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Infezioni ospedaliere. In Italia 450/700 mila casi all’anno. Ci costano più di 1 miliardo


Nell’1% dei casi conducono al decesso del paziente. Con un prolungamento della degenza pari al 7,5-10% delle giornate di ricovero. Attenzione anche all’antibioticoresistenza. I due temi al centro di una settimana di incontri promossi da Sifo e Simit.

26 NOV - Le infezioni nosocomiali costituiscono un fenomeno ormai epidemico che riguarda ogni anno da 400 a 700mila pazienti, nell’1% dei casi con esito mortale. L’impatto economico delle infezioni ospedaliere sul Sistema sanitario nazionale è superiore a un miliardo di euro l’anno, con un prolungamento della degenza pari al 7,5-10% delle giornate di ricovero.
Questi i dati presentati in occasione della settimana di convegni e corsi promossi dalla Simit (Società italiana di malattie infettive e tropicali) e dalla Sifo (Società italiana di farmacia ospedalieri), che fino alla serata di ieri ha visto protagonisti gli specialisti intensivisti, infettivologi e farmacisti ospedalieri per discutere su come gestire al meglio tutti gli aspetti della problematica, dal lavaggio delle mani all’antibioticoresistenza.

Ad aprire la settimana è stato un evento promosso nell'ambito di Inside, il progetto di incontri e seminari rivolto agli specialisti e dedicati al tema delle infezioni batteriche e fungine nelle unità di terapia intensiva. Il progetto, che toccherà per ora le città di Udine, Torino, Milano, Napoli, Roma, Palermo e Firenze, mira a fornire sempre più strumenti per contrastare il fenomeno. “Negli Stati Uniti ogni anno si contano 1,7 milioni di casi di infezione nosocomiale e il 15% di questi danno origine a gravi forme di polmoniti. Il dato importante è che il 30% di tutti questi casi potrebbe essere evitato mettendo in atto protocolli di prevenzione consolidati, tra cui il semplice ma importante lavaggio delle mani, sia per i sanitari che per i pazienti e i visitatori”, spiega Massimo Antonelli, responsabile di Struttura Complessa di Rianimazione e Terapia Intensiva presso il Policlinico Gemelli di Roma.

Ma il rischio di contrarre una nuova patologia entrando in ospedale aumenta con il fenomeno dell’antibioticoresistenza, che ha luogo nel momento in cui, a seguito di terapie antibiotiche errate o mal gestite, si induce nel batterio la capacità di difendersi e sopravvivere al farmaco stesso che dovrebbe debellarlo. Il 16% delle infezioni nosocomiali è causata da batteri ‘resistenti’, il che rende più complesso il trattamento e la guarigione.

“Si tratta di un’emergenza globale”, spiega Nicola Petrosillo, direttore dell’Uo Infezioni Sistemiche e dell’Immunodepresso presso l’istituto L. Spallanzani di Roma. “Abbiamo utilizzato gli antibiotici in maniera indiscriminata e superficiale e come risultato abbiamo dei batteri che ormai sono immuni al loro utilizzo. Un problema che nasce da diverse cause: a domicilio, se per un’infezione virale viene somministrato un antibiotico ad ampio spettro; nelle residenze sanitarie per anziani, dove gli antibiotici sono usati in soggetti con patologie croniche; e infine negli stessi ospedali, dove è più facile che un batterio patogeno circoli e si diffonda”.

“Il fatto che i batteri siano diventati resistenti fa sì che abbiamo meno farmaci per combatterli, anche perché negli ultimi anni sono state sviluppate poche molecole per fronteggiare l’emergenza (solo due nuove classi di antibiotici negli ultimi trent’anni rispetto a undici nuove classi nei precedenti cinquanta)”, spiega Eugenio Ciacco, responsabile Area nazionale Sifo Malattie Infettive. “Per questo è utile che infettivologi e farmacisti mettano a punto una politica che sia razionale e ottimizzata e che tenga presente anche il rapporto costo-beneficio delle terapie: si è sempre più pressati dai budget, ma è evidente come l’efficienza di un farmaco risulti primaria rispetto al costo anche di un solo eventuale giorno di degenza”.

Il problema delle infezioni nosocomiali si snoda tra due poli: quello della prevenzione e quello del trattamento. Nel mezzo, intervengono centinaia di fattori per cui è possibile contrarre un’infezione: reparti più a rischio, batteri più aggressivi e pazienti più fragili. “In questo complesso sistema – sottolineano però gli esperti in conclusione – sono molte le cose da fare: ridurre in primis i serbatoi di batteri nelle strutture ospedaliere; migliorare, inoltre, la diagnostica che consente di identificare i batteri stessi; e infine sviluppare nuovi farmaci e imparare a gestire al meglio quelli disponibili”.

 

26 novembre 2011
© Riproduzione riservata

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