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Fase 3. Gli psicologi: “Si rischia di tornare al lavoro più fragili dopo il Covid”


A fare luce su questo tema è il Tavolo Tecnico ENPAP, l’Ente di Previdenza degli Psicologi, sulla Sicurezza sul Lavoro, sottolineando l’importanza di non trascurare gli effetti psicologici del cambiamento che attraversa il mondo del lavoro.

19 GIU - Il mondo del lavoro muove i primi passi verso la normalità, ma sono ancora tanti i nodi da sciogliere per definirla nuovamente tale nel senso a cui eravamo abituati in epoca pre-Covid.
 
“La pandemia sta fungendo da acceleratore di processi di trasformazione economica e sociale già in atto da tempo. Il cambiamento che si prospetta sarà di lungo periodo e ritornare alla normalità non vorrà dire tornare a vecchie dinamiche: le organizzazioni saranno chiamate ad adattarsi a revisioni continue delle modalità di lavoro e, al contempo, a rivolgere una nuova attenzione alla tutela della salute, anche psicologica dei lavoratori”, sottolinea Felice Torricelli, Presidente di ENPAP, l’Ente di Previdenza degli Psicologi, impegnato da mesi in un incessante lavoro di divulgazione dell’utilità della Psicologia del Lavoro per migliorare l’efficienza delle aziende e la qualità della vita dei lavoratori, soprattutto in questo periodo di stravolgimenti continui e massivi.
 
“La qualità di vita e di lavoro dopo il Coronavirus richiederà attenzioni particolari di cui occorre essere consapevoli” sottolineano in coro gli Psicologi del lavoro Antonia BallottinAlberto Crescentini Franco Amore, tutti e tre membri della SIPLO (Società italiana di Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni) e collaboratori del Tavolo Tecnico sulla sicurezza sul Lavoro di ENPAP. Il cambiamento nell’organizzazione del lavoro ha, infatti, effetti in maniera diretta e indiretta sulla salute dei lavoratori e con i cambiamenti, non sempre desiderati, il mondo del lavoro dovrà fare pesantemente i conti nei prossimi mesi.
 
“L’introduzione di nuove modalità lavorative, ad esempio per attivazione dello smart working o per inserimento del lavoratore in funzioni differenti dalle precedenti, richiede un tempo di adattamento che non può essere trascurato e la stessa sovrapposizione di diversi cambiamenti contemporaneamente può essere una fonte di difficolta in sé. È quindi importante favorire il più possibile l’incontro tra i bisogni dell’azienda e le richieste individuali: questo favorisce una miglior gestione del cambiamento”, premette Alberto Crescentini. 
 
“Allo stesso tempo lavorare da casa per l’attivazione del lavoro agile, in solitudine per il distanziamento sociale, con nuovi colleghi nei casi di cambio mansione oppure cambiare orario di lavoro per l’introduzione dello scaglionamento in entrata e in uscita o restare in cassa integrazione per periodi più o meno lunghi possono favorire una sorta di disorientamento, e richiedono particolare attenzione alla comunicazione e al coinvolgimento delle persone”.
 
“Ogni cambiamento può avere effetti diretti e indiretti sulla salute dei collaboratori”, evidenzia Antonia Ballottin: “A maggior ragione, bisognerà lavorare sui timori e sulle difficoltà di chi è maggiormente esposto a rischio di contagio per questioni anagrafiche, per essere immunodepresso, per avere comorbilità che comportano un maggior rischio di contagio rispetto ad altri, per esempio. All’interno di questa cornice le persone che si sono seriamente ammalate di Covid sono da considerarsi lavoratori particolarmente fragili e richiedono una speciale attenzione anche dopo la riammissione al lavoro, visto che possono emergere problemi di memoria e di concentrazione anche a distanza dal rientro al lavoro, così come possono presentarsi di cali di memoria e di concentrazione o altre difficoltà ad eseguire le abituali mansioni lavorative. In queste condizioni il lavoratore ha necessità dell’ausilio di un percorso di rieducazione anche psicologica per tornare ai livelli precedenti di performance”.
 
Inoltre, i tre esperti sottolineano che l’epidemia ha avuto un forte impatto sulla popolazione anche dal punto di vista psichico: problemi riconducibili alla sindrome post traumatica da stress (PTSD) e altri disturbi psicologici possono essere assenti al momento del rientro al lavoro, ma comparire a distanza di tempo. La condizione di questi lavoratori può comprendere anche l’attivazione, ad esempio, di stati ansiosi o depressivi, che possono esitare in comportamenti disadattivi nella cura di se stessi o nel reinserimento lavorativo.
 
“Per questo è impostante valutare la presenza di eventuali disfunzioni psicologiche, con particolare attenzione alla capacità di gestione dello stress e a quegli aspetti delle prestazioni psicologiche che possono incidere sfavorevolmente sulla sicurezza, oltre che sulla produttività. Bisognerà prevedere una valutazione specifica, un supporto e un monitoraggio dei sintomi riferibili alla sindrome post-traumatica da stress e alle altre ricadute psicologiche di questa pandemia", aggiunge Franco Amore. “L’evoluzione dei compiti lavorativi, le trasformazioni contrattuali, l’innalzamento dell’età media del personale, la diffusione della psicopatologia con ricadute nei luoghi di lavoro forniscono il sostrato sul quale si possono appoggiare le conseguenze dell’attuale disagio emotivo. Una attenzione mirata in questo ambito è indispensabile a tutela di tutti i lavoratori e può divenire un valido spunto di partenza per la promozione della salute e sicurezza negli ambienti di lavoro”.

19 giugno 2020
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