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Aggressioni in sanità. Al Ssn costano 30 milioni di euro

di Domenico Della Porta

Per rendersi conto del danno economico, basta considerare che nel 2017 sono state 3.783 le giornate di lavoro perse, in netto aumento rispetto agli anni precedenti con 1.522 giorni di prognosi nel 2014, 2.397 nel 2015 e 3.140 nel 2016.

12 FEB - È in corso presso le strutture centrali di INAIL un articolato studio sugli strumenti e modalità per identificare e migliorare la conoscenza degli episodi di violenza in sanità. A sostenerlo è Patrizio Rossi, Sovrintendente Sanitario Centrale dell’Istituto proprio per sottolineare l’interesse dell’importante struttura per la materia, immediatamente tangibile, poiché riuscire a prevenire fenomeni di questa natura, oltre all’indubbio valore etico e sociale, equivale ad una riduzione degli infortuni e delle malattie di origine professionale e, conseguentemente, dei relativi costi in termini di indennizzo.
 
Per rendersi conto del danno economico, basta considerare che nel 2017 sono state 3.783 le giornate di lavoro perse, in netto aumento rispetto agli anni precedenti con 1.522 giorni di prognosi nel 2014, 2.397 nel 2015 e 3.140 nel 2016. Tradotto in soldi, nel 2017 i danni economici ammontano a 30 milioni a carico del Servizio sanitario nazionale, contro i 12 milioni del 2014.
 
Dal punto di vista dell’inquadramento nosologico, anche in ambito infortunistico Inail, non è agevole riconoscere tutti i casi di violenza in danno dell’operatore sanitario, ha precisato Rossi, talvolta per l’incompletezza di dati disponibili inerenti alla dinamica dell’evento, altre volte perché manca una lesione medico-legalmente valutabile conseguente all’episodio di violenza. Per altro verso, ha aggiunto, deve pure rilevarsi come detti episodi riguardino anche gli esercenti le professioni sanitarie che lavorano presso le strutture Inail.
 
Pensate che nell’Istituto operano nelle oltre 450 strutture distribuite sull’intero territorio nazionale circa 2.300 tra medici e personale tecnico sanitario e professionale. Nel nostro ambito, tuttavia, vi sono alcune peculiarità. Accanto agli episodi di violenza in ambito clinico-assistenziale, che possono avvenire nel percorso diagnostico-terapeutico delle cure ambulatoriali e delle attività riabilitative e protesiche, ha aggiunto il Sovrintendente, si registrano anche episodi di violenza durante le attività medico-legali, ovvero durante quegli accertamenti che risultano finalizzati all’erogazione di prestazioni in favore di soggetti infortunati/tecnopatici, in primis di natura economica.
 
Per i primi si ripropongono le stesse dinamiche di quanto avviene nelle altre strutture sanitarie, spesso correlate - nonostante l’obiettivo comune, al medico e al paziente, della tutela del benessere psico-fisico - alle preoccupazioni per il proprio stato di salute o per quello dei propri cari, a problemi di comunicazione tra professionista e paziente, alla carenza di personale e all’abnorme affluenza di utenza in alcune sedi. La tensione che ne scaturisce può generare aggressività nei confronti degli operatori sanitari. Senza considerare ambiti assistenziali particolarmente rischiosi da questo punto di vista, come quello psichiatrico.
 
Per quanto attiene alla Medicina legale, è di tutta evidenza come gli aspetti della questione risultino addirittura più insidiosi, poiché correlati ad una sorta di “pretesa acquisitiva” da parte dell’assicurato/tecnopatico, per il proprio convincimento di “meritare” una determinata prestazione. In questa dimensione, può accadere che il Dirigente medico Inail non sia visto come un alleato, ma come un antagonista, ciò quando il suo giudizio, in termini di durata del periodo di inabilità temporanea assoluta o di entità del quadro invalidante, non aderisce alle aspettative dell’utente. Si verificano, così, anche in questo ambito, episodi di aggressione verbale e fisica agli operatori sanitari, con il ricorso a minacce, anche reiterate nel corso degli incontri che possono avvenire con lo stesso professionista, sia durante la definizione del caso, sia in occasione di visite di revisione o di visite collegiali.
 
Le peculiarità del rapporto medico/assistito in Medicina legale erano già state segnalate in una mia monografia edita da Giuffrè nel 2014 sulla Gestione del rischio in Medicina legale, ha precisato Rossi, evidenziando le criticità nell’adozione tout court della soddisfazione dell’utente tra le dimensioni utili a misurare la qualità della prestazione medico-legale, proprio in virtù delle pretese dell’assistito alle volte “tradite” all’esito dell’accertamento.
 
Secondo la mission più avanzata dell’Inail la prevenzione di lesioni, quindi anche di quelle da violenza, costituisce l’output principale delle politiche sanitarie atteso che la fase indennitaria è solo l’ultima ratio di una tutela che si orienta innanzitutto nella direzione di prevenire gli eventi dannosi, di curarli e di riabilitarli.
 
In questa ottica è ancora più importante misurare il “fenomeno violenza”, perché nessuna azione di miglioramento potrà essere messa in atto in maniera efficace senza conoscere le dimensioni e le peculiarità degli eventi da aggressione fisica o verbale.
A nostro avviso gli atti di violenza nei confronti degli operatori sanitari sono del tutto immotivati, ma nella maggior parte dei casi si può individuare un filo conduttore che ha dato origine a una spirale di aggressioni. Non è infrequente che delle carenze a livello comunicativo o     un’incapacità   di  capire il linguaggio del corpo   dia  adito  a malintesi.
 
Tra le cause di queste violenze riconducibili ai pazienti si annoverano contesti patologici diversi, disturbi mentali e neurologici o una tossicodipendenza. A volte i pazienti percepiscono come violente alcune misure adottate dal personale e pertanto reagiscono con aggressività. Per quanto concerne i comportamenti degli operatori sanitari che possono scatenare reazioni violente da parte dei pazienti, si possono menzionare l’arroganza o l’inflessibilità.
 
Gli  episodi di violenza tuttavia possono  avere anche delle ragioni  strutturali come la presenza di regolamenti interni rigidi, restrizioni alla libertà di movimento, un’eccessiva burocrazia o la scarsità di personale.
 
La mancanza di forme di protezione preventive all’interno di una struttura è dimostrata dall’assenza di piani di emergenza, dalla mancanza di vie di fuga e dalla presenza di zone buie che è difficile sorvegliare.
 
Per la prevenzione è importante prevedere le situazioni in cui possono verificarsi episodi di violenza ed essere pronti a intervenire (per esempio, ricovero di urgenza). In queste situazioni è indispensabile disporre di un piano di emergenza.
 
 
Domenico Della Porta
Docente Medicina del Lavoro Università Telematica Internazionale Uninettuno - Roma

12 febbraio 2020
© Riproduzione riservata

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