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Responsabilità professionale. I chirurghi scrivono a Grillo: “Rivedere la definizione di ‘colpa medica’ ed emanare i decreti attuativi della legge Gelli”

di Filippo La Torre

Il Collegio italiano dei chirurghi, inoltre, nella lettera aperta al ministro della Salute propone: di procedere alla riduzione del contenzioso medico-paziente attraverso provvedimenti legislativi mirati, di adottare provvedimenti riguardanti la governance e l’appeal della professione chirurgica, emanare il dispositivo di legge sulla Colpa professionale per impedire l’accesso alle denunce in “penale” come nel resto dell’Europa, controllare le pubblicità che invitano a ricorrere contro i sanitari.

24 LUG - Il Collegio Italiano dei Chirurghi, in una lettera aperta, si appella al ministro della Salute Giulia Grillo per invitarla ad intervenire tempestivamente sul tema della responsabilità professionale. Il presidente Filippo La Torre, nella lettera, auspica in particolare una "rapida ed efficace" revisione della definizione di colpa medica oltre ad una rapida emanazione dei rimanenti decreti attuativi della legge Gelli.
 
Inoltre, vengono lanciate 4 proposte per evitare il collasso del sistema: procedere alla riduzione del contenzioso medico-paziente attraverso provvedimenti legislativi mirati, di adottare provvedimenti riguardanti la governance e l’appeal della professione chirurgica, emanare il dispositivo di legge sulla Colpa professionale per impedire l’accesso alle denunce in “penale” come nel resto dell’Europa, controllare le pubblicità che invitano a ricorrere contro i sanitari.
 
Riportiamo di seguito integralmente l'appello del Collegio dei chirurghi italiani.
 
Il Collegio Italiano dei Chirurghi (Cic) tra i suoi compiti istituzionali ha visto, e vede, il ruolo e la responsabilità degli specialisti da esso rappresentati.
I temi della malpractice e dell’eccesso di procedimenti giudiziari, il ruolo dei risk management aziendali, il calo della vocazione chirurgica in un numero già esiguo di specializzandi hanno reso critici il ruolo e la funzione del chirurgo nel Ssn.

La Legge 24 Gelli-Bianco del 2017 ha cercato di mettere in campo soluzioni atte a risolvere, soprattutto, il problema dell’eccesso di “denunce” a carico dei medici ma, purtroppo, non si vede un calo del loro numero. Per contro si nota, invece, l’accentuarsi di azioni da parte di Agenzie ed Associazioni miranti al reclutamento di pazienti disponibili alla denuncia. E’ in crisi il patto terapeutico tra medico e paziente che ha creato, da un lato, sfiducia ed insoddisfazione verso la figura del medico e, dall’altro, di conseguenza, la cosiddetta “medicina difensiva”.
 
Gelli continua a perseguire l’obiettivo della Balduzzi attraverso la previsione di una serie di strumenti enunciati nell’art. 2 della Legge n. 24 /2017. L’ufficio del Difensore Civico ha la funzione di garante del diritto alla salute, al quale i soggetti destinatari delle prestazioni sanitarie e le associazioni possono rivolgersi gratuitamente al fine di segnalare eventuali disfunzioni del sistema assistenziale sanitario. La legge Gelli ha previsto l’istituzione dell’Osservatorio Nazionale delle Buone Pratiche sulla Sicurezza nella Sanità, il cui scopo è quello di raccogliere ed elaborare le informazioni relative ai rischi e agli eventi avversi dai Centri regionali per il rischio sanitario avvalendosi del SIMES (Sistema Informativo per il Monitoraggio degli Errori in Sanità). Il Ministro della salute è quindi tenuto a trasmettere annualmente alle Camere una relazione sull’attività sopra esposta svolta dall’Osservatorio.

Gli errori e il comportamento umano non possono essere analizzati isolatamente, ma devono esserlo in relazione al contesto nel quale la gente lavora. Il personale medico e sanitario è influenzato dalla natura del compito che svolge, dal gruppo di lavoro, dall’ambiente di lavoro e dal più ampio contesto organizzativo, cioè dai cosiddetti fattori sistemici. In questa prospettiva gli errori sono visti non tanto come il prodotto della fallibilità personale, quanto come le conseguenze di problemi più generali presenti nell’ambiente di lavoro e nell’organizzazione. Occorre preservare la responsabilità individuale e, al contempo, comprendere le interrelazioni tra persona, tecnologia e organizzazione.

Con il termine “medicina difensiva” si indica la pratica dei medici volta a evitare possibili azioni legali di responsabilità, conseguenti al proprio operato. Si parla, in particolare, di medicina difensiva positiva quando si assiste a un’eccessiva prudenza, che si esplica attraverso servizi terapeutici o diagnostici sproporzionati e superflui rispetto a quanto strettamente necessario. Si parla, invece, di medicina difensiva negativa quando l’eccessiva prudenza si traduce nel rifiuto di compiere operazioni che presentino alti profili di rischio o nel rifiuto di occuparsi di pazienti che presentino condizioni cliniche delicate.
 
Nel primo caso, il paziente rischia di essere sottoposto ad un surplus di esami e terapie, nel secondo caso di essere abbandonato a se stesso, anche quando un coraggioso intervento medico consentirebbe di aumentare le chance di guarigione. In entrambi i casi, a risultare lesi sono il diritto alla salute costituzionalmente tutelato, le finanze pubbliche, la tranquillità della classe medica, il rapporto medico-paziente.

Un’indagine condotta nel 2010 dall’Ordine provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Roma ha messo in evidenza che la medicina difensiva rappresenta un fenomeno in crescita, che ha una rilevante incidenza economica sulla sanità pubblica e sulla spesa privata, con presumibili ricadute negative anche sulle liste d’attesa. L’indagine ha confermato l’immagine di una categoria professionale che si sente sotto assedio giudiziario e mediatico. Dall’indagine sono infatti scaturiti i seguenti dati relativi alle motivazioni dei comportamenti di medicina difensiva:
· il 78,2% si sente più a rischio di denuncia rispetto al passato,
· il 68,9% pensa di avere il 30% di probabilità di essere denunciato
· il 25% circa dichiara che tale probabilità è anche superiore.
· Soltanto il 6,7% dei medici giudica nulla la probabilità di una denuncia.
Complessivamente, ben il 65,4% si ritiene sotto pressione nella pratica clinica quotidiana.

In base ai risultati della ricerca nazionale sulla medicina difensiva realizzata nel 2010 dall’Ordine provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Roma, il fenomeno della medicina difensiva varia, se pur leggermente, in base all’età (soprattutto se giovane), al ruolo (per lo più se riferito all’assistenza primaria), alla specializzazione (maggiormente in medicina interna, nefrologia, urologia, neurologia e neurochirurgia, ortopedia, ostetricia/ ginecologia, medicina d’urgenza, cardiologia) e alla localizzazione geografica (è più accentuato tra i residenti nelle regioni del Sud e delle Isole).

In base ai dati raccolti su scala nazionale dall’Ordine provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Roma, l’incidenza della medicina difensiva generata da tutti i medici pubblici e privati sul SSN è pari al 10,5% (farmaci 1,9%, visite 1,7%, esami di laboratorio 0,7%, esami strumentali 0,8%, ricoveri 4,6%).

Le dimensioni del fenomeno e le ragioni per le quali la medicina difensiva è praticata sono state oggetto di alcune indagini scientifiche, che hanno dato risultati ampiamente sovrapponibili: il 77,9% del campione ha tenuto almeno un comportamento di medicina difensiva nell’ultimo mese di lavoro (92,3% nella classe 32-42 anni). Il 68,9% ha proposto o disposto il ricovero di pazienti che riteneva gestibili ambulatorialmente e il 61,3% ha prescritto un numero di esami maggiore rispetto a quello ritenuto necessario per effettuare la diagnosi. Il 58,6% dei medici ha chiesto il consulto di altri specialisti pur non ritenendolo necessario. Il 51,5% ha prescritto farmaci non necessari e il 24,4% ha prescritto trattamenti non necessari. Il 26,2% ha escluso pazienti a rischio da alcuni trattamenti, al di là delle normali regole di prudenza, e il 14% ha evitato procedure rischiose (diagnostiche o terapeutiche) su pazienti che avrebbero potuto trarne beneficio.

Un’indagine AgeNaS del 2014 effettuata su 1500 medici ospedalieri evidenzia come il 58% dei camici bianchi pratichi medicina difensiva e per il 93% questa sia destinata ad aumentare. Lo studio spiega anche il perché si fa medicina difensiva:
• per il 31% è colpa della legislazione sfavorevole per il medico;
• per il 28% per il rischio di essere citati in giudizio;
 • per il 14% a causa dello sbilanciamento del rapporto medico/paziente, con eccessive richieste, pressioni e aspettative da parte del paziente e dei familiari.

Secondo le opinioni dei medici che hanno partecipato all’indagine AgeNaS del 2014, le soluzioni potenzialmente efficaci per ridurre il fenomeno della medicina difensiva sono per il 49% attenersi alle evidenze scientifiche e per il 47% riformare le norme che disciplinano la responsabilità professionale.
In base ai principi contenuti nell’articolo 20 del Codice deontologico dei medici, il medico nella relazione persegue l’alleanza di cura fondata sulla reciproca fiducia e sul mutuo rispetto dei valori e dei diritti e su un’informazione comprensibile e completa, considerando il tempo della comunicazione quale tempo di cura. Un lungo iter giurisprudenziale ha assoggettato l’operatore sanitario a un contratto d’opera professionale nei confronti del paziente, di cui si fa carico non in virtù della sottoscrizione di un contratto, ma del cosiddetto “contatto sociale” che si instaura tramite la relazione terapeutica. La cosiddetta contrattualizzazione della responsabilità del medico delinea un rapporto professionale in cui il paziente è creditore della prestazione professionale, mentre il medico è tenuto a offrire la propria attività secondo i parametri di diligenza, prudenza e perizia.

Un aspetto che, a nostro parere, la Legge 24 ha lasciato irrisolto, rendendolo anzi controverso rispetto a quanto contenuto nella precedente Legge Balduzzi, è rappresentato dalla definizione del termine di “colpa medica”.
La Corte di Cassazione ha più volte sentenziato nel merito dichiarando la “Balduzzi” più chiara sotto questo profilo.
Il Cic auspica una rapida ed efficace revisione in tal senso oltre a richiedere la più veloce emanazione dei Decreti Attuativi rimanenti.

Risk Management
Per ridurre i comportamenti non rispettosi da parte dei cittadini e salvaguardare la qualità della relazione e del lavoro è auspicabile che le strutture sanitarie adottino programmi di prevenzione, valutando i rischi nei luoghi di lavoro, formando il personale con particolare attenzione alle competenze comunicative e informando l’utenza dell’esistenza di una politica aziendale attenta alla correttezza dei comportamenti. Non trascurabile, in questo contesto, vista la delegittimazione della figura professionale, l’aumento delle aggressioni ai sanitari. Tutto questo contribuisce a far crollare l’appeal della nostra magnifica professione.

Proposte
Si rende necessario, per evitare il collasso del sistema:
1) procedere alla riduzione, attraverso provvedimenti legislativi mirati, del contenzioso medico-paziente
2) Adottare provvedimenti riguardanti la governance e l’appeal della professione chirurgica nel territorio e nelle strutture assistenziali ospedaliere e universitarie
3) Emendare il dispositivo di legge sulla Colpa professionale per impedire l’accesso alle denunce in “penale” come nel resto dell’Europa,
4) Controllare la pubblicità delle “Agenzie” che invitano a ricorrere contro i Sanitari.
 
Prof. Filippo La Torre
Presidente Collegio Italiano dei Chirurghi (CIC)


24 luglio 2019
© Riproduzione riservata

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