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Il Covid, la variante Omicron e gli animali

di Giovanni Di Guardo

30 NOV - Gentile Direttore,
per quanto l'origine dell'agente responsabile della Covid19 - il betacoronavirus Sars-CoV-2 - non risulti a oggi incontrovertibilmente accertata, numerosi e rilevanti sarebbero tuttavia gli indizi a supporto della sua genesi da una o più specie animali. Il "salto di specie", alias "spillover", accomunerebbe altreì buona parte degli agenti eziologici delle cosiddette "malattie infettive emergenti", che in almeno il 70% dei casi trarrebbero la propria d'origine dal mondo animale.

E, mentre si fa via via più esiguo il numero delle lettere dell'alfabeto greco non ancora utilizzate per designare le "varianti" "(variants of concern" e "variants of interest") di Sars-CoV-2 sin qui identificate, si accresce progressivamente il numero delle specie animali naturalmente e/o sperimentalmente suscettibili nei confronti dell'infezione.
 
In alcune di queste, quali gatto, cane e cervo a coda bianca, è stata parimenti dimostrata la presenza di varianti (quali ad esempio la "alfa", la "B.1.2" e la "B.1.311") acquisite con ogni probabilità da nostri conspecifici Sars-CoV-2-infetti, mentre negli allevamenti intensivi di visoni olandesi e danesi si sarebbe selezionata, oltre un anno fa, la variante "cluster 5", che dai visoni stessi sarebbe stata quindi ritrasmessa all'uomo.
 
In un siffatto contesto, appare più che giustificato l'allarme destato dalla recente identificazione della variante "omicron" (alias "B.1.1.529") in Sudafrica e nei Paesi limitrofi, atteso che la sua capacità di propagarsi nella specie umana - apparentemente superiore a quella della variante "delta" - conseguirebbe al rilevante numero di mutazioni (almeno 32) accumulate a livello della proteina "Spike" (S) l'uncino/il gancio che SARS-CoV-2 usa appunto per entrare nelle nostre cellule. E, come ben si sa, più il virus replica - cosa che si verifica in larghissima misura nella popolazione non vaccinata -, più lo stesso soggiacera' nel tempo a mutazioni del proprio genoma, con particolare (ma non esclusivo) riferimento al gene codificante per la glicoproteina S.

In un simile scenario sarebbe a dir poco riduttivo, è bene sottolinearlo, considerare l'uomo come "unico attore" coinvolto nelle complesse quanto intricate dinamiche d'interazione virus-ospite, che risultano a tutt'oggi ben lungi dall'esser pienamente comprese.

Giovanni Di Guardo
Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria all'Università di Teramo 


30 novembre 2021
© Riproduzione riservata

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