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“La nostra linea non cambia: difesa del servizio pubblico, no al privato. Condividiamo molte idee sulla sanità del contratto di governo, ma la flat tax ci preoccupa. E per i medici sì alla ‘doppia’ carriera”. Intervista al nuovo segretario dell’Anaao Carlo Palermo

di Ester Maragò

Dopo otto anni Costantino Troise passa il testimone (ma diventa Presidente). Ecco i progetti del neo segretario in questa prima intervista esclusiva. "I condizionamenti economici sulla sanità sono stati fortissimi. Il ministro Grillo quando parla di investimenti nel Ssn avrà tutto il nostro appoggio". "Dobbiamo costruire un modello di carriera duplice, un prevalentemente professionale e una prevalentemente gestionale, con un’evoluzione economica intercambiabile e comparabile. Questo perché con le attuali limitazioni al numero di “primariati” e di strutture semplici rischiamo di avere circa 90mila professionisti senza prospettive"

30 GIU - Si rinnovano i vertici dell’Anaao Assomed, Carlo Palermo, già vice segretario vicario del sindacato della dirigenza medica e sanitaria, raccoglie l’eredità di Costantino Troise (che è statao invece eletto Presidente) e guiderà l’Associazione per il prossimo quadriennio.
 
Un cambio della guardia ai vertici dell’Associazione, assicura il neo segretario, che non modificherà la linea e la strategia politico-sindacale che ha visto da sempre l’Anaao Assomed impegnata sul fronte della difesa del Servizio sanitario pubblico e dei diritti dei medici e dirigenti della dipendenza con una “condivisone solida e larga”. Soprattutto in questi anni caratterizzati dall’assenza di politiche contrattuali.
 
66 anni, calabrese di origine, ma Toscano di adozione, Carlo Palermo, è Direttore del Dipartimento di Medicina Interna e Specialistica della USL Toscana Sud-Est.
 
Il neo segretario promuove molti aspetti delle politiche sanitarie contenute nel programma politico nuovo Governo: “Sono positivi, almeno sulla carta” sottolinea.
 
Mostra invece perplessità su alcune proposte programmatiche più generali, come quella della flat tax, che potrebbero avere paradossalmente ripercussioni negative sul sistema di welfare, determinando una deriva verso la sanità privata, gestita da fondi sostitutivi e assicurazioni, alla quale potranno accedere solo le classi sociali che potranno premetterselo anche grazie ai vantaggi che deriveranno dal nuovo sistema di tassazione.
 
 
Dottor Palermo, la sua nomina arriva in una fase cruciale per il mondo medico. C’è un nuovo Governo, un rinnovo contrattuale da portare a casa. Insomma si apre una nuova stagione tutta ancora da scrivere. Quali sono i grandi temi in agenda?
Il primo è quello della difesa del Ssn, che fa parte degli elementi costitutivi e della genetica di questa associazione. Aggiungerei quello del rinnovo contrattuale, che chiaramente ci interessa direttamente come categoria ma rappresenta nel contempo uno straordinario strumento di governo della struttura deputata 40 anni fa alla difesa del diritto alla salute dei cittadini. Un Servizio sanitario che vediamo oggi aggredito da più parti. Pensiamo soltanto a tutta la problematica sollevata, strumentalmente, sulla sua sostenibilità economica. Se guardiamo i numeri anche economici, l’Italia, tra i paesi del G7, è quella che spende di meno in sanità e la nostra spesa pro capite è più bassa di quella media dei paesi Ocse. Ci confrontiamo con Paesi che hanno livelli di spesa che noi potremo raggiungere verosimilmente solo tra 20 anni.
Mi sono divertito a trasferire la spesa pro capite degli altri Stati, normalizzata per potere di acquisto, all’Italia, quindi ai suoi 60,5 mln di abitanti. Se noi spendiamo per la sanità tra finanziamento pubblico e privato circa 150 miliardi annui, gli Usa ne spenderebbero 437, la Germania 245, la Francia 207, la Svizzera 350 e l’Austria 231. La nazione più vicina a noi, ossia l’Inghilterra, spenderebbe 185 miliardi. Questi valori danno il segno della differenza di spesa e di sostenibilità tra noi e il resto dei paesi occidentali. Si può affermare che in Italia siamo ad una sorta di secondo miracolo economico. Se osserviamo i dati Ocse sulle patologie più importanti come l’infarto del miocardio o l’ictus, le nostre performance sono tra le migliori in termini di sopravvivenza. Abbiamo una spesa contenuta con esiti molto buoni, soprattutto nelle Regioni del centro-nord.
 
Quindi cosa non vi convince?
Non ci convince la proposta di un secondo pilastro costituito da fondi che spesso integrativi non sono, visto che coprono anche prestazioni Lea. Il problema è che questi fondi godono di un vantaggio fiscale importante, per cui si creerebbe un secondo pilastro che utilizza soldi di tutti con una decontribuzione di circa 3.600 euro pro capite l’anno. Questo incrementa le diseguaglianze. Alla fine il rischio è quello di una sanità duale, una ricca per i ricchi e una povera per i poveri. Un tipo di sanità che apre le porte a scelte consumistiche, soggettive e spesso di scarso valore clinico con pericolosi fenomeni di sovra-diagnosi.
 
Quali sono le soluzioni?
In primis, incrementare i fondi a disposizione del Ssn che, come mostrano i numeri, sono palesemente insufficienti ad affrontare le sfide della transizione demografica ed epidemiologica che ci attende. Dopo di che bisogna innescare meccanismi per un corretto utilizzo delle risorse con una progettualità a lungo termine che richiede investimenti in formazione, miglioramento dell’appropriatezza clinica e organizzativa, lotta agli sprechi e alla corruzione.
 
Il ministro Grillo ha assicurato che la sanità non sarà commissariata dal Ministero dell’Economia e che si impegnerà per aumentare il Fondo Sanitario nazionale...
Non possiamo che accogliere favorevolmente questo proposito. I condizionamenti economici sulla sanità in questi anni sono stati fortissimi. Del resto lo stato di criticità in cui versa il sistema dipende proprio dal suo sistematico definanziamento. La sanità è diventata in questi anni il bancomat del Governo, la fonte economica principale per ridurre gli squilibri del bilancio nazionale. Quindi è chiaro che il ministro avrà tutto il nostro appoggio su questo punto. Il mondo medico e sanitario, soprattutto negli ospedali, vive una condizione di estremo disagio causata proprio dalla contrazione delle disponibilità economiche. Il blocco del turn over è stato pesantissimo e ha colpito non solo le Regioni in piano di rientro. Dal 2009 al 2016, dati del bilancio annuale dello Stato, abbiamo avuto una perdita di circa 9mila tra medici dirigenti sanitari e veterinari nel Ssn. E le problematiche delle liste di attesa sono legate a questo fenomeno. Che si traduce poi in una contrazione dell’offerta di prestazioni sanitarie, quindi in allungamento dei tempi per le visite specialistiche, per la diagnostica strumentale e per tutti quegli interventi di chirurgia a bassa e media complessità che incidono sulla sensazione dei cittadini di non avere un diritto alla salute realmente esigibile. Insomma, ci vogliono investimenti, soprattutto in personale. Non è certo la libera professione intramoenia ad essere l’elemento scatenate delle attese.
 
Cosa fare per uscire dalle secche della carenza di personale?
Modificare la norma anacronistica che blocca la spesa del personale a quella relativa al 2004 diminuita dell’1,4 %. Sono passati oramai molti anni dall’imposizione di questo tetto per frenare la spesa sanitaria. È impensabile che si possa rimanere fermi a quell’epoca anche perché non abbiamo più il deficit di allora. Ora bisogna solo aprire una nuova stagione per l’assunzione del personale sanitario. Anche perché, come abbiamo più volte annunciato, dal 2018 in avanti e per almeno un decennio, assisteremo ad un esodo massiccio di professionisti visto che circa 6-7mila medici ogni anno raggiungeranno la soglia pensionistica. Se a questo sommiamo il disagio lavorativo che in moltissime realtà è diventato insopportabile e gli effetti della eventuale revisione della legge Fornero potremmo assistere ad una accelerazione del fenomeno. Facendo un calcolo prudenziale potrebbero uscire dal Ssn circa 40 mila tra medici e dirigenti sanitari nei prossimi 5 anni. Dobbiamo pertanto attrezzarci incominciando a rimpolpare da subito le dotazioni organiche.
 
Cosa vi aspettate perciò dal nuovo Esecutivo?
Abbiamo letto con attenzione il programma politico del nuovo Governo e devo dire che contiene molti aspetti positivi. Almeno sulla carta, alcune criticità sollevate anche da noi, vengono prese in considerazione. Penso al finanziamento del Fsn da incrementare, alle problematiche legate alla applicazione delle direttive europee sull’orario di lavoro e sui riposi, alla formazione post laurea. Ci lasciano perplessi invece alcune proposte programmatiche più generali, come quella della flat tax, che potrebbero avere paradossalmente ripercussioni negative sul sistema di welfare, determinando una deriva verso la sanità privata, gestita da fondi sostitutivi e assicurazioni, alla quale potranno accedere solo le classi sociali con maggiori disponibilità economiche anche grazie ai vantaggi che deriveranno dal nuovo sistema di tassazione.
 
Nell’immediato cosa pensate di fare?
Sicuramente chiedere un incontro con il ministro e le Commissioni Sanità di Camera e Senato, per manifestare il nostro pensiero ed entrare nel merito delle questioni. Non siamo portatori solo di legittimi interessi di categoria, possiamo dare un contributo di conoscenza e competenza sul terreno fondamentale della difesa dei diritti sociali dei cittadini. Il diritto alla salute è uno di questi.
 
C’è poi il nodo del rinnovo contrattuale...
Otto anni di fermo biologico sulle relazioni sindacali fanno male. Non avere un’interlocuzione contrattuale con le Aziende fa perdere la capacità di gestire sistemi e condizioni organizzative complesse. In mancanza di confronto emergono senza governo criticità come quelle del disagio medico e del diritto di accesso alle cure dei cittadini. Dobbiamo risolvere problematiche che hanno anche una rilevanza politica non solo economica. Da un lato c’è la necessità di valorizzare economicamente l’esclusività di rapporto con il Ssn facendo rientrare l’indennità, ferma al momento della sua istituzione avvenuta nel 2000, nella massa salariale, e dall’altro bisogna difendere e accentuare il carattere speciale della dirigenza medica e sanitaria che non può essere appiattita su aspetti amministrativo-burocratici.
Mi spiego, noi abbiamo un duplice ruolo: siamo interpreti e mediatori delle esigenze dei cittadini ma anche gestori delle risorse dell’azienda, infine siamo chiamati a rispondere ad obblighi etici e deontologici. Un ruolo delicato che non può essere collocato e appiattito in una cornice burocratica amministrativa. Abbiamo la necessità di rinforzare il nostro ruolo cambiando quindi anche alcuni aspetti della legge 229/99. E il contratto deve avere contenuti che vadano in questo senso.
 
Quali sono quindi gli aspetti prioritari?
Dobbiamo costruire un modello di carriera che dia prospettiva di crescita ai professionisti perché con l’attuale modello normativo e organizzativo che impone tetti, limitando il numero di “primariati” e di strutture semplici rischiamo di avere un corpo di circa 90mila professionisti senza prospettive. Dobbiamo costruire una carriera prevalentemente professionale e una prevalentemente gestionale che abbiamo un’evoluzione economica intercambiabile e comparabile. Dobbiamo dare un orizzonte di crescita e di possibilità sia in ambito professionale sia in quello gestionale a tutta la Dirigenza sanitaria, applicabile in tutto il territorio nazionale. Per fare questo è necessario utilizzare tutte le risorse a disposizione, non ultima la cosiddetta Retribuzione Individuale di Anzianità. Solo così possiamo dare ai professionisti una prospettiva di carriera e saldarne l’adesione al Ssn e all’Azienda.
 
Una delle maggiori criticità per la categoria è quella del disagio derivante anche dalle condizioni organizzative. Qual è la situazione?
Oramai nelle aziende il disagio è allo stato solido e si taglia a fette. È legato al deficit di organico e alle sue conseguenze sugli assetti delle singole unità operative. Le notti della settimana vengono trascorse dai professionisti tra guardie e reperibilità, quasi tutti i week end del mese sono impegnati per garantire la continuità del servizio, gli straordinari non pagati si contano oramai in diverse decine di milioni ogni anno, ore che non verranno mai retribuite e mai recuperate, il diritto al riposo viene calpestato e le ferie accumulate si possono valutare anche in anni. Una condizione esplosiva che si manifesta con il nuovo fenomeno dell’uscita dal sistema sanitario anche anticipatamente rispetto all’acquisizione dei criteri previdenziali per cercare in altri ambiti condizioni di lavoro più compatibili con le proprie esigenze di vita sociale e familiare. Circa il 10% delle uscite dalle aziende sanitarie non è legato al pensionamento. Le risposte da dare sono le seguenti: incrementare le dotazioni organiche secondo standard concordati, superando blocchi del turnover e limitazioni alla spesa per il personale, premiare chi svolge lavoro disagiato incrementando le relative indennità: lavoro notturno, lavoro festivo, reperibilità e pagamento delle ore lavorate in straordinario. Inoltre pensiamo ad una limitazione del lavoro disagiato individuando tetti massimi stringenti alle notti e alle reperibilità che possono essere svolte mensilmente dai professionisti.
 
Quali sono le posizioni dell’Anaao sulla proposta di aumentare le autonomie di alcune Regioni in base all’articolo 116 della Costituzione?
I contenuti del patto sono stati da noi criticati. Già partiamo da un gap importante tra nord e sud per quanto riguarda aspettativa di vita, accesso alle cure, esigibilità dei Lea e esiti. Le nuove autonomie previste rischiano di determinare un peggioramento delle diseguaglianze. Pensiamo alla gestione del personale e ai deficit di specialisti che si prospettano nei prossimi anni. Avremo Regioni con grandi risorse economiche e capacità amministrative che potranno accedere a percorsi formativi privilegiati attraverso i quali risolvere le presenti e future carenze di personale. Le altre dovranno gestire una desertificazione sanitaria dei territori per carenza di personale. Abbiamo la necessità che alcuni fili verticali siano salvaguardati per dare unitarietà al sistema sanitario e permettere una effettiva eguaglianza nel diritto di accesso alle cure. La formazione dei professionisti e quindi la disponibilità di un adeguato numero di specialisti per tutte le Regioni, è uno di questi.
 
L’incremento delle borse di studio degli specializzandi potrebbe essere una soluzione?
Siamo anche d’accordo sulla proposta avanzata dalle Regioni in merito alla possibilità di prevedere un secondo percorso formativo gestito dalle Regioni nella propria rete ospedaliera e territoriale. Con alcune condizioni: gli specializzandi devono essere aggiuntivi rispetto alle attuali dotazioni organiche, devono essere assunti con un contratto di formazione/lavoro a tempo determinato e tale contratto deve essere inquadrato in quello della Dirigenza sanitaria. È da sottolineare comunque che questi nuovi specialisti saranno disponibili solo dopo il 2023/2024 se si iniziasse dal prossimo con la nuova metodologia. Nei prossimi 5 anni cosa facciamo? Ci vogliono risposte eccezionali. Verosimilmente bisognerebbe pensare alla possibilità che ai concorsi per assunzioni a tempo indeterminato partecipino anche gli specializzandi dell’ultimo anno. In questo modo la platea degli assunti si allargherebbe, magari si riuscirebbe anche a coprire zone dove i concorsi vanno deserti perché sono decentrate e poco appetibili. Non possiamo pensare ad assunzioni di specialisti provenienti da altri paesi: difficilmente verranno da noi considerando che abbiamo stipendi più bassi e possibilità di carriera professionale molto limitata rispetto ad altre mete.
 
Liste di attesa, si punta il dito verso l’intramoenia. E così?
L’intramoenia è uno strumento straordinario di flessibilità organizzativa se ben gestito. Vale attualmente 1miliardo e 150 milioni di euro di incassi, di questi 200 milioni vanno alle aziende e 400 mln in Irpef introitata dallo Stato. Esiste un Decreto legislativo del '98 che prevede la possibilità per i cittadini, nel caso le attese superino i 30 giorni, di accedere alla libera professione intramuraria pagando il solo ticket mentre la differenza viene compensata dall’azienda di provenienza del paziente. La Regione Toscana si sta muovendo su questa linea che indubbiamente presenta molti vantaggi: valorizza i professionisti che lavorano nel sistema, permette la presa in carico del paziente nell’intero percorso diagnostico e terapeutico, garantisce prestazioni di qualità ed appropriate perché effettuate dal Ssn, senza dimenticare il pieno utilizzo delle strutture e delle tecnologie con costi che sono marginali.
Siamo perfettamente consapevoli che i cittadini considerino le liste di attesa come un diritto alla salute negato. La soluzione non sta nella eliminazione della libera professione intramoenia, ma nella individuazione delle vere cause delle attese cercando delle risposte condivise e percorribili.
 
Ester Maragò

30 giugno 2018
© Riproduzione riservata

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