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I medici e il lavoro gravoso: ancora non s’intravedono soluzioni

di Domenico Della Porta

Eppure non sono poche le evidenze scientifiche ed oggettive che motivano l’ampliamento del riconoscimento di “lavoro gravoso” proprio ai medici. Proprio questi ultimi, che non operano secondo i comuni orari di lavoro similmente agli altri lavoratori inclusi nel decreto, possono infatti soffrire di numerosi e seri disturbi.

07 GEN - Per i medici che svolgono la loro attività con analoghi rischi e medesime difficoltà dei loro colleghi delle professioni infermieristiche ed ostetriche ospedaliere già inclusi dal Decreto Ministeriale 5 febbraio 2018 che individua le 15 categorie di lavoratori che svolgono una attività “gravosa”, ancora non si intravedono possibili soluzioni.
 
Eppure non sono poche le evidenze scientifiche ed oggettive che motivano l’ampliamento del riconoscimento di “lavoro gravoso” proprio ai medici. Proprio questi ultimi, che non operano secondo i comuni orari di lavoro similmente agli altri lavoratori inclusi nel decreto, possono infatti soffrire di numerosi e seri disturbi. Sono stati descritti in questi professionisti: uno sconvolgimento dell’orologio interno del metabolismo (con conseguenze sul regolare funzionamento del cervello); una riduzione della memoria nel lungo termine ; una riduzione della capacità di concentrazione e un incremento della sonnolenza in fase diurna; un ridotto assorbimento di vitamina D per mancata esposizione alla luce del sole; un incremento dello stress conseguente alla carenza di riposo; disturbi del sonno; difficoltà a riadattarsi al normale alternarsi di sonno e veglia nei giorni di riposo;  disturbi digestivi e malattie gastroenteriche; un aumento del peso a causa della riduzione del metabolismo durante il rilassamento; malattie cardiovascolari (in quanto i turni prolungati aumentano la contrattilità del cuore, la pressione sanguigna e la frequenza cardiaca); una riduzione dell’attenzione spesa a garantire la propria sicurezza; carenza di energie, stanchezza e disattenzione durante il giorno.
 
 
La mancanza di un adeguato riposo e l’inversione del normale ciclo giorno/veglia – notte/riposo si concretizza in un deficit di attenzione che può tradursi nel medio e nel lungo periodo in negativi impatti emotivi (scontrosità, difficoltà a concentrarsi…), sociali (impossibilità a condurre una vita di legami soddisfacente per le differenze di orari), con conseguenze possibili anche gravi (pensiamo ad esempio agli incidenti per mancanza di sonno che possono verificarsi quando non ci si trova in stato di veglia non ottimale).
 
A quanto pare, la “sindrome del lavoratore turnista” colpisce il 10,15% di coloro che fanno i turni lavorativi, avviene quindi una discrepanza tra prestazioni lavorative offerte e il valore dei ritorni causata dal peggioramento delle condizioni psicofisiche di offrire servizio, e di ciò deve tenere conto chi programma i turni di lavoro per evitare affaticamenti e malesseri sopra la media. In uno studio della Consulta Interassociativa della Prevenzione (CIIP) viene precisato infatti che nei medici con turni di lunga durata (24 ore e più) si verifica un’associazione con la riduzione e vigilanza con l’aumento degli errori ed un significativo miglioramento limitando la durata del turno (Lokley et al. NEMJ 2004).
 
Sempre la CIIP sottolinea che in 2737 medici statunitensi in formazione, l’incidenza di almeno un errore importante: del 3,8% nel caso di nessun turno di lunga durata (32 ore in media); del 9,8% nel caso di più di 4 turni; del 16% nel caso di più di 4 turni di lunga durata e con aumento del 300% di eventi avversi prevedibili, dovuti a fatica e/o deprivazione del sonno, con decesso del paziente (Barger et al. PLOS Med 2006).
 
In una nostra riflessione di alcuni mesi fa (QS del 14 giugno 2018) è stato peraltro evidenziato anche che il riconoscimento di un danno conseguente ad una determinata attività lavorativa avviene   attraverso la funzione della sorveglianza sanitaria svolta dal Medico Competente ed è indipendente  dall’elenco in cui è inclusa la medesima attività lavorativa.
 
Per tentare di limitare l’insorgere dei problemi di salute connessi ai turni di lavoro – oltre a sottoporsi periodicamente a visite mediche qualora si riscontrino segnali preoccupanti – è possibile seguire alcune regole salutari elementari, quali diluire i pasti durante la giornata anziché concentrarli in pochi momenti; non consumare bevande eccitanti prima di addormentarsi; evitare di esporsi alla luce del sole dopo il lavoro notturno; dormire se possibile un poco prima o dopo il turno per concedere un po’ di riposo all’organismo.
 
Non dimentichiamo, poi, che tutti i lavoratori della sanità oltre agli specifici rischi collegati al delicato settore, compreso il “lavoro a turni” sono esposti, come si è registrato ultimamente anche a quello “aggressioni e violenze” per cui è ancora più evidente la “gravosità” della loro attività, ha detto Filippo Anelli, presidente della FNOMCeO.
 
Il datore di lavoro è tenuto a valutare la categoria di rischi a cui sono sottoposti i collaboratori nell’espletamento delle proprie mansioni e ad adottare le pertinenti misure di sicurezza idonee a garantire l’integrità psico-fisica del dipendente, attraverso: una valutazione dei carichi di lavoro che tenga conto dei fattori che incidono sulla salute delle risorse umane (monotonia, fatica…);  una definizione della mole di lavoro conforme alle regole in vigore e rispettose delle esigenze fisiche dei lavoratori.
 
Adoperarsi a ridurre l’insorgere dei problemi di salute degli occupati è un obiettivo delicato che coinvolge: l’organizzazione del lavoro; il contesto nel quale si opera (supporto da parte di dirigenti e colleghi); gli equilibri sindacali (spesso di impatto considerevole negli enti pubblici e nelle strutture con centinaia di addetti.
 
 
 
Domenico Della Porta
Docente Medicina del Lavoro Università Telematica Internazionale Uninettuno - Roma
Presidente Osservatorio Nazionale Malattie Occupazionali e Ambientali Università degli Studi Salerno

07 gennaio 2019
© Riproduzione riservata

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