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Liste d’attesa. Lo dice anche il Tar Lazio che la soluzione deve essere sistemica e non improvvisata

di Antonio Magi

Il problema ha origine in diversi fattori come l’invecchiamento della popolazione e dunque la maggiore incidenza delle malattie croniche, che non può essere risolta con soluzioni improvvisate. Una delle soluzioni, lo affermano anche i giudici amministrativi, per l’assunzione di nuovi specialisti e utilizzando in modo corretto le ore già deliberate presenti nel bilancio regionale che la Convenzione riconosce alla Specialistica e non utilizzate  (oltre 1200 ore settimanali).

02 GIU - La recente sentenza del Tar del Lazio che si è pronunciato sulla richiesta di annullamento previa sospensione, avanzata dal Sumai, del Decreto n. U00239 del 28 giugno 2017 emesso dal Presidente della Regione Lazio n.q. di Commissario ad Acta, meglio noto come“Tempario regionale di riferimento delle prestazioni specialistiche ambulatoriali individuate come critiche”, dice chiaramente che le liste d’attesa si può pensare di abbatterle soltanto attraverso “un (tanto auspicato) aumento delle risorse umane e strumentali da adibire ad un così delicato settore quale quello della pubblica sanità” e non invece, come ha creduto di fare la Regione Lazio “con una riduzione, de facto, del tempo da dedicare ai singoli esami ed alle singole visite (e con conseguente aumento del carico di lavoro per il personale medico attualmente in forza)” e, aggiungo io, con riduzione del tempo dedicato alla comunicazione con il Paziente e al tempo di cura. 
 
Già perché l’annoso problema delle liste di attesa ha origine in diversi fattori come l’invecchiamento della popolazione e dunque la maggiore incidenza delle malattie croniche, che non può essere risolta con soluzioni improvvisate come ha tentato di fare il commissario ad acta del Lazio, Nicola Zingaretti.
 
No, la soluzione, o almeno una delle soluzioni, lo affermano anche i giudici amministrativi, deve essere di tipo sistemico passando quindi per l’assunzione di nuovi specialisti che sostituiscano i colleghi più anziani andati in pensione e inoltre utilizzando in modo corretto le ore già deliberate presenti nel bilancio regionale che la Convenzione riconosce alla Specialistica e non utilizzate (oltre 1200 ore settimanali).
 
Si possono poi ipotizzare altre soluzioni, di tipo organizzativo-strutturale, ma è necessario ripensare nel complesso a tutto il Sistema salute che deve trovare nel “famoso territorio” lo snodo alla soluzione del problema, lasciando all’ospedale l’emergenza e l’acuzie, lasciando al territorio tutto quello che è strettamente legato alla cronicitàche non necessita di ricovero.
 
Già, perché è sul territorio che il cronico vive e lavora ed è sul territorio dunque che è necessario trovare le risposte diagnostico terapeutiche. C’è dunque bisogno di un modello assistenziale-diagnostico di presa in carico delle persone con patologie croniche nell’ambito delle cure primarie, basato sulle esigenze del paziente il quale “entra” in un’equipe multidisciplinare ed esce dalle liste d’attesa, che quindi si snelliscono, per seguire un suo percorso stabilito da professionisti del territorio.

È evidente che per fare ciò è necessaria la cooperazione tra le figure (specialisti ambulatoriali, medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, personale sanitario) e le strutture coinvolte (distretti e aziende ospedaliere), non si può pensare di lavorare a compartimenti stagni.
Solo così avremo il superamento della frammentarietà delle cure con ricadute positive in termini di appropriatezza e prevenzione.
 
Risposte d’insieme, sistemiche e strutturali a problemi atavici che stanno minando i principi stessi su cui si fonda il Ssn in alternativa a soluzioni improvvisate, calate dall’alto e miopi, che rimandano i problemi senza risolverli.
 
Certo non è facile mettere in cantiere riforme che prevedono cambi di mentalità, investimentieconomici e professionali. Tanto più in questi tempi in cui la politica pare abbia abdicato al suo ruolo di guida della società preferendo assumere come propria cifra l’incompetenza, l’incapacità e l’improvvisazione. Ma non possiamo arrenderci, il nostro ruolo ce lo impone.

Abbiamo scelto di essere medici e dunque di prenderci cura delle persone e questo oggi significa non solo analisi, diagnostica e terapia come ben sapete ma anche assumersi responsabilità ipotizzando soluzioni che possano aiutare chi, non per sua scelta, entra nel nostro studio e si rivolge a noi pieno di speranza e fiducia. Non tradiamo quella fiducia.
 
Antonio Magi
Segretario generale SUMAI Assoprof 

02 giugno 2018
© Riproduzione riservata

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