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Medicina di genere. Serve una alleanza tra sistema sanitario e ricerca accademica


Per arrivare a una equità di genere servono ancora interventi incisivi. Dal 14° Forum Risk Management di Firenze la richiesta a coinvolgere sempre di più la popolazione femminile nei trial clinici per ottenere dati più precisi sull’efficacia dei farmaci nelle donne

29 NOV - Stratificare meglio la popolazione durante uno studio clinico permette di ottenere dati più precisi sull’efficacia di un farmaco, sul suo assorbimento e sugli effetti avversi. Nonostante da alcuni anni si parli dell’importanza della medicina di genere, oggi le donne non hanno ancora una rappresentazione adeguata in molti trial.
 
Questi nodi sono stati affrontati nel corso dell’incontro dal titolo “La medicina di genere: la medicina olistica richiede l’equità di genere” che si è tenuto al 14° Forum Risk Management di Firenze.
 
“Sappiamo che farmacocinetica e farmacodinamica sono diverse tra uomo e donna e siamo a conoscenza che esistono interazioni tra farmaci e contraccettivi orali – ha ricordato Flavia Franconi del Lab Gender Medicine Innb di Sassari – Tuttavia, le donne coinvolte negli studi sono ancora troppo poche e nella vita reale troppo spesso non viene detto allo specialista che si sta assumendo la pillola”.
 
Un altro elemento da considerare è il microbioma, che è diverso tra uomo e donna:“Quello intestinale, in particolare, contiene enzimi che possono attivare più o meno velocemente un farmaco, oppure inibirlo. Non possiamo far finta che queste differenze non esistano”, ha proseguito Franconi.
 
Per quanto riguarda gli effetti avversi, invece, l’esperta ha invitato alla prudenza: “Potremmo avere un bias – ha premesso –: i dati che abbiamo si basano su segnalazioni spontanee. È probabile che le donne siano più proattive degli uomini e quindi le maggiori reazioni avverse potrebbero essere ricondotte a una raccolta dati che non corrisponde alla realtà”.
 
Dal genere dipendono anche alcune differenze in ambito oncologico: l’insorgenza dei tumori, la risposta alle terapie e l’induzione degli effetti avversi in risposta ai trattamenti. “Sappiamo ancora abbastanza poco sui meccanismi alla base di queste differenze – ha evidenziato Alessandra Carè, direttore del Centro Nazionale Medicina di Genere dell’Istituto Superiore di Sanità – È importante indagare i motivi di questi diversi andamenti. Sappiamo che una parte dipende dall’assetto cromosomico: la doppia X nella donna spesso svolge un ruolo protettivo, così come il sistema immunitario, che di solito nelle donne è più efficiente. Da non sottovalutare anche l’impatto degli stili di vita, che, a differenza della genetica, sono modificabili”.
 
Sempre per quanto riguarda l’oncologia, Patrizia Popoli, direttore del Centro di Valutazione Farmaci dell’Iss ha evidenziato: “Per gli antitumorali spesso la dose è definita sulla base della superficie corporea e questo dato non può essere estrapolato dagli studi sugli uomini perché la donna ha una diversa distribuzione della massa grassa, per esempio. Dobbiamo prestare un’attenzione crescente a questo tema perché i risultati degli studi di fase 3 non possono essere la media di quelli ottenuti in uomini e donne, ma vanno analizzati in modo separato”.

29 novembre 2019
© Riproduzione riservata

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