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Il taglio dei posti letto e degli ospedali: un mito pericoloso

di Claudio Maria Maffei

13 SET -

Gentile Direttore,
strano fenomeno quello degli ospedali in Italia: si è passati rapidamente dalla lotta contro il cosiddetto ospedalocentrismo, e quindi dalla intenzione di ridurre il peso eccessivo degli ospedali, alla retorica del taglio dei posti letto e degli ospedali, ormai ritornello ricorrente e spesso acritico di chi attribuisce la crisi del Servizio Sanitario Nazionale al taglio delle risorse: finanziamento e  personale (e fino a qui non ci piove, come si dice), ma anche posti letto e ospedali, il che è invece tutto da dimostrare.  

Tra gli interventi con questo taglio ne segnalo per la loro esemplarità due comparsi qui su Quotidiano Sanità. Il primo è un recente documento della Federazione CIMO-Fesmed, sindacato della dirigenza medica.

Ecco come inizia: “Impossibile non iniziare lo studio dai tagli che recentemente hanno riguardato le strutture sanitarie. Tra il 2010 ed il 2020, in Italia hanno chiuso i battenti 11 aziende ospedaliere, 100 ospedali a gestione diretta, 113 pronto soccorso (di cui 10 pediatrici) e sono state disattivate 85 unità mobili di rianimazione. Chiusure che hanno implicato la perdita di quasi 37mila posti letto, 28mila dei quali ordinari e quasi 10mila di day hospital: ma se i posti letto nelle strutture pubbliche sono stati drasticamente tagliati (-38.684), quelli nelle strutture private sono aumentati (+1.747).” Quanto al DM 70 il Documento afferma che “il DM 70/2015 affonda le proprie radici sul rapporto tra volumi di attività, esiti delle cure e numerosità delle tecnologie: più si tagliano strutture, più si riduce l’offerta sanitaria e, quindi, più si comprimono i volumi e più si interviene per tagliare ulteriormente strutture e attività.

Il secondo, recentissimo, è quello di Francesco Cognetti, che scrive di avere chiesto come Forum delle Società Scientifiche dei Clinici Ospedalieri e Universitari Italiani (FoSSC) “la completa revisione dei parametri organizzativi degli ospedali sanciti con il Decreto Ministeriale 70 (DM 70 del 2 aprile 2015). Il numero di posti letto di degenza ordinaria deve crescere ben oltre i 350 per 100.000 abitanti odierni (22° posizione del nostro Paese in Europa) fino a raggiungere almeno la media europea di 500. Anche il numero di posti letto di terapia intensiva deve superare i 14 posti letto, peraltro rimasti sulla carta e mai raggiunti, per raggiungere almeno i 25 per 100.000 abitanti.

Oltre che esemplari queste posizioni sono autorevoli venendo da un sindacato così rappresentativo del mondo medico come la Federazione CIMO-Fesmed e dal portavoce di un Forum che esprime il punto di vista di clinici appartenenti a diverse decine di Società Scientifiche.

Purtroppo queste posizioni su natura ed effetti del taglio di taglio di posti letto e ospedali si riferiscono a dati esaminati in modo parziale e sommario arrivando a conclusioni sbagliate e a mio parere pericolose, e cioè il rilancio “quantitativo” della assistenza ospedaliera e, ovviamente, la messa in discussione del “famigerato” DM 70.

Con altrettanta autorevolezza, ma con una lettura molto più completa e attenta dei dati, il Rapporto OASI (Osservatorio sule Aziende e sul Sistema Sanitario Italiano) 2021 del Cergas (Centro di Ricerche sulla Gestione della Assistenza Sanitaria e Sociale) della Università Bocconi ha dedicato un capitolo (il nono) alla “Configurazione dell’offerta ospedaliera nazionale: dinamiche evolutive e rimodulazioni delle principali specialità medico-chirurgiche” arrivando a conclusioni molto diverse che rilanciano di fatto le indicazioni del DM 70 adattandole alle criticità emerse dalla pandemia.

Prima di riportare quanto emerge da quel Capitolo vorrei prima togliere un po’ di peso alla rituale affermazione secondo cui i posti letto ospedalieri in Italia sarebbero “oggettivamente” pochi in base al confronto con gli altri paesi europei.


Pochi ricordano che i dati,  riportati ad esempio qui, evidenziano che ci sono Paesi “civilissimi” che di posti letto ne hanno meno di noi come Paesi Bassi, Spagna, Irlanda, Danimarca e Svezia. Ma soprattutto quasi nessuno si è accorto che nel 2019 (dati del già citato capitolo del Rapporto OASI 2021) il tasso di occupazione dei “nostri” letti era stato “solo” dell’83% con una forte differenza tra le discipline di area chirurgica (dove era stato più basso), quelle di area medica (dove era stato più alto) e le terapie intensive (dove era stato bassissimo, addirittura del 40%).

E adesso torniamo al Rapporto OASI 2021. Esso è ricchissimo di dati, spunti di riflessione e proposte e la sua lettura è altamente raccomandata a chiunque voglia parlare con consapevolezza della evoluzione del sistema ospedaliero all’interno del nostro Servizio Sanitario Nazionale.

Io ne farò qui una sintesi assumendomene ovviamente la responsabilità. Partiamo da uno stralcio relativo alla evoluzione della assistenza ospedaliera in Italia nel periodo pre-pandemico: “L’analisi delle dinamiche di offerta 2010-19 evidenzia alcune tendenze in linea con i desiderata del programmatore sanitario, come la riduzione di posti letto (in progressivo rallentamento), degli stabilimenti e dei reparti. Inoltre, è riscontrabile la crescita dimensionale degli stabilimenti rimasti attivi e la specializzazione dei piccoli ospedali, soprattutto privati, verso un numero minore di discipline… Alla vigilia della pandemia, però, emergono alcune rilevanti criticità meno universalmente note nel dibattito di politica sanitaria,  per le quali il grado di risposta del sistema appare meno maturo.”

Queste criticità secondo il rapporto OASI  erano: l’elevata saturazione dei reparti delle principali specialità mediche, l’utilizzo sub-ottimale dei reparti delle principali discipline chirurgiche, la ridotta dimensione media dei reparti, la difficoltà di accorpare o comunque diminuire le unità operative, soprattutto chirurgiche, in ospedali rimasti attivi e infine i rilevanti aumenti (oltre il 30%) dei volumi di alcune prestazioni  meritevoli di approfondimenti.

A proposito della numerosità dei reparti il Rapporto sottolinea che così diventa più difficile il completamento dei modelli Hub & Spoke che prevedono una suddivisone dei ruoli nella rete, e la concentrazione dei reparti e delle casistiche.

Il Rapporto OASI così concludeva questa analisi della situazione pre-pandemica: “L’analisi dei dati 2015-19 e gli approfondimenti regionali indicano che alcune risposte erano state avviate: un rallentamento della diminuzione di posti letto di Medicina Generale e un’accelerazione della riduzione dei PL di chirurgia generale; la concentrazione dei posti letto diurni ancora attivi nel sistema in reparti ad hoc, e in generale, la diffusione di esperienze di one day surgery e week surgery; il sempre maggiore spostamento sul territorio dei pazienti bedblockers con problematiche prevalentemente sub-acute indotte dalla cronicità, geriatriche e riabilitative.”

In pratica, dalla analisi dei dati il documento dei ricercatori della Bocconi ricava che il DM 70 nella sua applicazione concreta da parte delle Regioni tra il 2015 e il 2019, era stato solo avviato e non completato. Mai se ne deriva che si era tagliato “troppo”.

Ecco poi come l’impatto della pandemia ha influito sulla assistenza ospedaliera sempre secondo il rapporto OASI 2021: “Il periodo eccezionale del Covid-19 ha talvolta interrotto, in altri casi accelerato queste risposte. La tendenza a ridurre l’offerta chirurgica a favore di quella medica si è accentuata in maniera netta ma ovviamente scevra da qualsiasi programmazione di medio periodo, come del resto qualsiasi aumento di capacità erogativa per i pazienti Covid-19. Sicuramente, è maturata ancora la consapevolezza di dover filtrare l’accesso all’ospedale. Il modello Hub & Spoke è stato rafforzato con l’individuazione degli ospedali nodi delle reti tempo-dipendenti e dedicati al Covid. All’interno delle strutture, le tendenze alla multidisciplinarietà, integrazione multi-professionale e alle logiche per intensità di cura si sono rafforzate.”

 In sostanza, secondo il Rapporto OASI 2021, se in qualche modo il sistema ospedaliero italiano almeno in parte ha tenuto nel corso della pandemia lo di deve anche ai processi innescati dalla applicazione del DM 70.

Nelle conclusioni il Rapporto OASI 2021 indica alcune direttrici di evoluzione della assistenza ospedaliera post-Covid quali la costruzione di meccanismi per filtrare l’accesso ai reparti medici e favorire l’uscita dei pazienti stabilizzati,  un sempre maggiore sviluppo delle piattaforme basate sull’intensità di cura e la durata della degenza, la revisione delle piccole unità operative riguardanti le medicine e le chirurgie specialistiche e la possibilità di mantenere configurazioni Hub & Spokes differenti da quelle esistenti fino al 2019 nel caso in cui abbiano generato migliori outcome clinici nel periodo della pandemia e la revisione dei meccanismi e degli strumenti di committenza. Nessun richiamo all’aumento sic et simpliciter di posti letto e ospedali.

Aggiungo qualche mia personale osservazione finale. Ovviamente la pandemia ha evidenziato la esigenza di avere una disponibilità strutturale di posti letto aggiuntivi di area intensiva e semiintensiva, come del resto previsto dal DL 34/2020 e riconosciuto dal brogliaccio del “nuovo” DM 70 che qui su QS è stato commentato.

Ma tornare indietro rispetto alla riduzione mirata di posti letto sottoutilizzati o mal utilizzati sarebbe un grave errore. Ancor più grave sarebbe l’errore di non proseguire, là dove ce ne fosse bisogno ed esistessero le condizioni per praticarla, nella politica di riduzione del numero di ospedali e di unità operative.

La frammentazione delle strutture ospedaliere con la moltiplicazione dei punti di erogazione con una loro autonoma continuità assistenziale (guardie e pronte disponibilità) riduce l’attività programmata che viene spinta così verso le strutture private contrattualizzate assieme a pazienti e professionisti. Continuità assistenziale sempre più spesso garantita con il ricorso alle cooperative.

 Credo che si farà un bel passo in avanti quando si abbandoneranno le dispute ideologiche sul ruolo dell’ospedale e si guarderà ai dati come ha fatto con metodo e merito il rapporto OASI 2021.

Claudio Maria Maffei



13 settembre 2022
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