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Covid. Inail: “Contagio sul lavoro è comunque infortunio anche se l’operatore sanitario aveva rifiutato la vaccinazione”

di Domenico Della Porta

Lo chiarisce una nota della Direzione Centrale dei Rapporti Assicurativi dell’Inail inviata qualche giorno fa alla direzione regionale dell’Istituto della Liguria in merito al caso di alcuni infermieri che avevano rifiutato di sottoporsi al vaccino e poi si erano contagiati. LA NOTA INAIL

03 MAR - "Il rifiuto di vaccinarsi, configurandosi come esercizio della libertà di scelta del singolo individuo rispetto ad un trattamento sanitario, ancorchè fortemente
raccomandato dalle autorità, non può costituire una ulteriore condizione a cui subordinare la tutela assicurativa dell’infortunato.
Resta inteso comunque che ciò non comporta l’automatica ammissione a tutela del lavoratore che abbia contratto il contagio e non si sia sottoposto alla profilassi vaccinale in quanto, come precisato nella circolare n. 13/2020, occorre comunque accertare concretamente la riconduzione dell’evento infortunistico all’occasione di lavoro".
 
Lo chiarisce una nota della Direzione Centrale dei Rapporti Assicurativi dell’Inail inviata qualche giorno fa alla direzione regionale dell’Istituto della Liguria in merito al caso di alcuni infermieri che avevano rifiutato di sottoporsi al vaccino e poi si erano contagiati.
 
In questo modo vengono salvaguardati anche i no vax del comparto sanità, purché sia dimostrato che il contagio sia avvenuto in occasione di lavoro, senza ovviamente avviare alcuna contestazione ai datori di lavoro che con attenzione e sensibilità hanno messo a disposizione i vaccini quale strumento di prevenzione. Ovviamente per tali operatori c’è l’obbligo della sottoscrizione del loro diniego.
 
Purtroppo il successivo ricollocamento di questi lavoratori della sanità assolutamente non è un’operazione di facile attuazione.

 
Nelle sue Faq il Garante della Privacy ha comunque sottolineato che “in attesa di un intervento del legislatore nazionale che, nel quadro della situazione epidemiologica in atto e sulla base delle evidenze scientifiche, valuti se porre la vaccinazione anti Covid-19 come requisito per lo svolgimento di determinate professioni, attività lavorative e mansioni, allo stato, nei casi di esposizione diretta ad “agenti biologici” durante il lavoro, come nel contesto sanitario che comporta livelli di rischio elevati per i lavoratori e per i pazienti, trovano applicazione le “misure speciali di protezione” previste per taluni ambienti lavorativi (art. 279 nell’ambito del Titolo X del d.lgs. n. 81/2008)”.
 
“In tale quadro - prosegue il Garante - solo il medico competente, nella sua funzione di raccordo tra il sistema sanitario nazionale/locale e lo specifico contesto lavorativo e nel rispetto delle indicazioni fornite dalle autorità sanitarie anche in merito all’efficacia e all’affidabilità medico-scientifica del vaccino, può trattare i dati personali relativi alla vaccinazione dei dipendenti e, se del caso, tenerne conto in sede di valutazione dell’idoneità alla mansione specifica. Il datore di lavoro dovrà invece limitarsi ad attuare le misure indicate dal medico competente nei casi di giudizio di parziale o temporanea inidoneità alla mansione cui è adibito il lavoratore (art. 279, 41 e 42 del d.lgs. n.81/2008).”
 
Nel nostro Paese le vaccinazioni obbligatorie sono contro la difterite (1939), contro il tetano (1963-1981), contro la poliomielite (1966), contro l’epatite virale B (1991), contro la tubercolosi (2000), contro la pertosse, la poliomielite, l’epatite B, l’Haemophilus influenzae tipo b, il morbillo, la parotite, la rosolia e la varicella, oltre che ancora contro epatite B, difterite e tetano (2017).
 
A tutt’oggi, però, nessuna norma ha reso obbligatoria la vaccinazione contro il Covid-19; né avrebbe evidentemente potuto fino alla fine del 2020, avendo il vaccino stesso incominciato a essere disponibile soltanto dall’inizio del 2021, e ancora in quantità assai limitate.
 
Di fronte al parere dell’Autorità Privacy i primi ad essere coinvolti sono i Medici Competenti che operano nel comparto sanità, chiamati a gestire una situazione di estrema difficoltà legata soprattutto alla formulazione del giudizio di idoneità o inidoneità parziale e/o temporanea con prescrizione o meno di DPI, o addirittura di non idoneità, quando quest’ultimo sarebbe legato alla esecuzione o meno della vaccinazione anti-Covid.
A tale documento è legata la conferma o meno dell’attività lavorativa nel servizio o unità operativa per la quale si è assunti.
 
In una nota dell’ANMA, Associazione Nazionale Medici d’Azienda, pubblicata a fine febbraio, viene tra l’altro, rafforzata la richiesta del Garante, sottolineando che: “È necessario ed urgente colmare un vuoto legislativo: il Governo assieme all’Autorità Sanitaria definisca gli ambiti di obbligatorietà delle vaccinazioni o, se non ritiene di intervenire sull’obbligatorietà, definisca con chiarezza le conseguenze del rifiuto di vaccinarsi, così come con necessaria durezza ha disposto limitazioni e lock down per la popolazione.”
 
“L’eventuale ricollocazione del personale sanitario non è affatto semplice, dice Giuseppe Matarazzo, vice presidente nazionale ANMDO (Associazione Nazionale Medici Direzioni Ospedaliere) delegato proprio alle questioni sindacali. La non idoneità (improvvisa in quanto non si conosce la patologia che l’ha generata, per obblighi di privacy, come sottolineato anche dal parere dello stesso Garante e quindi se legata o meno al diniego della vaccinazione anti-Covid) mette in seria difficoltà l’intera organizzazione ospedaliera o di ASL.
 
Se ci trovassimo di fonte a grossi numeri di “non inidonei a condizione di non avere contatti con personale o degenti” aggiunge il direttore sanitario, non sapremmo veramente dove assegnarli, in quanto occorre comunque rispettare la mansione per la quale sono stati assunti”
 
Abbiamo spulciato alcuni documenti organizzativi di altrettante Aziende Ospedaliere e Sanitarie locali rendendoci conto che le postazioni lavorative senza “contatti con personale e degenti” non superano due o tre unità e che le stesse sono presenti esclusivamente nel settore amministrativo, come, per esempio il protocollo generale senza accesso di pubblico o dipendenti, munito di uno sportello fisso divisorio, o, l’archivio storico di documenti e cartelle cliniche con richiesta, da remoto, con email, degli atti.
 
Non dimentichiamo, poi, coloro, (sicuramente pochissimi) che operano nei reparti covid, dove si sa, i ritmi di lavoro sono molto alti e la fatica si fa sentire e quindi non è da escludere che possano aver voluto utilizzare un «no» al vaccino per cambiare mansione.
 
Ci sono però anche delle realtà positive. “L’adesione alla campagna vaccinale per gli operatori sanitari, è molto alta in Campania, precisa Mario Iervolino, Presidente Regionale di Federsanità ANCI. Quelli che ancora non hanno deciso di vaccinarsi, dice il Direttore Generale, lo fanno perché in attesa o di vaccini monodose o di ulteriori dati scientifici. Anche da parte dei medici di famiglia e dei pediatri di libera scelta la risposta è stata unanime”.
 
Domenico Della Porta
Presidente Osservatorio Malattie Occupazionali e Ambientali Università degli Studi di Salerno


03 marzo 2021
© Riproduzione riservata

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