Gentile Direttore,
vorrei approfittare della sua cortese disponibilità per rispondere alla lettera dell’infermiera dott.ssa Agnese Testoni che ha discusso alcune mie considerazioni sulla gestione dei codici minori in PS. A proposito della distinzione tra categorizzazione numerica e cromatica al triage leggo nella nota del 2 maggio 2022 sul sito del ministero della salute che il nuovo schema di priorità e tempi di attesa “adotta un sistema di codifica a 5 codici numerici di priorità (da 1, che risulta il più grave, a 5, il meno grave). Le Regioni possono associare al codice numerico anche il codice colore”. Segue la tabella dei relativi tempi di attesa, con la corrispondenza uno a uno tra i due codici.
Dopo aver chiarito questo punto veniamo all’argomento principale e un po’ scontato della mia lettera, ovvero la necessità di accertamenti strumentali o consulenze specialistiche in presenza di codici apparentemente minori. Le situazioni più insidiose e gravide di incertezza riguardano i sintomi soggettivi, aspecifici e pregressi, che peraltro esulano dalle condizioni specifiche elencate nei protocolli di see and treat e fast track. Come noto la valutazione all’ingresso può variare in relazione all’evoluzione del caso, grazie alla cinematica bayesiana del giudizio probabilistico, per decisione dal medico o dell’infermiere e certamente la gamma di 5 codici migliora l’appropriatezza temporale ed organizzativa.
In oltre 40 anni di pratica e quasi altrettanti di studio, insegnamento/tutoraggio e riflessioni editoriali su presunti casi di malapratica ho maturato una convinzione: sintomi d’esordio lievi o transitori, con bassa probabilità a priori, possono comunque evocare il sospetto di una condizione acuta, ad esempio una SCA o un ictus, che può essere confermato o smentito solo a seguito di accertamenti diagnostici.
Per questo anche i codici minori vengono correttamente sottoposti di routine ad indagini e consulenze, come ha documentato la già citata ricerca svolta in Veneto nel 2016, al fine di valutare in modo appropriato situazioni sfumate o atipiche che destano perplessità nel medico inviante e a maggior ragione in caso di autopresentazione del cittadino. In tal modo l’operatore sanitario, coniugando ottica bayesiana e fallibilista, può rivedere la prima stima o l’iniziale “impressione” soggettiva, grazie al procedimento per tentativi ed errori. E’ sufficiente la “razionalità tecnica” a priori di un protocollo per affrontare la varietà, instabilità e complessità delle situazioni reali, rinunciando alle risorse diagnostiche?
Ma c’è di più: talvolta nemmeno con svariati accertamenti è agevole dissolvere l’incertezza. Lo dimostra una survey dell’ASL di Brescia sulla gestione dell’IMA in PS, nel periodo 2012-2016, dalla quale emergono dati abbastanza sorprendenti:
Un’indagine parallela sulla gestione dell’ictus ha documentato un’ancor più ampia gamma di presentazioni e sintomi soggettivi di difficile interpretazione, per oltre la metà non neurologici e alcuni dei quali potrebbero anche rientrare tra quelli elencati nei protocolli regionali di see and treat o fast track.
Come si può constatare in alcune circostanze nemmeno dopo un iter completo viene riconosciuta la totalità dei casi di IMA o ictus, a testimonianza della variabilità ed unicità delle presentazioni e dei possibili bias correlati ad un approccio standard che fa riferimento alle sole forme tipiche (euristica della rappresentatività e della disponibilità). L’ammonimento citato da Tommaso Grandi nel suo pregevole blog - “i medici d’urgenza non sono così esperti dei processi di pensiero, come pensano di essere” – potrebbe valere anche per altri operatori sanitari?
D’altra parte più di mezzo secolo fa il premio Nobel Herbert Simon metteva in guardia il decisore dai vincoli della sua razionalità limitata, mentre si deve ad un altro Nobel, Daniel Khaneman, la scoperta della natura inconsapevole, sistematica e fonte di errori degli innumerevoli bias descritti dai ricercatori, per via di “preconcetti che ricorrono in maniera prevedibile in particolari circostanze”.
Mi spiace per la dott.ssa Testoni ma malauguratamente temo che “seguire un protocollo ed essere guidati da un processo scientifico” non costituisca una garanzia assoluta verso il rischio clinico dal momento che, come afferma Olivier Sibony nel suo illuminante libro, “perfino quando siamo molto competenti e ben intenzionati, possiamo essere vittime dei nostri bias senza rendercene conto”.
Dott. Giuseppe Belleri