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La crisi del Mmg spiegata in cinque fasi

di Giuseppe Belleri

22 GIU -

Gentile Direttore,
il medico di medicina generale (MMG) vive dall’inizio del secolo un periodo di disagio che si manifesta con un clima emotivo collettivo caratterizzato un un mix di risentimento, demotivazione e rassegnazione per una perdita di ruolo che ha radici socioculturali, per alcune tendenze così schematizzabili.

1. L’evoluzione della medidina è guidata dalla suddivisione in sottosistemi che spinge verso una crescente divisione del lavoro, nel tentativo di affrontare e ridurre la complessità biologica e ecosostemica con una speculare segmentazione del sapere e delle pratiche.

La proliferazione delle specializzazion fa sì che "la risposta specialistica tende sempre a prevalere su quella a minore differenziazione" (Ardigò, 1990) con intuibili risvolti sul triangolo relazionale paziente-MMG-specialista. La differenziazione funzionale comporta il rischio di divaricazione tra pratiche ospedaliere in acuto e gestione olistica della cronicità sul territorio (Asioli, 2019). Con questa chiave interpretativa si può leggere il profilo “residuale” del MMG, non specialista per eccellenza, proposto alla stregua di un passivo impiegato esecutivo.


2. Il paradigma di semplificazione costituisce lo sfondo culturale delle tendenze sopradescritte (Morin, 1993). Due sono i suoi pilastri: il principio di disgiunzione e quello di riduzione. Per conoscere un oggetto occorre innanzi tutto disgiungerlo, separarlo rispetto all’ambiente: la conoscenza è tanto più solida quanto più è decontestualizzata e standardizzata mentre la varietà, unicità e complessità delle relazioni sono fattori di disturbo per il dispiegarsi della razionalità tecnica (Schoen, 1994).

Secondo il principio di riduzione per conoscere un aggregato di parti è sufficiente la conoscenza approfondita dei suoi costituenti elementari dai quali si può dedurre il comportamento del tutto. Nella storia della medicina questi principi hanno ispirato lo sviluppo dell’assistenza ospedaliera, dove avviene la separazione tra malato e ambiente di vita, funzionale alla conoscenza e all’efficacia delle cure, mediate dall’interpretazione fisiopatologica a livello d’organo, tissutale o delle strutture molecolari. 

3. Lo sviluppo tecno-scientifico spinge lo professione verso una segmentazione attorno a specifiche tecniche diagnostiche e/o terapeutiche (Ardigo, Mazzoli,1994) che emargina il generalista, per sua natura non-specialista con una vocazione all’approccio olistico, biopsicosociale e culturale.

Nel contempo la definizione positiva di salute dell’OMS del 1948, in sostituzione di quella negativa come assenza di malattia, ha alimentato le attese di un benessere globale a fronte di un’offerta pubblica alla prese con la crisi del bilancio statale, che sfociava in razionamento implicito a base di ticket moderatori, allungamento delle liste d’attesa e ricorso al mercato privato diagnostico e farmaceutico.

Il continuo rilancio dell’offerta del mercato induce altra domanda in un circolo di autoamplificazione, per un mix di motivazioni difensive e medicalizzazione mediata (Domenighetti 2007, p. 114-117):
- dalla revisione al ribasso delle soglie dei parametri biologici che definiscono “il patologico” con proliferazione dei rischi;

- dalla generalizzazione delle diagnosi precoci percepite dalla popolazione come sinonimo di guarigione;

- dall’attribuzione dello statuto di “malattia” a condizioni che fanno parte del normale processo biologico della vita (disease mongering);

- dalla promozione di aspettative di efficacia verso l’impresa medica che vanno al di là di ogni ragionevole evidenza scientifica.

4. La diffusione del Web ha ridotto l’asimmetria informativa tra medico e paziente in proporzione alla disintermediazione offerta dalla rete e al tramonto del paternalismo. Ciò si traduce, da un lato in maggiore autonomia del paziente divenuto “esigente” e rivendicativo, fino all’uso strumentale della revoca, e dall’altro in aspettative di efficacia che favoriscono il by-pass delle cure primarie a favore di risposte specialistiche. In modo complementare l’autonomia decisionale del medico è condizionata dalla cosiddetta “medicina amministrata”, fatta di vincoli normativi e prescrittivi per il controllo della spesa sanitaria. 

5. Infine sul versante macro-sistemico si sono intensificate le interferenze dei due contropoteri che hanno controbilanciato la tradizionale autonomia/dominanza medicina: da un lato l’economia liberista e mercantile, rappresentata dalle assicurazioni private e della grandi organizzazioni for profit, e dall’altro la deriva burocratico-manageriale della "medicina amministrata" nei sistemi di welfare. Come ha osservato il sociologo della complessità Edgar Morin gli operatori sanitari sono “vittime sia di una politica neoliberista, che viene applicata dappertutto per privatizzare ed atrofizzare i servizi pubblici, sia di una gestione statale iperburocratizzata sottoposta sempre più alle pressioni di potenti lobby” (Morin 2020, p.45).

La risultante di queste concause è il declino dell’autorevolezza e dell'autonomia professionale in un contesto di diffuso malessere per il venir meno di un rapporto connotato da fiducia, deferenza e rispetto, che mina alle basi “la legittimazione stessa della biomedicina quale modalità esclusiva di erogazione delle cure sanitarie” (Giarelli, 2000); nel fenomeno estremo del “medico usa e getta” si manifesta una medicina liquida caratterizzata instabilità della relazione di cura, sottoposta a crescenti tensioni o aperti conflitti che fiaccano motivazioni e dedizione professionale fino alla defezione di massa.

Giuseppe Belleri
Mmg in pensione



22 giugno 2022
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