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“Signora, sta prendendo i farmaci?”. Promemoria al telefono e postazioni di teleconsulto nella rivoluzione della Asl di Latina per la presa in carico dei pazienti cronici. Ce ne parla il Dg Casati

Poltrone tecnologiche per chiedere consulenze, squadre multidisciplinari e un sistema di tracciabilità di ogni visita, esame e prescrizione che permetta anche di accorgersi se un paziente non segue la terapia. Sono le armi che la Asl di Latina è pronta a sfoderare già per la prossima primavera. La parola d’ordine: “Abbattere le distanze”. Per migliorare la salute e dare un taglio all’inappropriatezza. LA SCHEDA

17 DIC - Cresce anche a Latina la quota di popolazione over 65. Gli abitanti appartenenti a fascia di età sono diventati in poco più di trent’anni dai 42.550 mila del 1982 ai 116.500 del 2016. Una realtà che impatta in modo determinante sulla prevalenza delle patologie croniche. Già oggi, circa il 40% della popolazione della Provincia di Latina è affetto da una patologia cronica e circa il 20% da due o più patologie croniche. E già oggi è evidente come ad utilizzare il sistema ospedaliero e la specialistica ambulatoriale siano in buona parte loro (vedi tabella). Di fronte a questi dati diventa evidente come un sistema sanitario come quello attuale sia difficilmente sostenibile, oltre che poco appropriato a rispondere ai bisogni di salute e di benessere della popolazione.


La Asl di Latina è pronta a partire con le proprie risposte. Già dalla prossima primavera saranno infatti attivi nuovi sistemi e nuovi servizi che promettono anzitutto di “abbattere le distanze”. E, di conseguenza, di curare il paziente il più possibile a domicilio e nella propria area di residenza. Mettendo così la parola fine al ricorso inappropriato all’ospedale e al Pronto Soccorso ma, soprattutto, garantendo migliori livelli di assistenza e salute ai pazienti.

I dettagli del progetto di presa in carico dei pazienti cronici sono illustrati in una scheda. In questa intervista il Direttore generale della Asl di Latina, Giorgio Casati, ce ne illustra i dettagli.

Direttore Casati, la vostra parola d’ordine è “abbattere le distanze”. Questo significa garantire un’assistenza vicina ai cittadini. Di conseguenza anche decongestionare ospedali e Pronto Soccorsi?
Sicuramente. E questo è possibile sono affrontando in modo complessivo e strutturato il problema. Vanno offerte al cittadino risposte di salute non solo alternative ma anche corrette. Nell’ambito delle cronicità, poi, è possibile fare molto per evitare che i cittadini finiscano per avere la necessità di ricorrere al Pronto Soccorso e all’ospedale. La questione è non soltanto quella di creare strutture intermedie, che già ci sono e tutto sommato funzionano. Significa creare un sistema in grado di insegnare al cittadino a prendersi cura di sé.

Ci sono malattie croniche che sono subdole. I pazienti cronici non sono solo anziani o quelli in condizioni di non autosufficienza. Sono anche persone che apparentemente stanno bene. Il diabete, ad esempio, può permettere di condurre una vita normale ma, se trascurato, può manifestarsi con episodi gravi che richiedono, in molte occasioni, il ricorso del Pronto soccorso.

I pazienti cronici nel nostro territorio sono numerosi. E i dati dimostrano il peso che hanno sull’assistenza ospedaliera. Una gestione corretta di questi pazienti non è una questione irrilevante.

Quali sono attualmente le debolezze dell’assistenza ai malati cronici?
I pazienti cronici devono seguire delle terapie. Devono tenere sotto controllo il loro stato di salute e non sottovalutare i segnali. Devono svolgere sistematicamente visite di controllo e fare esami. Essere quindi seguiti con continuità. Dal medico di famiglia, sicuramente. Ma per un’assistenza che funzioni davvero, i pazienti cronici devono avere al loro fianco anche altre figure professionali nonché l’intero sistema. Oggi tutto questo non c'è. Il sistema, addirittura, sembra che i pazienti li respinga. I processi burocratici sono complessi o lunghi in termini di tempo speso. Il sistema non si parla, neanche i medici interagiscono. Questo rappresenta un ostacolo al processo di cura.
Noi vogliamo semplificare parte della burocrazia, ad esempio il passaggio dal medico di medicina generale per rinnovare la prescrizione delle ricette o quello al Cup per prenotare le visite. Il nostro progetto, inoltre, prevede la creazione di un sistema e di figure professionali in grado di rappresentare per i pazienti un vero e proprio punto di riferimento, addirittura dei tutor.

Chi saranno questi tutor?
Questo ruolo sarà affidato soprattutto agli infermieri, che seguiranno i pazienti per educarli a prendersi cura della propria salute e per intercettare le eventuali criticità. Avranno anche il compito di contattare il paziente telefonicamente per ricordargli, ad esempio, di fare una visita o per capire cosa sta succedendo nel caso venga rilevato che non sta assumendo i farmaci.

Come faranno gli infermieri a capire che un paziente non sta assumendo i farmaci?
Le ricette mediche saranno tracciate. Se si nota, ad esempio, che un paziente non rinnova da troppo tempo una prescrizione, questo può significare che il paziente non ha bisogno di farmaci perché non li sta assumendo. A quel punto l’infermiere contatterà il paziente per approfondire la siturazione.

Il vostro progetto prevede anche l’attivazione di sedi di teleconsulto.
Le postazioni, che saranno gestiste dai medici specialisti, saranno attivate nelle aree più distanti dagli ospedali, quindi nelle isole di Ponza e Ventotene, a Minturno e Cori. Queste postazioni saranno dotate di tecnologie in grado di connettere una serie di dispositivi digitali, ad esempio il Poct per gli esami di laboratorio, l'elettrocardiogramma, la spirometria e l'ecografia.

Queste postazioni contribuiranno da una parte a creare la cartella digitale del paziente, ma consentiranno anche la condivisione delle informazioni con il medico curante e gli specialisti degli ospedali di Latina e Formia, dove stiamo organizzando le due postazioni di videoconferenza.

Da queste postazioni, dotate di telecamere, sarà possibile vedere anche fisicamente il paziente e partecipare a una visita in videoconferenza.

Anche i medici di famiglia saranno dotati di nuove tecnologie avanzate?
Non in questa prima fase. La tecnologia è uno strumento molto importante, che consente di abbattere le distanze, ma ha dei costi e deve essere usato in modo appropriato. Dobbiamo prima creare le condizioni perché tutti i medici entrino in confidenza con l’uso di queste tecnologie e siano formati a questo scopo, dopo di che sarà possibile ampliare il progetto introducendo nuovi dispositivi.
I medici di famiglia saranno chiamati intanto a interfacciarsi con la piattaforma che traccerà tutte le informazioni sul paziente e ad interagire con il team multidisciplinare, compresi gli specialisti delle postazioni di teleconsulto.
Prima di fare ulteriori passi, dobbiamo assicurarci che questa prima fase funzioni.

Medici di famiglia e specialisti devono fare squadra?
La squadra deve comprendere tutte le figure del sistema, anche i cittadini. C’è tanto lavoro da fare in questo senso. Oggi i pazienti fanno spesso da interfaccia tra il medico di medicina generale e lo specialista. Ma durante questo trasferimento di informazioni possono nascere equivoci. Possono essere dimenticati dati importanti. A volte sembra addirittura che un medico dia opinioni contrastanti con un altro. Tutto ciò mina la fiducia dei pazienti nei medici, ma anche la fiducia tra colleghi. Un problema spesso legato solo alla mancanza di un confronto diretto. I medici devono parlarsi.

Quello che ci ha descritto finora è un’agenda di impegni o la Asl è già in grado di renderlo realtà?
Saremo in grado di essere operativi su un tutto nel giro di pochi mesi. In primavera, secondo il programma.
Avvieremo anche una campagna di comunicazione rivolta ai pazienti, che devono essere resi edotti dei cambiamenti in quanto saranno chiamati ad esserne protagonisti.

Che risultati vi aspettate?
Importanti, in termini di salute ma anche di migliore utilizzo delle risorse del sistema. A livello di risparmi i risultati saranno più evidenti negli anni, ma se già nel 2019 riusciremo a recuperare anche una piccola quota, daremo un segnale importante e dimostreremo che il modello funziona.
 
Lucia Conti

17 dicembre 2018
© Riproduzione riservata

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