peculiari, dovendosi evidenziare che non rientrava nella competenza delle ostetriche effettuare direttamente la scelta del parto prematuro ma solo quella di porre lo specialista medico- chirurgo nella condizione di effettuare la propria opzione, alla luce del fatto che la gravidanza non era giunta a termine. Il giudice del rinvio rinnoverà la propria disamina attenendosi ai menzionati principi di diritto”.

Il giudice di merito è chiamato quindi a rivalutare i fatti tenendo conto di ciò e senza dimenticare che, con riferimento al personale infermieristico, l'indagine sul nesso di causalità presenta delle peculiarità, evidenti se si considera che, nel caso di specie, le ostetriche non hanno la competenza di scegliere direttamente il parto prematuro ma devono solo porre il medico specialista nella condizione di effettuare la propria opzione.

18 settembre 2017
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