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Def 2013. Cochrane Italia: "Nessun golpe ma “Less is more”…"

di Luca De Fiore

28 SET - Gentile direttore,
la nota di aggiornamento del documento di economia e finanzia 2013 suscita commenti. E’ un fatto positivo ma lo sarebbe stato ancora di più se questo confronto fosse avvenuto prima, piuttosto che dopo, la pubblicazione del testo governativo. La sezione “Rispondere alle grandi sfide della sanità e dell’assistenza” si presenta in modo eloquente sin dal titolo, evidentemente centrato sulla malattia e sulla medicina come risposta principale – se non esclusiva - ai bisogni di salute delle persone. I rilievi mossi da Antonino Cartabellotta sono nel complesso pertinenti: se è vero che le parole sono importanti, non si può non essere preoccupati nel leggere della necessità di “ripensare un modello di assistenza finalizzato a garantire prestazioni incondizionate”. Soprattutto se a firmare il documento è il Ministero dell’economia e delle finanze.
 
E’ necessario, infatti, stabilire a quali condizioni debba essere legata l’erogazione degli interventi sanitari: “All effective treatments should be free”, sosteneva Archibald Cochrane ed è questo il primo principio al quale un servizio sanitario universalistico e equo dovrebbe riferirsi. Solo se questa fosse la stella polare, un “Servizio sanitario più selettivo” sarebbe il benvenuto. La razionalizzazione alla quale accenna Americo Cicchetti è sicuramente opportuna: nella frammentazione e nella disorganizzazione non solo crescono gli sprechi, ma anche l’illegalità che in gran parte dei casi è condizione favorente e non conseguenza dell’inefficienza. Il sistema attuale di Health Technology Assessment può essere una soluzione? Speriamo, ma è difficile crederlo, così esposto com’è alla tentazione di improbabili esperienze di valutazione localistica o addirittura Hospital-based.

La preoccupazione aumenta se si confronta il capitolo dedicato alla sanità con quello riservato alla “Università e ricerca”. Si indica nella “autonomia responsabile” delle università un obiettivo da perseguire, nel rispetto – beninteso – del “governo unico del processo”, con la finalità di “dare risposte adeguate alle istanze degli stakeholders”. Non essendo chiaramente specificato chi si intenda con questo termine ormai onnipresente, c’è il fondato sospetto che tra questi “portatori di interessi” ci sia la più volte citata “industria privata”. Avremmo preferito un documento che avesse quantomeno stabilito una gerarchia di priorità tra questi portatori di interesse, mettendo al centro – o in vetta – i cittadini italiani. Non una parola sulla necessità di riscrivere l’agenda della ricerca, sull’urgenza di meccanismi di valutazione che premino quella utile ai cittadini sani e malati penalizzando quella inutile e, pertanto, dannosa in quanto generatrice di sprechi. Non una parola sulla necessità di sollecitare l’industria ad assumere – se realmente interessata – un atteggiamento di partnership reale col sistema della ricerca, della promozione della salute e del miglioramento delle cure: rendendosi disponibile a sostenere progetti indipendenti di valutazione comparativa dell’efficacia e della sicurezza delle terapie e, allo stesso tempo, garantendo assoluta trasparenza alle proprie strategie commerciali e di ricerca.

Tranquilli: nessuno grida al golpe. Anche se gli attori e le dinamiche della politica italiana sembrano purtroppo sempre più simili a quelle dei paesi tradizionalmente più esposti a questo tipo di “soluzione” dei problemi. Ma – di nuovo d’accordo con Cartabellotta – se davvero ci fosse qualcuno che desiderasse ripensare ai caratteri fondanti del Servizio sanitario nazionale, sarebbe bene si attrezzasse per un percorso diverso da quello necessario alla scrittura di un documento come quello di cui si discute. Un percorso che vorremmo almeno altrettanto difficile e accidentato da quello che fu necessario per introdurre la Riforma Sanitaria nel nostro Paese.

In assenza di linee programmatiche certe, di indirizzi plausibili, di competenze riconosciute, suggeriamo di riferirsi alla regola del “Less is more”: meno interventi e prestazioni inefficaci, meno ricerca inutile, meno autonomie in assenza di valori guida cui ispirarsi. Al limite, meno note di aggiornamento al DEF. Convinti, come ha scritto Elena Granaglia, che “in sanità non servono riforme di struttura. Servono, però, riforme nelle modalità organizzative del servizio pubblico tese a realizzarne le potenzialità che restano disattese.“
 
Luca De Fiore
Presidente della Associazione Alessandro Liberati – Network Italiano Cochrane
Direttore, Il Pensiero Scientifico Editore

28 settembre 2013
© Riproduzione riservata

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