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Comparto sanità: due pesi e due misure nella contrattazione 

di Andrea Bottega (Nursind)

Con la sottoscrizione del contratto 2016-2018 si è assistito a un generale e più o meno intenso abbassamento dei livelli di tutela del pacchetto dei diritti e del patrimonio professionale acquisito dai lavoratori. Siamo forse figli di un dio minore? Sembrerebbe di si.

03 SET - Ad alcuni mesi dalla sottoscrizione dei CCNL per i pubblici dipendenti, relativi al triennio 2016/2018 e perciò in scadenza al 31 dicembre di quest’anno, risulta necessario fare alcune considerazioni purtroppo abbastanza amare.
 
La stagione contrattuale, infatti, la cui conclusione è stata fortemente condizionata in negativo dalla imminenza delle elezioni politiche di marzo, come recentemente affermato anche dall’attuale Ministro della Funzione Pubblica, si è caratterizzata sul piano retributivo da un grave e disdicevole equivoco sul beneficio contrattuale di 85 euro medi, mensili, pro capite, che lungi dall’essere disponibili per tutti, sono stati concessi solo ad alcune limitate categorie di personale mediante uno strumento che rischia di rivelarsi un trucco: infatti l’elemento perequativo della retribuzione che ha consentito a tali pochi “fortunati” di arrivare ai fatidici 85 euro rischia di sterilizzarsi a dicembre, essendo la sua erogazione limitata al solo 2018 e dovendo eventualmente essere rifinanziato con il prossimo triennio contrattuale 2019/2021 che non si sa se ci sarà.

La conseguenza di un’eventuale mancata stabilizzazione dall’1/1/2019 di tale elemento retributivo determinerebbe per chi ne ha beneficiato il paradossale risultato di un abbassamento della retribuzione con la correlativa possibile perdita del bonus Renzi, perché quel minino beneficio contrattuale che residuerebbe potrebbe comunque portare più di qualcuno sopra la soglia di concessione di tale bonus.

In cambio di questo, si è assistito a un generale e più o meno intenso abbassamento dei livelli di tutela del pacchetto dei diritti e del patrimonio professionale acquisito dai lavoratori; abbassamento operato con le nuove regole normative di molti aspetti del rapporto di lavoro soprattutto, per quanto concerne in particolare il personale della sanità, nella materia della regolazione degli incarichi con la quale si è sostanzialmente precarizzato l’esercizio di funzioni professionali caratterizzate, invece, da una essenziale stabilità, come nel caso eclatante della figura del coordinatore, senza che esistano ancora in quasi tutte le regioni i presupposti contrattuali per il conferimento dei nuovo incarichi professionali.
 
Tuttavia il quadro non sembra per tutti così nero.
 
Se si va a vedere come si profila ai blocchi di partenza la stagione di rinnovi dei contratti delle dirigenze pubbliche e in particolare di quella statale e parastatale le cose vanno infatti in tutt’altro modo.

Nell’atto di indirizzo licenziato il 2/2/2018 dal Ministro Madia per il rinnovo del CCNL 2016-2018 relativo all’Area della Dirigenza delle Funzioni centrali vi è un paragrafo specificamente rubricato “Modalità di conferimento degli incarichi” nel quale si legge, al punto 6: “Il CCNL deve incentivare, nel conferimento degli incarichi, l’attuazione di procedure che limitino il ricorso all’outsourcing, in un’ottica di imparzialità ed efficienza della funzione.
 
Occorre, nei limiti della legge, favorire la più ampia trasparenza nelle procedure di interpello su posti vacanti e regolarlo nelle linee generali, estendendolo a tutte le amministrazioni dell’Area, in modo da far trasparire le modalità comparative di selezione”. Peccato che l’art. 40, comma 1 del D.lgs 165/2001 espressamente sottragga alla contrazione collettiva (di qualunque livello) “la materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali”.
 
Per quanto sorprendente possa risultare, quindi, sembrerebbe che le indicazioni in esame, richiedendo una regolazione contrattuale delle modalità di conferimento degli incarichi dirigenziali, non risultano conformi al quadro legislativo e le clausole contrattuali collettive eventualmente da esse scaturenti potrebbero risultare nulle per contrasto con la norma dell’art. 40, comma 1, D.lgs 165/2001, contrattualmente inderogabile.

Inoltre, allo stesso punto 6, l’atto di indirizzo chiede che il contratto preveda garanzie molto penetranti per l’assegnazione di diverso incarico nel caso di riorganizzazione dell’amministrazione, fissando sia il principio dell’equivalenza tra il nuovo ed il vecchio incarico che quello della tutela retributiva.
Nella sostanza, l’atto di indirizzo chiede di reintrodurre un sistema di tutele simile a quello preesistente che è venuto meno per effetto di una precisa scelta di politica gestionale e retributiva della dirigenza pubblica compiuta con l’art. 9, comma 32, Legge 122/2010 in considerazione della onerosità di tali tutele e della loro idoneità a costituire un elemento dissuasivo per le Amministrazioni ad effettuare riorganizzazioni.

Il mezzo scelto per effettuare tale operazione, il contratto collettivo nazionale di lavoro, risulta particolarmente insidioso anche perché, per la prima volta nella pur breve storia della contrattazione collettiva nel lavoro pubblico, alcuni dei soggetti che costituiscono il vertice dell’ARAN, l’Agenzia che per conto delle Pubbliche Amministrazioni svolge le trattative per i rinnovi contrattuali, sono dirigenti pubblici direttamente destinatari del CCNL dell’Area dirigenziale delle Funzioni centrali e tali sono anche i responsabili tecnici del confezionamento dell’atto di indirizzo in questione presso i Ministeri competenti.
 
Di tutto questo si è accorto qualcuno in Parlamento: recentemente, infatti, l’on. Andrea Cecconi del gruppo Misto ha presentato un’interrogazione parlamentare che evidenzia proprio questi due pesi e due misure e questa situazione di “conflitto di interessi” (non voluta ma di fatto presente). Ci fa piacere che ad accorgersene sia stato uno dei pochi infermieri presenti al Parlamento. Ricordiamo anche che in tema di finanziamento il comparto sanità non ha goduto della stessa percentuale di aumento contrattuale dei comparti statali (il 3,48% del monte salari 2015).
Siamo forse figli di un dio minore? Sembrerebbe di si.
 
Andrea Bottega
Segretario nazionale Nursind

03 settembre 2018
© Riproduzione riservata

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