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Titolarità del servizio farmaceutico e titolarità della licenza di esercitarlo

di Francesco Palagiano

20 DIC - Gentile direttore,
il collega Marco Cetini, nel replicare al mio articolo “Farmacie. Il chiodo fisso delle liberalizzazioni”, contesta con proprietà, acutezza e corretti riferimenti legislativi, un’affermazione che io però NON ho fatto.

Il collega ritiene infatti che io abbia affermato che “le farmacie sono semplici concessionarie di una licenza la cui titolarità è dello Stato”, tant’è che cita questa frase racchiudendola tra virgolette.
Io ho invece scritto che “le farmacie sono semplici concessionarie di una licenza di esercizio la cui titolarità è dello Stato”, intendendo con la parola ‘esercizio’ l’esercizio del Servizio Farmaceutico.

La differenza è sostanziale. Cetini ha creduto che io facessi riferimento alla titolarità delle licenze: io invece facevo riferimento alla titolarità del Servizio Farmaceutico. Cercherò quindi di spiegarmi meglio.

A mio avviso, il Legislatore ha previsto che lo Stato conservi la titolarità del Servizio Farmaceutico, in quanto ritiene la materia particolarmente delicata, meritevole di tutele speciali. Tale servizio viene espletato alle farmacie convenzionate per conto dello Stato, a seguito del conseguimento di una licenza, che è revocabile in caso di indegnità. La revoca della licenza, provocando la chiusura della farmacia, interdice il farmacista che la subisce dalla dispensazione di tutti i farmaci più delicati, quelli per cui è prevista la ricetta medica (ripetibile, non ripetibile, ecc), non lo fa decadere solo dalla convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale, impedendogli di accettare ricette Ssn.

Al contrario, non lo interdice dalla dispensazione dei farmaci più sicuri, i cosiddetti OTC e SOP, in quanto il farmacista a cui sia stata revocata la titolarità della licenza di farmacia può tranquillamente aprire una parafarmacia, attività che non richiede il rilascio od in conseguimento di alcuna licenza.

È invece pacifico che la titolarità della licenza d’esercizio, una volta che essa sia stata concessa, sia interamente in capo alla singolo farmacista titolare di licenza, tant’è che egli (come giustamente argomenta il collega Cetini, citando i relativi riferimenti legislativi) può cederla,lasciarla in eredità, conferirla a Società, ecc. Essa però rimane una licenza revocabile in caso di indegnità, per cui il reale titolare del Servizio Farmaceutico è lo Stato, che può assegnare la licenza revocata ad altro farmacista più meritevole.

Il vero problema è che lo Stato ha utilizzato negli anni troppo di rado tale potere di revoca, anche in casi eclatanti, per cui dentro e fuori la nostra categoria professionale si è persa la cognizione del vero rapporto che lega le farmacie e lo Stato.

Recentemente, però, qualcosa sta cambiando. A Roma, lo scorso agosto sono state revocate le licenze a due farmacie, coinvolte in una truffa ai danni del Ssn, in base all’art. 113 del Testo Unico delle Leggi Sanitarie di cui al RD 1265 del 1934, che prevede la decadenza dalla licenza d’esercizio di farmacia in caso di “ costata, reiterata o abituale negligenza e irregolarità nell’esercizio della farmacia, o per altri fatti imputabili al titolare autorizzato, dai quali sia derivato grave danno alla incolumità individuale o alla salute pubblica”.

Le farmacie si erano rese responsabili di una grossa truffa ai danni del Ssn, ma l’irregolarità contestata non è stata solo questa: è stata anche e soprattutto l’aver accettato e spedito, nell’ambito del comportamento truffaldino, ricette totalmente illeggibili, mettendo in essere un comportamento professionalmente pericoloso, perché presuppone il dispregio della funzione di controllo della corretta dispensazione dei farmaci che richiedono la presentazione di ricetta medica. La decadenza è stata poi confermata dal TAR e poi dal Consiglio di Stato (ordinanza del 6 ottobre 2012), giustificandola non con la truffa e del danno economico allo Stato, ma con “l’inescusabile negligenza di aver accettato e spedito migliaia di ricette riportanti nomi di pazienti scritti in modo illeggibile”.

L’approvazione’articolo 11-bis del Decreto Balduzzi, che ho citato nel mio articolo, va nella stessa direzione: impedendo la vendibilità del titolo di farmacia in caso di condanna in primo grado, la misura citata favorisce la decadenza, dalla titolarità della licenza di farmacia, del farmacista che si renda responsabile di  truffa ai danni dello Stato, in quanto tale comportamento fa venire a mancare quel rapporto fiduciario tra il Titolare del Servizio (lo Stato) e il licenziatario (la Farmacia). La sanzione prevista dal Legislatore non è la perdita della Convenzione con il SSN, bensì la decadenza dalla licenza di farmacia, con conseguente espulsione dal sistema. Mi auguro che si continui su questa strada, anche introducendo nuove misure che facilitino la decadenza e la conseguente “pulizia” all’interno della categoria dei titolari di licenza di farmacia, in cui c’è senz’altro qualche mela marcia di troppo, che ha reso un pessimo servizio all’immagine generale della nostra professione.

Del resto, solo un rapporto molto stretto tra Stato e farmacie licenziatarie, che svolgono il Servizio Farmaceutico in nome e per conto dello Stato, può giustificare alcuni gravosi compiti che le farmacie sono tenute a svolgere. Per esempio, l’obbligo di garantire il servizio notturno e di reperibilità nello spacco pomeridiano, a prescindere dalla sostenibilità economica dello stesso per la farmacia di turno. Tale servizio, tra l’altro, non riguarda solo i farmaci che prevedono la vendibilità solo su ricetta medica, ma anche i SOP e gli OTC, come dimostra la recente sentenza della Cassazione (Cassazione penale sez. VI , udienza: 21 novembre 2012 n. 46755), che ha riformato con rinvio la sentenza di assoluzione di un farmacista che si era rifiutato di aprire la farmacia durante il periodo di reperibilità pomeridiana per consegnare una confezione di tachipirina ad un cliente sprovvisto di ricetta medica. Ciò perché “ogni qualvolta il farmacista In turno di reperibilità non assicuri il tempestivo adempimento del servizio farmaceutico vi è, secondo le contingenze dei casi, una condotta obiettiva di interruzione o di sospensione del servizio, che determina il turbamento della regolarità di tale servizio nel suo complesso” (sentenza citata).

Io credo che il sistema attuale, dove i farmaci che richiedono la ricetta medica sono dispensabili solo da farmacisti che operino grazie ad una licenza revocabile in caso di indegnità o dolo sia il migliore per tutelare la salute pubblica.

La cosiddetta “liberalizzazione” dei farmaci di Fascia C,farebbe saltare questo modello, e negherebbe allo Stato la possibilità (ahimè sinora poco sfruttata) di selezionare i titolari di licenza e di espellere chi è indegno, in quanto la distinzione dei farmaci in base alla rimborsabilità ha solo valenza amministrativa: il passo successivo sarebbe necessariamente la vendibilità fuori dal rapporto di licenza anche dei farmaci di Fascia A, se pagati in contanti dal paziente. E questo porterebbe ad una innegabile diminuzione delle garanzie di sicurezza per il cittadino.

Qualsiasi sistema, qualsiasi regola può essere cambiata dal Legislatore: l’importante è che lo faccia con cognizione di causa, avendo ben presente i vantaggi e gli svantaggi della situazione che si lascia, e dedicando la giusta attenzione allo studio delle conseguenze delle modifiche introdotte, senza enfatizzarne i potenziali vantaggi e senza minimizzarne i potenziali svantaggi.

Una volta imboccata una strada sbagliata, tornare indietro potrebbe essere impossibile.

Francesco Palagiano
Farmacista

 

20 dicembre 2012
© Riproduzione riservata

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